Testamento olografo con la data errata. Quali conseguenze giuridiche sulla validità?
Corte d'Appello di Cagliari, sez. I, sentenza 10 settembre 2021, n. 381.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI
I SEZIONE CIVILE
Composta dai magistrati:
Dott.ssa Giovanna Osana - Presidente
Dott.ssa Donatella Aru - Consigliere
Dott.ssa Emanuela Cugusi - Consigliere relatrice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella cause riunite iscritte ai numeri 171 e 295 del Ruolo Generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2017, promossa da
F.M., nata a D. il giorno (...), ivi residente nella via A. M. n. 10, codice fiscale (...), in proprio e nella sua qualità di erede di ... A.;
appellante
CONTRO
(...)
Tutti elettivamente domiciliati in Cagliari, via Logudoro n. 24, presso lo studio e la persona dell'avv. Cesello Argiolas, che li rappresenta e li difende in forza di procura speciale in calce all'atto di citazione.
appellati e appellanti incidentali
La causa è stata tenuta a decisione sulle seguenti
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con atti di citazione notificati tra il 13 e il 14 giugno 1999, F. ... convenne davanti al Tribunale di Cagliari i coeredi A. ... (fratello), S.F., M.F., E.F., F.F., A.F., G.F. e A.F. ( nipoti, figli della defunta sorella A. ...) allegando che in data 5.7.1991 era deceduto in Roma, intestato, il fratello S. ..., senza figli né coniuge, alla cui successione erano stati chiamati i fratelli A. ..., F. ... e A. ... ved. F. (deceduta in data 28.12.1993, alla quale erano succeduti i suoi sette figli, odierni convenuti).
L'attore, dopo avere elencato i beni caduti in successione (terreni e fabbricati in V. S. P., S. e D.) e sostenuto che l'intero patrimonio ereditario si trovava nel possesso esclusivo dei fratelli F., chiese che il Tribunale ne ordinasse la divisione, secondo le norme della successione legittima, e condannasse i convenuti al risarcimento dei danni derivanti dal possesso dei beni immobili.
Si costituirono in giudizio A. ..., S.F., M.F., E.F., F.F., A.F., G.F. e A.F., i quali contestarono di possedere i beni del de cuius S. ... e affermarono che l'attore si trovava nella disponibilità di altri beni ereditari ( non indicati in citazione).
Inoltre i convenuti contestarono parzialmente la composizione dei beni ereditari come ricostruita nell'atto di citazione e sostennero di avere provveduto al pagamento di spese sia relative alla successione che per esigenze personali del de cuius; ciò premesso, gli stessi chiesero la divisone dell'eredità relitta di S. ... e la condanna dell'attore al rimborso delle spese da loro anticipate per la successione del defunto.
A. ..., in particolare, fece valere in giudizio i diritti a lui spettanti in qualità di erede del genitore F. ... su alcuni beni in possesso dell'attore e su altri beni di sua esclusiva proprietà siti in V. S. P. e distinti in catasto al F. (...), mappali (...) e (...), anch'essi asseritamente in possesso dell'attore e del di lui figlio G. ...; A.F. chiese la condanna dell'attore a corrispondergli i rimborsi a lui spettanti per miglioramenti ed addizioni apportati su alcuni immobili ereditari nell'interesse e per volere di tutti gli eredi, compreso l'attore.
Chiesta ed ottenuta l'autorizzazione alla chiamata in causa di G. ..., figlio dell'attore F. ..., A. ... chiese la condanna del medesimi, in solido, al rilascio dei beni illegittimamente posseduti ed alla rappresentazione dei frutti o al risarcimento del danno derivante dal mancato godimento degli stessi.
Si costituì G. ..., mediante comparsa di costituzione e risposta depositata il 12.11.1999, chiedendo, previa dichiarazione di inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta nei confronti terzo, la condanna di A. ... al rimborso della maggior somma tra spese e migliorato in relazione ai lavori che l'esponente avrebbe eseguito a sue spese nei terreni rivendicati dal chiamante.
Deceduto in corso di causa A. ..., si costituì in prosecuzione, nell'asserita qualità di sua erede testamentaria, la convenuta M.F., producendo copia autentica del verbale di pubblicazione del testamento olografo del notaio Loriga del 18.10.2000, ed insistendo nelle istanze e conclusioni già formulate dal suo dante causa.
L'attore, all'udienza successiva a tale produzione, contestò il testamento per: "a) la totale diversità della grafia, con particolare riferimento alla sottoscrizione; b) la data di redazione del testamento olografo, risultando redatto nel 1975 ed essendo stato con esso disposto anche del patrimonio che sarebbe a lui pervenuto dalla morte (non ancora avvenuta) del fratello S.; c) le precarie condizioni psicofisiche in cui il testatore si trovava sin dal 1992; ciò premesso ha dichiarato di voler proporre querela di falso ai sensi dell'art. 221 e ss. c.p.c. in quanto il contenuto, la scrittura privata e la sottoscrizione del testamento non sono riconducibili alla volontà e mano del preteso testatore".
La F. contestò le avverse deduzioni allegando che la firma apposta all'atto (al di là dell'erronea indicazione contenuta nel verbale di pubblicazione), era quella del 15 settembre 1995 e non 1975.
All'udienza del 22.10.2003 fu dichiarata la morte del convenuto A.F., con la conseguente costituzione in prosecuzione dei suoi eredi A., V. e A.G.F., tutti minori, rappresentati dalla madre D.F., la quale dichiarò di disconoscere il testamento olografo di A. ....
La causa, tenuta a decisione all'udienza del 14.2.2006, con ordinanza del 7.6.2006 venne rimessa in istruttoria avendo il Collegio ritenuto opportuno l'espletamento di consulenza tecnica d'ufficio al fine di accertare l'attribuibilità del testamento olografo ad A. ..., oltre che verificare la corretta data apposta al medesimo.
Con sentenza non definitiva n. 1297/2009, depositata in data 27. 4.2009, il tribunale ha stabilito l'autenticità del testamento redatto da A. ... dichiarando conseguentemente M.F. sua unica erede testamentaria.
Preliminarmente il Tribunale, aderendo all'orientamento maggioritario in giurisprudenza che ricomprende il testamento olografo nel novero delle scritture private, ha qualificato il procedimento incidentale espletato quale verificazione di scrittura privata, ai sensi dell'art. 216 c.p.c., e non querela di falso, ex artt. 221 ss. c.p.c.
Da tale assunto, ad avviso del collegio, derivava che, una volta operato dalla controparte il tempestivo disconoscimento, era onere della parte che intende avvalersi del testamento dimostrarne la riconducibilità al suo preteso autore.
M.F. aveva proposto in subordine, qualora in luogo della querela di falso si "dovesse ritenere effettuato un semplice e tempestivo disconoscimento, istanza di verificazione del testamento", sulla base delle scritture private prodotte dalle parti diverse dagli eredi de di A.F..
Il giudice di prime cure ritenne che la consulenza tecnica espletata, integralmente condivisa in quanto "compiutamente argomentata (anche in relazione ai chiarimenti forniti) ed immune da vizi o contraddizioni di natura logica e giuridica", in ragione delle numerose affinità emerse nella comparazione del testamento olografo e le scritture private portate in comparazione, dimostrasse chiaramente, da un lato, che la firma e/o il testo fossero attribuibili ad A. ... - venendo così esclusa la possibilità che vi potesse essere stato un"falso per imitazione" e/o della "mano guidata"- e che l'anno della data ivi apposta fosse il 1995.
Con specifico riferimento alla contestazione circa l'anno di redazione del testamento -1975 o 1995 ovvero 19095- il giudice di prime cure richiamò le conclusioni cui era giunto il consulente tecnico d'ufficio il quale, sulla base degli ingrandimenti fotografici, aveva affermato come la data corretta, nonostante il verbale di pubblicazione del testamento indicasse erroneamente l'anno 1975, fosse l'anno 1995.
Tutte le restanti domande, tese a far dichiarare invalido il testamento, furono ritenute dal tribunale in parte del tutto generiche o nuove (poiché formulate la prima volta all'udienza del 10.12.2003) e, in ogni caso, infondate nel merito in quanto sfornite della prova dei fatti genericamente indicati a sostegno della pretesa (quando ad esempio in riferimento alla allegata incapacità psico-fisica del testatore).
Con separata ordinanza la causa fu poi rimessa in istruttoria per l'ammissione delle prove relative alla domanda di divisione proposta nell'interesse comune delle parti.
All'udienza del 18.3.2013 fu dichiarata la morte di F. ..., con conseguente interruzione del processo; il processo fu riassunto in prosecuzione dai suoi eredi, M.T. ..., S. ..., G. ..., A.C. ..., G.A. ..., A.R. ..., A.L. ..., L.R. ..., D.A.B. ..., S.I. ... e C. ....
La causa, istruita con prove documentali, interrogatorio formale e consulenza tecnica d'ufficio, è stata decisa dal Tribunale di Cagliari con sentenza definitiva n. 1476/2016, pubblicata in data 11.05.2016 con la quale il Tribunale ha rigettato sia le domande formulate dagli attori sia le domande riconvenzionali proposte dai convenuti e condannato A.F. e F. ..., in solido tra loro, a rifondere le spese fino alla sentenza non definitiva, quantificate in Euro 4.500,00, dichiarando invece compensate tra le parti le restanti spese del giudizio.
Preliminarmente, il Tribunale ha osservato come fosse già stato accertato con la sentenza non definitiva che il testamento olografo, con firma di A. ..., fosse autentico e datato 15.9.1995 e che, conseguentemente, l'oggetto del contendere fosse limitato alla individuazione della massa dividenda, in contestazione tra le parti, questione preliminare rispetto allo svolgimento delle operazioni divisionali.
Tanto chiarito, il Tribunale ha rilevato che nel corso del giudizio, nonostante reiterate e specifiche richieste del giudice istruttore, le parti avevano omesso di produrre i titoli di proprietà dei beni in capo ai loro danti causa, le certificazioni catastali e/o la relazione notarile, entrambi indispensabili al fine di verificare l'integrità del contraddittorio e individuare sotto il profilo catastale i beni oggetto di domanda.
Né potevano ritenersi a tal fine decisivi i soli titoli di proprietà indicati dai convenuti nel verbale d'udienza del 22.5.2014, riferiti ad un numero esiguo di immobili siti in V. S. P., rimanendo totalmente assenti i titoli riguardanti i restanti immobili oggetto di domanda di divisione.
Conseguentemente, il primo giudice ha ritenuto di non potere dare corso alle operazioni divisionali poiché, per il principio di universalità della divisione, così come enucleato dalla giurisprudenza di legittimità, la divisione ereditaria costituisce atto unitario riguardante l'intero asse ereditario, salvo deroga espressa o tacita delle parti al fine di limitare la stessa ad una parte degli immobili, esplicitamente esclusa nel caso di specie in ragione delle rispettive posizione assunte dalle parti in merito alla massa dividenda (Cass. Sez. 2. Sent. N. 5869 del 23 marzo 2016).
Sul punto, il Tribunale ha ritenuto di aderire all'orientamento della giurisprudenza di merito (Corte d'Appello Roma, sez. III del 1 giugno 2011), in forza del quale non si può procedere alla divisione della massa ereditaria laddove le parti non abbiano prodotto in giudizio i titoli di provenienza degli immobili, al fine di verificare l'effettiva titolarità della proprietà indivisa degli stessi, non potendosi attribuire alcuna utilità alle denunce di successione -in quanto atti provenienti dalle parti a fini meramente fiscali- allo scopo di dimostrare la sussistenza della proprietà dei beni in capo al loro dante causa. Inoltre, il giudice di prime cure ha evidenziato come fosse onere delle parti adoperarsi e porre in essere tutti quei comportamenti e quelle operazioni volte all'esito favorevole della divisione richiesta, ivi inclusa la produzione dei documenti, al fine di individuare catastalmente gli immobili oggetto di divisione e i titoli di provenienza, non essendo possibile demandare tali accertamenti al CTU, "poiché le valutazioni tecniche e il progetto di divisione rimessi all'ausiliario non possono rimediare alle lacune documentali che incombono sulle parti"; in caso contrario, si potrebbe verificare l'ipotesi di un atto divisione relativo ad immobili di proprietà di terzi.
Invero, come ribadito in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, la consulenza tecnica d'ufficio, pur potendo essere disposta al fine di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, anche se risultante da documenti non prodotti dalle parti e purché si tratti di fatti accessori rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza, non è mai ammissibile qualora verta su fatti e situazioni che, essendo posti a fondamento della domanda, devono necessariamente essere provati dalle stesse parti che li allegano.
Nel caso di specie, nonostante le reiterate richieste del giudice istruttore ed i numerosi rinvii di udienza disposti a tal fine, le parti non avevano provveduto a tale adempimento comportando, di fatto, "una situazione di stallo preclusiva delle operazioni divisionali, che, anche in ragione del principio di ragionevole durata del processo non poteva essere posto a carico del Tribunale, atteso il principio dispositivo che regola il processo civile".
Il tribunale ha dunque fatto discendere, quale conseguenza del rigetto della domanda principale di divisione proposta nell'interesse comune, il rigetto delle domande accessorie proposta da ciascuna parte ( risarcimento dei danni, rappresentazione dei frutti, rimborso spese e miglioramenti, rilascio degli immobili-) in quanto le stesse presupponevano l'accertamento dei titoli di proprietà, comune o esclusivo, degli immobili, che, per i motivi sopra esplicitati, dovevano ritenersi non documentati in causa.
Infine, il Tribunale ha condannato gli eredi di F.F. e A.F. alla rifusione in favore di M.F. delle spese processuali fino alla sentenza non definitiva, compensando le ulteriori spese del giudizio tra le parti in causa, in ragione della soccombenza reciproca rispetto alle restanti domande.
Avverso le predette sentenze propone appello M.F., con atto di citazione ritualmente notificato (causa iscritta al n. 171 del Ruolo Generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2017).
Con comparsa di costituzione e risposta ritualmente depositata si sono costituiti A.L. ..., A.C. ..., C. ..., D.A.B. ..., G. ..., G.A. ..., L.R. ..., M.T. ..., S. ..., S.I. ..., e A.R. ..., i quali contestano il fondamento delle avverse doglianze e propongono appello incidentale.
Avverso le predette sentenze propongono, altresì, appello A.L. ..., A.C. ..., C. ..., D.A.B. ..., G. ..., G.A. ..., L.R. ..., M.T. ..., S. ..., S.I. ..., e A.R. ..., con atto di citazione ritualmente notificato (causa iscritta al n. 295 del Ruolo Generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2017).
Si è costituita M.F., la quale eccepisce preliminarmente l'improponibilità e/o inammissibilità dell'appello incidentale proposto dagli ... mediante comparsa di costituzione e risposta, depositata il 27 maggio 2017 nel procedimento contraddistinto al R.G. n. 171/2017, per avere gli appellanti incidentali già consumato il potere di impugnazione mediante la proposizione dell'appello principale, notificato in data 20 marzo 2017 e, in subordine, chiedono il rigetto dello stesso nel merito.
All'udienza del 7.7.2017, la causa contraddistinta al Ruolo Generale degli affari civili n. 295/2017 è stata riunita alla causa contraddistinta al Ruolo Generale degli affari civili n. 171/2017.
Sono rimasti contumaci V.F., E.F., F.F., G.F..
In limine, rilevata la regolarità della notifica nei confronti di S.F. e V.F., A.F. e A.G.F., quali eredi di A.F., la Corte ne dichiara la contumacia.
E' opportuno esaminare in via preliminare, l'eccezione di inammissibilità/improcedibilità dell'appello incidentale proposto da A.L. ..., A.C. ..., C. ..., D.A.B. ..., G. ..., G.A. ..., L.R. ..., M.T. ..., S. ..., S.I. ..., e A.R. ... nella causa R.G. n. 295/2017.
Giova premettere che i signori ... hanno proposto, avverso le sentenze del Tribunale di Cagliari n. 1297/2009 e n. 1476/2016, sia appello principale, notificato in data 20 marzo 2017 e contraddistinto al RAC n. 295/2017, sia appello incidentale, mediante comparsa di costituzione e riposta, depositata in data 27 maggio 2017 nel procedimento contraddistinto al RAC n. 171/2017, relativo all'appello proposto da M.F..
L'ammissibilità dell'appello principale e la sostanziale identità di contenuto dei due atti, ad avviso rende della Corte rende irrilevante, per carenza di interesse, la questione
In limine, la Corte rileva che, per comodità espositiva, i motivi proposti e le domande formulate nelle due cause riunite verranno trattati separatamente: preliminarmente deve essere esaminato l'appello formulato dagli ..., contraddistinto al RAC n. 295/2017, con la sola eccezione del quinto motivo, il quale, per ragioni logiche di connessione -atteso che la doglianza relativa all'omessa pronuncia della domanda riconvenzionale tesa all'accertamento della proprietà di alcuni beni in capo a M.F. risulta preliminare rispetto alla domanda, formulata da G.F., volta ad ottenere gli indennizzi relativi alle migliorie apportate su detto bene- verrà trattato successivamente al primo ed unico motivo dell'appello proposto da M.F., contraddistinto al RAC n. 171/2017.
In relazione alla causa iscritta al RAC n. 295/2017 l'atto di appello consta di plurimi motivi.
Appare opportuno, prima della loro illustrazione e del relativo esame, brevemente rilevare che la domanda di divisione del patrimonio relitto da S. ... e A. ..., formulata nelle conclusioni di cui al punto F-2 dell'atto di appello, deve essere dichiarata inammissibile per due ordini di ragioni: quanto alla domanda avente ad oggetto il patrimonio di S. ..., in primo luogo, sono stati gli stessi ... nel primo grado di giudizio, all'udienza del 21.9.2015, a concludere domandando che il Tribunale dichiarasse l'improponibilità/inammissibilità della domanda di scioglimento della comunione avanzata nell'interesse comune delle parti in causa; in ogni caso, la Corte osserva che la stessa sia stata meramente riproposta in sede di appello senza compiere alcuna censura specifica avverso le ragioni della decisione poste a suo fondamento dal tribunale. Quanto alla domanda avente ad oggetto la divisione dei beni di A. ..., deceduto in corso di causa, essa, invece, avendo ad oggetto altra successione, costituisce domanda nuova, in quanto tale inammissibile
Con il primo motivo, gli appellanti si dolgono della "omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Violazione e falsa applicazione degli artt. 602 e 606 c.c.".
Secondo parte appellante il Tribunale avrebbe errato nel condividere - poiché fondata su scrupolose indagini ed immune da vizi e contraddizioni di natura logico di giudica - le risultanze della relazione del consulente tecnico d'ufficio dott. Colombino il quale aveva accertato l'autenticità del testamento olografo di A. ... in forza delle "numerose affinità (anche visibilmente apprezzabili) emerse dal confronto tra testo e firma del testamento in verifica e le scritture di comparazione pacificamente attribuibili a ... A., che ha permesso di evidenziare ... la spontaneità e genuinità della grafia ... e conseguentemente di escludere le possibilità alternative del falso per imitazione o della mano guidata". Preliminarmente gli appellanti affermano che tutte le parti in causa erano a conoscenza, per averlo appreso direttamente da A. ..., che egli non avrebbe mai disposto dei propri beni mediante testamento apprendendo, per tale motivo, con stupore il fatto che il de cuius avesse disposto dei propri beni in favore della nipote, M.F., figlia della premorta sorella A. ....
Conseguentemente, all'udienza del 5 dicembre 2001 -e non, così come erroneamente riportato dal giudice nella sentenza non definitiva, all'udienza del 10 dicembre 2003- F. ... aveva contestato l'autenticità del testamento olografo, nonché l'anno di redazione dello stesso, chiedendo la verifica della sua autenticità o meno, tenuto conto dello stato di salute del testatore, ricavabile dalla cartella clinica a lui riferita.
Nella relazione depositata in data 4.6.2007, il c.t.u dott. Colombino ha riconosciuto l'autenticità del testamento olografo e, altresì, accertato che la data apposta al medesimo non era il 15.9.1975, così come riportato dal notaio in sede di pubblicazione del testamento, bensì il 15.9.1995.
In relazione alle conclusioni raggiunte dall'ausiliare, la dott.ssa C., consulente di parte di F. ..., con relazione scritta depositata il 30.4.2007, ha sostenuto che il testamento, riportante una data imprecisa, non fosse stato scritto dalla stessa mano che aveva apposto le firme nelle scritture di comparazione.
Inoltre, l'appellante sostiene che:
- nella scrittura de qua erano assenti i caratteri dell'abitualità e della personalità propri dell'autografia di A. ... quale emerge dalle scrittura di comparazione; notevoli variazioni di calibro figurano nello scritto testamentario, congiuntamente con alcune differenze nella modulazione dei chiaro scuri, caratterizzanti una scrittura che mal di concilierebbe con l'età avanzata del testatore e con il suo stato di salute, ricavabile dalla cartella clinica della U.S.L. 20 per l'anno 1992, con diagnosi di dimissione per vasculopatia cerebrale.
- nel corpo centrale della scrittura "lo scrivente propone una velocità esecutiva più fluida e costante, in netto contrasto con le aspettative di un paziente colpito da ictus celebrale con esito di emiparesi sinistrata degli arti", seguita da una "fluidità sopraggiunta, travestita dall'accentuazione del disallineamento di base microscopicamente esposto in forma ascendente" che avrebbe richiesto, secondo quanto asserito dagli appellanti, una più attenta analisi da parte del Ctu e del giudice;
- relativamente alla forma letteraria, le espressioni utilizzate nella composizione della scheda testamentaria, rivelano un buon livello culturale del disponente, che mal si concilia con il livello culturale espresso dal grafismo; il testo del negozio testamentario è privo di errori grammaticali, chiaro, e appropriato nella terminologia, a differenza delle scritture comparative, da cui emerge una totale povertà espressiva dello scrivente ed una "scarsa coordinazione idiomatica"; tale discrasia, considerato che la formazione del testamento presuppone che lo stesso sia espressione totale del disponente, secondo l'appellante meritava una maggiore attenzione, potendo essere indicativa del fatto che il testatore si fosse avvalso di un suggerimento scritto o verbale.
Con il secondo motivo, gli appellano lamentano la "la falsità e/o erroneità e/o assoluta impossibilità e/o incertezza dell'anno di redazione del testamento olografo".
In proposito gli appellanti assumono che, nonostante il notaio Loriga, in sede di pubblicazione del testamento olografo, avesse trascritto la data dell'anno 1975, il ctu dott. Colombino ha sostenuto che la data del testamento fosse da individuare nell'anno 1995, e che la stessa fosse stata apposta in due tempi diversi: dapprima riportando le tre cifre "190" a cui, successivamente, erano state aggiunte le cifre "95", con la conseguente formazione di una data assolutamente inesistente, ovverosia l'anno "19095".
Tale particolare sarebbe stato affrontato in modo semplicistico dal consulente tecnico d'ufficio, il quale nella sua relazione ha sostenuto che "l'ovale irregolare molto grande" posto dopo il primo "9" che indica le centinaia, si spiega come tentativo di tracciare la cifra successiva, alla quale il testatore avrebbe operato una correzione spontanea "abbandonando con la massima naturalezza l'ovale troppo grande, per riscrivere da capo la cifra voluta, senza darsi pena di essere male interpretato".
Inoltre, soggiunge l'appellante, da una comparazione tra la data di nascita di A. ... ((...)), apposta di seguito alla sottoscrizione, e le compilazioni numeriche della data della scheda, 15/9/19095, viene in rilievo ictu oculi abbiano un andamento più incerto, a differenza dell'ultima cifra, ovvero il "5", il quale presenta una grafia più sicura e fluida.
In specie, l'appellante evidenzia che la motivazione adottata dal Tribunale, nella parte in cui ha stravolto l'anno della data apposta nel testamento (19095), violerebbe il divieto di aggiungere o togliere, come nel caso di specie, numeri alla data di redazione del testamento, ponendosi, altresì, in contrasto con la norma contenuta nell'art. 602 c.c., a mente del quale "la data deve contenere l'indicazione del giorno, mese e anno".
Invero la giurisprudenza di legittimità ha configurato, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 602 e 606 c.c., che oltre alla mancanza della data, costituisce causa di annullamento del testamento olografo anche l'incompletezza e/o l'impossibilità della stessa.
Conseguentemente, rilevando l'impossibilità della data in modo diretto sulla validità dell'atto, la prospettazione del primo giudice, laddove ha omesso di considerare uno zero nella data dell'anno apposta nel testamento, deve essere riformata.
Con il terzo motivo l'appellante lamenta la "errata e contraddittoria e discordante ricostruzione della data".
Parte appellante, dopo aver richiamato l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale che consente di ricavare l'esistenza della data da elementi interpretativi extratestuali, purché intrinseci alla scheda testamentari, sottolinea come, qualora la data venisse ricavata da elementi estrinseci, verrebbe privata di ogni tipo di efficacia la disposizione di legge che prevede l'espressione compiuta della data di redazione del testamento quale atto di formalità essenziale al fine della validità dello stesso.
Ciò premesso, gli ... lamentano che il c.t.u e, conseguentemente il giudice di prime cure, avrebbero errato nell'interpretazione e/o ricostruzione della data apposta al testamento, non essendo possibile ricavare la data da elementi estrinseci all'atto testamentario; allo stesso modo non potrebbe invocarsi l'art. 1367 c.c., espressione del principio di conservazione dei negozi giuridici, in quanto l'interpretazione integrativa non potrebbe mai riguardare elementi formali richiesti al fine della validità del negozio.
Conseguentemente, la relazione peritale svolta dovrebbe essere ritenuta illecita per le modalità con cui è stata espletata, laddove la stessa giunge ad ipotizzare la volontà del de cuius; a tal fine, l'appellante evidenzia come il primo giudice abbia, erroneamente e in modo illogico, preso in considerazione ai fini della decisione esclusivamente le risultanze tecniche del ctu, tralasciando quelle espresse dalla consulente di parte degli ..., nelle considerazioni tecniche alla bozza di relazione inviata, non fornendo, altresì, alcuna giustificazione delle ragioni che inducevano a disattendere le stesse.
In sostanza, secondo gli appellanti, il primo giudice, senza alcuna valida motivazione, ha attribuito alla consulenza tecnica d'ufficio un valore preminente, in violazione della necessaria gerarchia delle fonti in materia di onere della prova e nonostante il perito abbia manifestato evidenti difficoltà a sostenere della propria testi di autenticità e certezza della data apposta sul testamento.
Con il quarto motivo, gli appellanti censurano la sentenza non definitiva nella parte in cui il giudice ha compiuto una "omessa valutazione della produzione documentale ritualmente e tempestivamente prodotta" in merito alle precarie condizioni psicofisiche nelle quali il testatore A. ... si ritrovava sin dal 1992.
In specie sostengono che il testamento in esame sarebbe in ogni caso annullabile per evidente incapacità di testare nel momento in cui è stato redatto, rilevabile dallo stato di salute documentato dalle carte cliniche prodotte in giudizio in data 15.11.2002, laddove si dà atto della emiparesi da ischemia celebrale di A. ....
Parte appellante asserisce che il Tribunale avrebbe dovuto disporre una consulenza tecnica d'ufficio al fine di accertare, sulla base della documentazione in atti, se A. ... nell'ultimo periodo della sua vita, e in modo specifico dal 1992 fino al suo decesso -alla luce, sia delle sue condizione di salute e della terapia farmacologica cui era sottoposto, sia della sua età avanzata (86 anni)- fosse in condizioni psicofisiche tali da inficiare la sua capacità di intendere e volere; conseguentemente, se A. ... fosse o meno in grado di autodeterminarsi e comprendere il significato dei propri atti. A tal riguardo, le cartelle cliniche prodotte in corso di causa, relative alle condizioni di salute del ..., documentano il ricovero ospedaliero del de cuius, avvenuto dal 2.6.1992 al 19.6.1992, e attestano una grave forma di decadimento delle condizioni generali di salute dello stesso.
Conseguentemente, la documentazione sanitaria, comprovante una situazione di grave malattia presente dal giungo del 1992 -e, quindi sicuramente presente anche all'epoca di redazione del testamento- indurrebbe a ritenere che il testatore, sebbene non interdetto legalmente, fosse incapace di intendere di volere ai sensi dell'art. 591 comma 2, n. 3 c.c.
Inoltre, gli appellanti sostengono che non si possa escludere la possibilità che un terzo abbia guidato la mano del testatore o che questi abbia scritto sotto dettatura, con la conseguenza che in tale ipotesi il testamento sarebbe nullo per manifesta assenza della libera e cosciente volontà del testatore.
Il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo, i quali possono essere trattati congiuntamente, attesa la connessione e l'interdipendenza tra loro sussistente, sono infondati.
I motivi d'appello con i quali gli appellanti lamentano la falsità del testo e della sottoscrizione del testamento olografo, l'impossibilità della data e la sua errata ricostruzione, meritano le considerazioni.
Questa Corte, al fine di addivenire ad una valutazione più completa dei rilievi critici, spesso di natura tecnica, sollevati dagli appellanti, ha disposto con ordinanza del 2.11.2019 il rinnovo della consulenza tecnica d'ufficio già espletata nel primo grado di giudizio dal dott. Colombino, nominando consulente tecnico la dott.ssa S.B., alla quale è stato posto il seguente quesito: "il CTU accerti l'attribuibilità o meno al suo presunto autore, ... A., del testamento olografo con il quale lo stesso nominò sua erede universale la nipote, parte in causa, F.M., nonché quale sia la data apposta al medesimo (e se, in particolare, l'anno indicato sia il 1975 o il 1995 ovvero 19075 oppure 19095)".
La ctu, con relazione depositata il 22.11.2020, ha "accertato l'attribuibilità al suo autore, ... A., del testamento olografo con il quale lo stesso nominò sua erede universale la nipote, parte in causa, F.M.; oltre ciò, ha accertato che la data apposta al medesimo è 1995".
In specie, l'ausiliaria, dopo aver premesso, a pagina 3 della consulenza, che la metodologia adottata, anche alla luce della più moderna prassi peritale "è quella grafologica, particolarmente finalizzata alla comprensione della singolarità del gesto che è presente in ogni soggetto scrivente, intendendo per Grafologia lo studio del movimento scrittorio, come dimostrato da eminenti autori stranieri e italiani" ha compiuto un'attenta analisi del tracciato grafico della scrittura in verifica e delle scritture di comparazione autografe, anche con riferimento all'invecchiamento della grafia del suo autore a partire dagli anni '50 fino agli anni '90, per poi valutare le risultanze emergenti dagli accertamenti espletati alla luce del quesito formulato.
La ctu, distinguendo le scritture di comparazione in base alla loro datazione, ha posto in evidenza (pag. 13) che "le ultime sottoscrizioni, invece, quelle degli anni '90, mostrano che il processo di invecchiamento psico-fisico è in atto e si manifesta con tremori più frequenti, esitazioni e rattrappimento dei movimenti, non più ampi e ariosi come in anni precedenti, ma che producono strutture distorte, irregolari, stentate, per il difficile controllo della mano, con ripercussione sulla grafia. In ogni caso, dall'osservazione del campione comparativo, emerge una grafia che non è sostanzialmente cambiata nel tempo, ma mantiene un'adesione tenace al proprio modello stilistico e nei suoi tratti distintivi, oltre che l'inclinazione in avanti, l'aderenza al rigo della scrittura sottostante, l'ariosità delle distanze tra i caratteri, spesso riempite da sottili filetti di collegamento".
Anche in relazione al raffronto tra la scrittura del testo del testamento olografo e una lettera autografa di A. ..., la dott.ssa B. ha rilevato, nonostante il processo di invecchiamento della grafia, uno stile inalterato "della sua scrittura, dato, innanzi tutto, dal controllo sulla direzione, seppure non legata a righi presenti, ma al proprio rigo ideale, e la prevalente inclinazione verso destra".
Relativamente poi alla data apposta alla scheda, la ctu, dopo aver affermato che "il numero del giorno e del mese sono chiari e distanziati, 15 e 9" ha escluso, con riferimento all'anno, che il penultimo numero potesse essere il 7, in quanto "la gambetta" dello stesso "molto incurvata secondo il modello, appartiene a quella di un 9 ... d'altra parte, che si tratti di movimenti difficili da eseguire e in cui la mano del testatore perde di agilità, lo si deduce anche dall'osservazione di altri numeri 9 presenti nelle date dei righi finali della scheda testamentaria. Lo scrivente, infatti, abituato a leggere, l'occhiello con l'allungo (frecce), ripete il movimento e riinizia da capo. Ricomincia da capo per far si che il segno corrisponda al modello simbolico di riferimento che ha in mente e come tale vuole eseguire per essere soddisfatto del risultato. Si tratta, dunque, del numero 9, di cui viene reiterata l'area circolare superiore; una correzione che il testatore apporta di suo pugno per esigenze di chiarezza".
Con riferimento alle conclusioni raggiunte dal perito in merito al testo e alla sottoscrizione del testamento olografo, è opportuno osservare che gli ..., in sede di comparsa conclusionale depositata il 3.1.2021, svolge ulteriori osservazioni critiche e censure avverso l'elaborato peritale, sia in relazione al contenuto che alla sottoscrizione del manoscritto testamentario.
Orbene, da un'attenta lettura delle osservazioni tecniche della consulente di parte degli ..., Paola Meloni, nell'ambito dell'iter procedimentale, e del verbale dell'udienza del 22.01.2021, successiva al deposito della consulenza, emerge in primo luogo, chiaramente, come le osservazioni e i rilievi svolti dagli appellanti riguardassero esclusivamente l'apposizione e l'individuazione della data esatta di redazione del testamento, senza che fosse contestato quanto sostenuto dal ctu in merito all'autografia del testamento.
Sul punto, questa Corte non ignora che, con ordinanza n. 1990/2020, la Seconda Sezione della Suprema Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente per la risoluzione, da parte delle Sezioni Unite, della questione riguardante l'ammissibilità o meno delle contestazioni avverso la consulenza tecnica d'ufficio svolte per la prima volta in sede di comparsa conclusionale.
A tal fine, giova rilevare che sono tuttora esistenti, nella giurisprudenza di legittimità due orientamenti contrapposti in merito alla possibilità di contestare la ctu direttamente in sede di comparsa conclusionale: per un primo orientamento, minoritario (Cass. n. 15418/2016) si dovrebbe distinguere tra l'ipotesi di contestazioni, svolte in sede di comparsa conclusionale, relative al procedimento seguito dal consulente, da ritenersi affette da nullità relativa, dal caso delle contestazioni riguardanti il contenuto della consulenza che, in quanto mere argomentazioni difensive, potrebbero essere introdotte anche in sede di comparse conclusive; un secondo orientamento, attualmente maggioritario ritiene che le osservazioni alla ctu svolte in sede di comparsa conclusionale devono ritenersi tardive- e in quanto tali inammissibili-poiché la sede naturale finalizzata alla critica delle risultanze raggiunte dal consulente tecnico d'ufficio -la quale consentirebbe la disposizione di un eventuale e tempestivo supplemento di istruttoria da parte del giudice- è l'udienza successiva al deposito della relazione.
In particolare, con la pronuncia n. 29099/2017, la Suprema Corte ha ribadito che "le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d'ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché sono soggette al termine di preclusione di cui al secondo comma dell'art. 157 cod. proc. civ., dovendo, pertanto, dedursi - a pena di decadenza - nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito (v. Sez. 3, Sentenza n. 4448 del 25/02/2014 Rv. 630339; Sez. 1, Sentenza n. 24996 del 10/12/2010 Rv. 615785; Sez. 2, Sentenza n. 12231 del 19/08/2002 Rv. 556941)"
Orbene, nel caso di specie, poiché all'udienza del 22.1.2021, successiva al deposito della consulenza da parte della dott.ssa B., gli ... si sono limitati a contestare la ricostruzione operata dal perito in ordine alla data apposta allo scritto testamentario, senza nulla aggiungere in merito al contenuto e alla sottoscrizione del manoscritto, la Corte ritiene di aderire all'orientamento maggioritario sopra citato e, pertanto, ritiene inammissibili, in quanto tardive, le argomentazioni difensive svolte per la prima volta in sede di comparsa conclusionale.
Invece, per quanto concerne le doglianze relative alla data apposta al testamento olografo, essendo le stesse state sollevate all'udienza successiva al deposito della consulenza, e prima ancora in sede di osservazioni da parte del ctp avv. Meloni, devono essere svolte le seguenti considerazioni.
In sede di osservazioni, il ctp degli ... ha lamentato che nella bozza inviata dal ctu, dott.ssa B., non fosse stato preso in considerazione un elemento macroscopico, ovvero che la composizione numerica dell'anno non sia 1995, ma 19095, chiedendo, conseguentemente, che al ctu "di argomentare sullo specifico punto e di fornire al giudice la spiegazione dell'iter logico che, sulla base del dato oggettivo, l'ha condotto ad eliminare la cifra delle centinaia si da ricostruire l'anno come "1995" anziché in quello che oggettivamente risulta essere stato vergato, ossia "19095".
Il perito, con una motivazione congrua e condivisa da questo giudice ha fornito una spiegazione che tiene conto dell'età avanzata del testatore -che, così come emerge dal dato contenutistico del manoscritto, non ha più la mano ferma- con le eventuali ripercussioni sulla grafia: una di queste, argomenta il ctu a pagina 31, "consiste proprio nella reiterazione dell'occhiello superiore del numero 9, collegato e parte di quella cifra, il 9, appunto, e non uno zero, come sostiene il CTP, perché chi scrive non è contento del risultato ottenuto, ed accanto all'area superiore distorta e pasticciata, ne disegna una che più soddisfi il modello astratto che ha in mente".
Peraltro, a prescindere dalle contestazioni in merito alla data apposta nello scritto testamentario, giova osservare che la data può essere individuata, sulla scorta di questo pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, tramite il contenuto intrinseco dello scritto testamentario.
Sul punto, la Suprema Corte, con sentenza n. 10613/2016, ha affrontato le medesime questioni giuridiche della presente controversia, occupandosi dei requisiti essenziali del testamento olografo -nella specie della indicazione della data- e delle conseguenze giuridiche derivati nell'ipotesi in cui venga apposta una data apparentemente inesatta, poiché impossibile.
Nella predetta pronuncia i giudici di legittimità hanno statuito che "l'indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta, cioè ad errore materiale del testatore (per distrazione, ignoranza od altra causa), anche se concretantesi in una data impossibile, non voluta, però, come tale, dal testatore, può essere rettificata dal giudice, avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, così da rispettare il requisito essenziale dell'autografia dell'atto (Cass. 5 giugno 1964, n. 1374). Secondo la S.C., l'apprezzamento del giudice del merito circa la sussistenza di un mero errore materiale del testatore nella redazione della data e circa l'esclusione dell'intenzione del testatore d'indicare, invece, volutamente una data impossibile - che, come tale, renderebbe annullabile il testamento, perché equivalente a data inesistente - è incensurabile in Cassazione, qualora sia sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi di logica o di diritto Sul punto la sentenza contiene una articolata esposizione delle ragioni che hanno indotto la Corte di appello di Genova a credere che uno dei due 1 della cifra 112 sia addebitabile a una "imperfezione grafica" in cui è incorsa la testatrice nel ricalcare lo stesso numero, precedentemente trascritto. Per dar ragione del proprio convincimento il giudice dell'impugnazione si è soffermato su alcune peculiarità della parte della scrittura che interessava la datazione, sottolineando come la distanza esistente tra i due tratti verticali della cifra 112 risultasse visibilmente inferiore alla distanza che separava ciascuna delle restanti cifre che componevano all'interno della data, uno stesso numero".
Ciò posto, il testamento di A. ... è del seguente tenore (doc n. 1 del fascicolo di primo grado di M.F.) "lascio i miei beni case soldi terreni e tuta l'eredità avuta da mio fratello S. a mia nipote F.M. per avermi dato cura durante la mia infermità".
Orbene, nel caso di specie, anche qualora dovesse ritenersi che la cifra apposta al testamento sia 19095 - circostanza esclusa dal ctu- ad avviso della Corte correttamente - la distanza verticale tra i due tratti centrali della cifra, ovvero lo 0 e il 9, che potrebbe far apparire l'anno quale 19095, considerata la distanza visibilmente inferiore che separa ciascuna di queste rispetto alle restanti cifre, consente di individuare l'anno, anche in tale ipotesi, nel 1995.
Inoltre il riferimento del testatore a "tuta l'eredità avuta da mio fratello S.", deceduto in data 5.7.1991 e il richiamo della assistenza ricevuta dalla nipote M.F. durate l'infermità dello stesso, causata dall'ictus che lo aveva colpito nell'anno 1992, depongono nell'escludere che l'anno in questione possa individuarsi nel 1975.
Per quanto riguarda poi il quarto motivo -con il quale gli appellanti si dolgono della mancata valutazione della produzione documentale ritualmente e tempestivamente prodotta, asseritamente attestante le precarie condizioni psicofisiche nelle quali il testatore A. ... si trovava sin dal 1992- la Corte osserva.
Preliminarmente non può affermarsi la tempestività delle domande volte a lamentare l'invalidità del testamento olografo di A. ... per incapacità naturale dello stesso, non trovando riscontro, negli atti del primo grado di giudizio, quanto sostenuto dagli appellanti in merito alla formulazione delle stesse sin dall'udienza del 5 dicembre 2001.
Dall'esame del relativo verbale del 5 dicembre 2001, udienza immediatamente successiva quella del 22.10.2001 nella quale M.F. si era costituita in prosecuzione di A. ..., quale sua unica erede testamentaria, risulta che F. ... avesse affermato che "la totale diversità della grafia usata per redigere il documento, con particolare riferimento alla sottoscrizione, ed ancora la data di redazione del testo olografo, le precarie condizioni psicofisiche in cui ... A. si trovava dal 1992, infine la circostanza che il documento -redatto nel 1975- con il quale ha disposto anche del patrimonio che sarebbe a lui pervenuto dalla morte (non ancora avvenuta) del fratello ... S. fanno ritenere che il testamento olografo in questione sia materialmente e ideologicamente falso. Per l'effetto il sig. ... F. intende proporre querela di falso ai sensi dell'art. 221 e segg. c.p.c. avente per oggetto il sopradescritto testamento olografo di ... A., in quanto il contenuto, la scrittura privata e la sottoscrizione dello stesso non sono riconducibili alla sua volontà e alla sua mano".
Ciò premesso, in sede di udienza di precisazione delle conclusioni del 18 gennaio 2005 e, successivamente all'udienza di precisione conclusioni del 27 novembre 2008, F. ... ha proposto una serie di domande, mai formulate prima, e inerenti ulteriori profili, talvolta non corrispondenti alle categorie di invalidità codicistiche, relativi al testamento olografo di ... A.; in specie l'attore ha domandato di "dichiarare la nullità del testamento stesso in quanto redatto da persona incapace di intendere e di volere" e di "dichiarare nullo il documento per la manifesta assenza della libera e cosciente volontà del testatore, in relazione anche alla sua età, alle sue condizioni fisiche e al suo stato di salute di mente";
Ebbene, le domande sopra riportate, formulate per la prima volta all'udienza del 18.1.2005, e riproposte in sede di appello, così come risultavano nuove nel primo grado di giudizio - come correttamente rilevato dal giudice di prime cure- risultano nuove, e quindi inammissibili ai sensi dell'art. 345 c.p.c., in questa sede.
Sul punto la Suprema Corte (Cass. n. 2529/2018) ha statuito "il divieto di nova sancito dall'art. 345 cod. proc. civ., che riguarda non soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma anche le contestazioni nuove, ossia quelle non esplicate in primo grado e ciò perché nuove contestazioni in secondo grado, modificando i temi di indagine, trasformerebbero il giudizio d'appello da mera revisio prioris istantiae in iudicium novum, il quale è estraneo al vigente ordinamento processuale. Come già affermato da questa Corte (Cass. 13/10/2015, n. 29592; v. anche Cass. 28/02/2014, n. 4854) "è la logica stessa del sistema che esclude che in appello... possano introdursi nuove contestazioni in punto di fatto ...".
Nondimeno, nella sentenza non definitiva n. 1297/2009, il Tribunale, dopo aver rilevato come alcune delle domande formulate dagli ... fossero precluse, in quanto formulate tardivamente, ha affermato che le stesse dovessero "del resto essere comunque rigettate nel merito non essendo stata né fornita né tempestivamente proposta la prova dei fatti ivi genericamente indicati a sostengo della pretesa (quanto ad esempio alla allegata incapacità psico fisica del testatore).
In proposito lamentano l'omessa valutazione delle cartelle cliniche di A. ..., asseritamente prodotta dagli ... all'udienza del 15.11.2002, e contraddistinte ai numeri 8) e 9); tali documenti tuttavia risultano assenti dai fascicoli di parte degli ... relativi al processo di primo grado, e allo stesso modo non risultano neppure indicati tra le produzioni effettuate nel presente giudizio di appello.
Secondo la giurisprudenza di legittimità " In virtù del principio dispositivo delle prove, il mancato reperimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti, si presume, perciò, espressione, in assenza della denuncia di altri eventi, di un atto volontario della parte stessa, che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti; ne consegue che è onere della parte (qui genericamente allegato solo in sede di legittimità) dedurre quella incolpevole mancanza e che il giudice è tenuto ad ordinare la ricerca o disporre la ricostruzione della documentazione non rinvenuta solo ove risulti l'involontarietà della mancanza, dovendo, negli altri casi, decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione" (Cass. Sez. 6 - 3, 26/04/2017, n. 10224; Cass. n. 16786/2019).
Ebbene, considerato che alla stessa udienza del 15.11.2002, il giudice istruttore ha così disposto "nell'accordo autorizza il ritiro dei fascicoli al fine di consentire la raccolta separata e progressiva dei documenti prodotti; ordina il deposito dei fascicoli entro il 10.1.03", e che, anche nel fascicolo di parte del grado d'appello non risultano prodotti i documenti riguardanti il ricovero subito da A. ..., la Corte ritiene che la parte appellante non abbia adempiuto l'onere di produzione della documentazione indicata a fondamento del motivo in esame, il quale deve essere, conseguentemente, disatteso.
Per completezza è appena il caso di rilevare che quand'anche tale documentazione fosse presente in atti, il contenuto della stessa, secondo la stessa prospettazione di parte appellante, attesterebbe eventualmente la dimissione del signor A. ... per un ictus celebrale con esito di emiparesi, che niente dimostrerebbe in merito alla dedotta incapacità naturale dello stesso nel giorno di redazione del testamento, secondo quanto più sopra esposto datato 15.9.1995.
Al contrario, la costituzione in giudizio di A. ... mediante valida procura rilasciata al suo difensore, avvenuta in data 29.6.1999, la proposizione una domanda riconvenzionale tesa all'accertamento di propri beni, specificamente individuati e lo stesso contenuto del testamento, ove il testatore si riferisce alla sua infermità e richiama l'eredità avuta quattro anni prima del fratello S., costituiscono elementi che, complessivamente valutati, inducono a ritenere che A. ... fosse, a quella data, perfettamente orientato nello spazio e nel tempo, non lasciando dubbi circa la sua capacità a testare. Dal rigetto del motivo d'appello discende l'inammissibilità delle relative istante istruttorie reiterate in questo grado di giudizio.
Tanto premesso, la sentenza di primo grado deve trovare piena conferma in relazione al fatto che il contenuto e la sottoscrizione del testamento olografo prodotto nel corso del giudizio di primo grado da M.F. appartengano ad A. ... e che la data apposta allo stesso debba essere individuata nell'anno 1995, risultando, conseguentemente, M.F. l'unica erede testamentaria di A. ....
Con un unico, articolato, motivo d'appello, relativo alla causa iscritta al RAC n. 171/2017, M.F. impugna la sentenza "unicamente in relazione al rigetto o, meglio, al mancato esame da parte del Tribunale della domanda riconvenzionale proposta dal suo dante causa ... A., con la quale è stata chiesta la condanna dell'attore ... F. e del chiamato in causa ... G. al rilascio dell'immobile, appartenuto in proprietà, iure proprio, allo stesso ... A., più volte ricordato. "
Preliminarmente l'appellante afferma di aver prodotto, nel corso del primo grado di giudizio, il titolo d'acquisto del sopracitato immobile -distinto nel catasto di V. S. P. a Foglio (...), mappale (...) (di are 62.30) e al Foglio (...), mappale (...) sub (...) (di ettari 22.79.40) formanti tra loro unico corpo- costituito dal rogito di compravendita del Notaio Fr. V. del (...) (doc. 14 fascicolo F.).
Detta circostanza non sarebbe stata contestata dall'attore F. ... e dal figlio, chiamato in causa, G. ..., che infatti hanno:
a) affermato, in sede di comparsa di costituzione e risposta depositata in data 11.11.1999, di essere nel possesso dei terreni in questione sin dal 1988 e chiesto L. 80.000.000 a titolo di indennizzo per (presunte) migliorie apportate ai beni sopra indicati;
b) riconosciuto esplicitamente, nella memoria istruttoria depositata in data 9.1.2001, che la proprietà dei fondi in parola appartenesse ad A. ...;
c) chiesto, in sede di precisazione delle conclusione all'udienza del 12.9.2015, la condanna di M.F. al rimborso in favore di G. ... della somma di 40.000,00 Euro, quale maggior somma tra lo speso e il migliorato, a titolo di indennizzo per gli asseriti miglioramenti apportati ai medesimi immobili.
Infine, l'appellante chiede la rappresentazione dei frutti percetti e percipiendi e/o il risarcimento dei danni sofferti da A. ..., dall'anno 1988, o dal 1992 o, in subordine, dalla data della domanda al rilascio effettivo degli immobili.
L'appello proposto da M.F. è fondato e, pertanto, merita accoglimento.
In limine la Corte ritiene che la domanda riconvenzionale proposta da A. ... in sede di comparsa di costituzione e riposta depositata il 29.6.1999, sia ammissibile.
A tal fine, è dirimente richiamare la disciplina codicistica dettata dall'art. 36 c.p.c. in materia di domanda riconvenzionale, alla luce della lettura proposta dalla più recente giurisprudenza di legittimità
L'art. 36 c.p.c. prevede testualmente che "Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti".
La Suprema Corte ha avuto di recente modo di affrontare le medesime questioni giuridiche oggetto della presente controversia, effettuando una puntuale ricostruzione dell'istituto della domanda riconvenzionale, anche alla luce di una lettura sistematica e non frammentaria dell'ordinamento giuridico, giungendo ad affermare che, la domanda riconvenzione formulata da una parte convenuta nel giudizio sarebbe ammissibile anche laddove non fosse fondata sul titolo dedotto in giudizio dall'attore o già entrato in causa quale fondamento di eccezione (Cass. n. 533/2020).
Nel caso esaminato dai giudici di legittimità, la Corte d'Appello "dopo aver descritto la questione (per cui il primo giudice aveva dichiarato inammissibile la domanda per difetto dei presupposti di cui all'articolo 36 c.p.c.) e constatando che il titolo della domanda riconvenzionale era diverso da quello della domanda principale ... esclude poi la sussistenza di un collegamento obiettivo idoneo a fondare il processo simultaneo ai sensi dell'articolo 111 Cost. Mediante la seconda parte di una frase che nella prima parte richiama giurisprudenza, seconda parte che ostenta un contenuto assai generico: "... Stante l'evidente diversità e molteplicità dei rapporti giuridici dedotti, nonché l'evidente diversità dei soggetti giuridici coinvolti, sono proprio le evidenti ragioni di economia e speditezza processuale ad escludere anche l'opportunità del "simultaneus processus" ..."
Ciò posto, nella medesima pronuncia è chiarito come "L'articolo 36 c.p.c., alla luce di una evidente ratio che, all'epoca della sua origine, si rapportava al tradizionale principio dell'economia processuale, in seguito dilatato nel principio della ragionevole durata del processo attraverso la novellazione dell'articolo 111 Cost., concentra in un unico giudizio, purché non si travalichi la competenza per materia o per valore del giudice della causa principale, "domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione" .... La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha chiarito che attivare il processo simultaneo sulla base "lata" dell'articolo 36 c.p.c. - ovvero, in difetto del fondamento su titoli già introdotti per domanda o per eccezione, in sostanza come avviene per una riunione di cause ex articolo 274 c.p.c. - costituisce l'esercizio di un potere discrezionale del giudice, il quale, però, chiaramente per non scivolare nell'arbitrio - e dunque per non svuotare la valenza dei principi sottesi alla sua discrezionalità, cioè quelli, già citati, di economia processuale e ragionevole durata -, deve fornire una motivazione specifica e non apparente. Ciò soprattutto se il giudice nega la riunione, giacché, a ben guardare, questo spazio, ulteriore rispetto alla lettera, che l'interpretazione nomofilattica ha evinto dall'articolo 36 c.p.c. discende da una implicita presunzione di opportunità del processo simultaneo, come strumento finalizzato tanto all'accelerazione procedurale quanto alla coerenza dell'esito.
Tale sensibilità verso il diniego si rinviene, tra gli arresti massimati, per esempio, in Cass. sez. 3, 4 luglio 2006 n. 15271, per cui "qualora la domanda riconvenzionale non ecceda la competenza del giudice della causa principale, a fondamento di essa può dedursi anche un titolo non dipendente da quello fatto valere dall'attore a fondamento della sua domanda, purché sussista con questo un collegamento oggettivo che giustifichi l'esercizio, da parte del giudice, della discrezionalità che può consigliare il "simultaneus processus". Pur trattandosi di una valutazione discrezionale del giudice di merito, questi è tenuto a motivare il rifiuto di autorizzazione, opposto alla introduzione di una riconvenzionale non connessa, senza limitarsi a dichiararla inammissibile esclusivamente per la mancata dipendenza dal titolo dedotto in giudizio"; e in generale, da ultimo, Cass. sez. 1, 4 novembre 2013 n. 24684 ha ribadito che "la declaratoria di inammissibilità di una domanda riconvenzionale non dipendente dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello già appartenente alla causa come mezzo di eccezione costituisce l'esito di una valutazione riservata all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove sia stata adeguatamente argomentata l'inopportunità del "simultaneus processus" " (sulla connessione oggettiva presupposto dell'esercizio del potere discrezionale di riunione da parte del giudice cfr. pure, tra gli arresti non maggiormente risalenti, Cass. sez. 3, 20 dicembre 2011 n. 27564 - per cui "la relazione tra domanda principale e domanda riconvenzionale, ai fini dell'ammissibilità di quest'ultima, non va intesa in senso restrittivo, nel senso che entrambe debbano dipendere da un unico ed identico titolo, essendo sufficiente che fra le contrapposte pretese sia ravvisabile un collegamento obiettivo, tale da rendere consigliabile ed opportuna la celebrazione del "simultaneus processus", a fini di economia processuale ed in applicazione del principio del giusto processo di cui all'art. 111, primo comma, Cost. (Fattispecie relativa a domanda principale di rilascio per finita locazione e domanda riconvenzionale di accertamento dell'avvenuta conclusione di contratto di compravendita dell'immobile locato, in conseguenza dell'accettazione di proposta contenuta in un patto d'opzione).-, Cass. sez. 2, 7 aprile 2006 n. 8207, Cass. sez. 3, 26 settembre 2005 n. 18775, Cass. sez. 3, 14 gennaio 2005 n. 681, Cass. sez. 1, 14 febbraio 2000 n. 1617 e Cass. sez..2, 12 maggio 1999 n. 4696)".
Avuto riguardo al caso di specie, la Corte osserva che vi sono plurimi motivi che giustificano il "simultaneus processus" della domanda di divisione, proposta nell'interesse comune delle parti nel primo grado di giudizio, e la domanda riconvenzionale proposte da A. ....
In specie depongono in tal senso le seguenti circostanze:
- la domanda di rilascio proposta da A. ... riguardava beni che si trovavano nel possesso di F. ..., già parte del giudizio poi proseguito nei confronti dei suoi eredi, e di G. ..., figlio di F. il quale, nel costituirsi in giudizio, non ha negato di essere nella disponibilità materiale di detti beni;
- la vicenda processuale va complessivamente inquadrata nell'ambito di una divisione ereditaria di beni familiari, laddove la gestione degli stessi era, per alcuni di essi, certamente congiunta o, in ogni caso, non regolamentata; nello specifico, dal contratto di compravendita, a rogito del Notaio Fr. V. in data (...) (doc. 14 del fascicolo di primo grado) con il quale A. ... aveva acquistato il terreno, sito in agro di V. S. P., distinto in catasto al Foglio (...), mappale (...) (di are 62.30) e al Foglio (...), mappale (...), sub (...) (di ettari 22.79.40), emerge come S. ..., con lo stesso atto, avesse acquistato alcuni terreni adiacenti e contigui a quelli acquistati dal fratello A. ..., ovverosia "a) seminario arborato di 3 classe -in catasto a foglio quindici ((...))-mappale nove ((...)) di ettari cinque, are novantotto e dieci (05.98.10)- reddito L. 598.10; b) seminativo di 4 classe in catasto foglio quindici ((...)) -mappale trentatré ((...)) subalterno B ((...)) di ettari diciassette, are quarantatré e sessanta (17.43.60)", al fine di costituire, come si legge nell'intestazione dell'atto, una "piccola proprietà contadina". Ebbene, tali terreni, acquistati da S. ..., sono stati indicati tra quelli oggetto della massa dividenda del suo patrimonio, oggetto della domanda di divisione nell'interesse comune delle parti; conseguentemente, è ravvisabile un collegamento obiettivo in tal senso tra la stessa domanda di divisione e la domanda riconvenzionale proposta da A. ....
- da ultimo, la causa relativa alla domanda riconvenzionale è stata istruita, con audizione di testi e produzione di documenti e, pertanto, una sua pronuncia di inammissibilità della causa comporterebbe una duplicazione dell'istruttoria già svolta, non rispettosa certamente dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, considerato che il presente procedimento è iniziato con la domanda di divisone nel comune interesse nell'anno 1999.
Sulla scorta dei principi su richiamati, non vi è dunque motivo di ritenere la domanda riconvenzionale proposta da A. ... - con la quale egli ha chiesto l'accertamento della sua proprietà sull'immobile sito in V. S. P. distinto in catasto al foglio (...), mappale (...) (di are 62.30) e al foglio (...), mappale (...) sub (...) (di ettari 22.79.40) nonché alla rappresentazione dei frutti percetti e percipiendi da tale immobile e/o al risarcimento dei danni sofferti dallo stesso- inammissibile, in ragione sia del collegamento obiettivo che giustifica la trattazione unitaria delle domande già proposte nel corso del primo grado di giudizio, sia dei principi della ragionevole durata del processo e di economia processuale.
Tanto premesso, nel merito la domanda di rilascio è fondata e va accolta.
A. ..., in sede di memorie e deduzioni istruttorie ai sensi dell'art. 184 c.p.c., depositate in data 7.2.2001, ha prodotto il titolo di acquisto dell'immobile di cui è causa, costituito dal contratto di compravendita, a rogito del Notaio Fr. V. in data (...) (doc. 14 del fascicolò di primo grado) di acquisto del terreno, sito in agro di V. S. P., distinto in catasto al Foglio (...), mappale (...) (di are 62.30) e al Foglio (...), mappale (...), sub (...) (di ettari 22.79.40).
Inoltre, l'attore F. ..., unitamente al figlio chiamato in causa G. ..., ha, in più occasioni, implicitamente riconosciuto la proprietà di detti terreni in capo ad A. ..., così come emerge:
- dalla comparsa di costituzione e risposta di G. ..., datata 11.11.1999, laddove si afferma che "i terreni siti in V. S. P. distinti in catasto al F.g. (...), mappale (...) di are 62.30 e mappale (...) di ettari 22.79.40, sono posseduti sin dal 1988 pubblicamente, pacificamente ed esclusivamente da ... G., il quale li ha arati, seminati e sottoposti a colture foraggere, sfruttandoli, peraltro, anche con il pascolo del proprio bestiame ovino";
- dalla memoria istruttoria depositata in data 10.2.2001 dove, alle pagg. 2 e 3, F. e G. ... deducono capi di prova relativi al loro utilizzo del suddetto bene, sito in V. S. P. e distinto al F.g. (...), al fine dell'esercizio di attività agricole e di pascolo di bestiame.
L'appello di M.F. merita, pertanto, accoglimento, e la sentenza impugnata deve essere riformata nella parte in cui ha omesso di esaminare la domanda riconvenzionale formulata da A. ... e per lui, in questa sede, dalla sua unica erede testamentaria M.F., nei confronti di F. ..., e quindi dei suoi eredi, odierni appellati e di G. ..., tesa al rilascio dell'immobile sito in V. S. P. e distinto in catasto al F.g. (...), mappale (...) di are 62.30 e mappale (...), sub (...), di ettari 22.79.40, la quale deve, altresì, trovare accoglimento.
Ciò premesso, avuto riguardo alla domanda risarcitoria formulata dalla F. in relazione all'occupazione dei terreni in parola, giova richiamare in merito all'an debeatur, la più recente giurisprudenza di legittimità che, con sentenza n. 39/2021, ha affermato : "in continuità alla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. N. 32108/2019; Cass. N. 1657/2019) che ha rilevato che nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subìto dal proprietario è in realtà oggetto di una presunzione correlata alla normale fruttuosità del bene, presunzione che, tuttavia, essendo basata sull'id quod plerumque accidit, ha carattere relativo, iuris tantum, e quindi ammette la prova contraria (Cass. 7 agosto 2012, n. 14222; Cass. 15 ottobre 2015, n. 20823; Cass. 9 agosto 2016, n. 16670), non potendosi quindi correttamente sostenere che si tratti di un danno la cui sussistenza sia irrefutabile, posto che la locuzione "danno in re ipsa" va tradotta in altre ("danno normale" o "danno presunto"), più adatte ad evidenziare la base illativa del danno, collegata all'indisponibilità del bene fruttifero secondo criteri di normalità, i quali onerano l'occupante alla prova dell'anomala infruttuosità di uno specifico immobile" che "il danno da occupazione "sine titulo", in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell'onere probatorio di tale natura non può includere anche l'esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto (Sez. 3, n. 13071, 25/5/2018, Rv. 648709)".
Nel caso di specie A. ..., e successivamente la sua erede M.F., hanno allegato che l'immobile di sua proprietà, sito in V. S. P. e distinto in catasto al F.g. (...), mappale (...) di are 62.30 e mappale (...), sub (...), di ettari 22.79.40, fosse nella disponibilità materiale di F. e G. ... fin dagli ultimi anni di vita di A. ... ed utilizzati nell'ambito dell'azienda agro-pastorale gestita da G. ..., e tale allegazione non solo non è stata oggetto di contestazione, ma, al contrario, è stata confermata proprio da quest'ultimo sia esplicitamente, sia mediante la richiesta di indennizzi per asserite migliorie apportate ai fondi in esame nell'ambito di tale gestione.
Conseguentemente, sulla scorta dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte ritiene che A. ..., e per lui la sua erede M.F., abbia soddisfatto i criteri posti al fine di poter ritenere soddisfatto l'onere probatorio a suo carico, volto a dimostrare il danno derivante dal mancato godimento del bene, il quale possiede certamente una natura fruttifera.
Peraltro, considerato che è emerso dalle dichiarazioni rilasciate in corso di causa, come fosse stato lo stesso A. ..., inizialmente, a richiedere l'aiuto del nipote G. ... al fine di gestire l'azienda agro-pastorale che insiste sugli immobili de quo, la domanda di risarcimento del danno per il mancato godimento degli stessi deve essere accolta con decorrenza dal 29.6.1999, data della proposizione della domanda nel giudizio di primo grado, fino alla data di effettivo rilascio del bene.
Tanto premesso, la Corte ritiene, di assurgere a parametro equitativo, ai sensi dell'art. 1226 c.c., al fine di stabilire la misura del risarcimento dovuto, il criterio della loro redditività in relazione alla concreta capacità d'uso ovvero, in sua mancanza, al valore locativo degli stessi immobili.
Appare quindi necessario, ai fini della quantificazione della somma dovuta a tale titolo, disporre, con separata ordinanza, consulenza tecnica d'ufficio, volta a quantificare la somma spettante a M.F. per il mancato godimento degli immobili, siti in comune di V. S. P., distinti a Foglio (...), mappale (...) (di are 62.30) e al Foglio (...), mappale (...) sub (...) (di ettari 22.79.40) formanti tra loro unico corpo, per il periodo intercorrente tra il 29.6.1999, data della domanda, e la data di effettivo rilascio del bene.
Con il quinto motivo d'appello, relativo alla causa RAC n. 295/2017, ci si duole del "mancato esame nella sentenza definitiva n. 1476/2016 delle domande proposte da ... G.".
In primis l'appellante lamenta che il giudice di prime cure avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda, formulata dal terzo chiamato in causa G. ... nei confronti di A. ..., "circa l'inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta da quest'ultimo nei suoi confronti, con il quale è stato chiesto il rilascio dell'immobili, già appartenuto in proprietà allo stesso ...", atteso che condizione unica di ammissibilità della domanda riconvenzionale è, a norma dell'art. 36 c.p.c., la dipendenza del titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione.
Inoltre, l'appellante si duole che il Tribunale non si sia pronunciato sulla domanda di condanna di A. ... in favore di G. ... a corrispondere il rimborso spettante a quest'ultimo per le migliorie apportati ai beni da lui posseduti, con particolar rifermento alla ristrutturazione dei fabbricati destinati ad uso abitazione, magazzino e porcilaia, per la messa in opera di pompe in polietilene e bonificazione del terreno e, infine, per la realizzazione di una gora, complessivamente quantificati in L. 80.000.000.
In relazione alla prima doglianza, si tratta di questione ormai assorbita, alla luce di quanto sopra argomentato in relazione alla domanda riconvenzionale di A. ..., quale riproposta dalla sua erede M.F.;
La doglianza relativa all'omessa pronuncia relativamente alla domanda di condanna di A. ... in favore di G. ... al rimborso delle migliorie asseritamente apportate ai beni da quest'ultimo posseduti, è infondata.
In limine, è dirimente osservare che G. ..., nel costituirsi nel primo grado di giudizio, con comparsa di costituzione e risposta del 12.11.1999, aveva genericamente affermato di avere ivi apportato "numerosi miglioramenti ed addizioni; in particolare ha ristrutturato i fabbricati destinati ad uso abitazione, magazzeno e porcilaia. Ha messo in opera delle pompe in polietilene ed ha bonificato parte del terreno e vi ha realizzato una gora. Per questi lavori e per altri che verranno specificati e quantificati in corso di causa, il sig. ... G. ha sostenuto spese per un importo di L. 80.000.000 circa".
Nelle memorie istruttorie depositate da F. e G. ... in data 10.2.2001 a specificazione delle deduzione istruttorie svolte nella comparsa di costituzione e risposta di G. ... del 12.11.1999, ove era stato genericamente richiesto interrogatorio formale dell'attore "sulla circostanza di fatto della parte espositiva, segnatamente per ciò che concerne il possesso esercitato sugli immobili ... riservata migliore capitolazione"- era state dedotta prova testimoniale, in realtà capitolata in modo non del tutto preciso e circostanziato, avente ad oggetto le asserite attività da costui realizzate al terreno sito in V. S. P. oggetto di rivendica da parte di A. ....
Orbene, i testi assunti, in relazione al capo:"vero che su tali terreni di cui al precedente capo 5, i signori ... F. e ... G. esercitano la loro attività ormai da molti anni ed hanno altresì impiantato un'azienda agro pastorale con impiego di capitali, apportandovi opere di miglioramento ed in particolare: ovili, strade e recinzioni", in taluni casi hanno affermato di non ricordare se i lavori indicati fossero stati eseguiti nei terreni indicati dall'attore, ovvero confermato, in modo assolutamente generico, che le opere apportate ai beni indicati erano state correttamente e/o regolarmente eseguiti dai predetti ... o da altri soggetti, senza fornire indicazioni circa i tempi di esecuzione, la tipologia dei lavori, i relativi costi ecc, la ubicazione degli stessi.
In specie, il teste D.C., escusso all'udienza del 30.11.2010, in relazione al capo 6) della prova dedotta dagli attori, ha affermato che "quando lavoravo con i sigg. ... F. e G., gli stessi avevano fatto un pozzo artesiano e opere di irrigazione; nonché la realizzazione della casa di abitazione ed il rifacimento di una stalla. Queste opere sono state eseguite nei terreni siti in V. S. P., non posso specificare se si tratti dei terreni indicati nel capo 5".
Il teste G.M., sentito all'udienza del 14 febbraio 2012, ha affermato di essere a conoscenza che "i convenuti F. ... e A.F. avevano un'azienda agricola in comune di Villa San Pietro. Ne sono a conoscenza perché ho eseguito alcuni lavori nell'azienda per conto di F. ... e prima di lui per suo padre. Ho eseguito dei lavori circa 28 anni fa" e, rispondendo in modo specifico sul capo 6) ha specificato di aver "eseguito per conto di F. ... uno scavo con il mio escavatore circa 28 anni fa. Il lavoro è durato una giornata".
Infine, all'udienza del 22.5.2012, il teste A.F., rispondendo al quesito relativo al capo 6) della memoria istruttoria di parte attrice, come sopra riportata, ha affermato di sapere che F. e G. ... gestivano un'azienda agro-pastorale nei terreni in località "S.M." ma di non sapere se "l'ovile è stato ristrutturato da G. e F. ...".
Alla luce di tali risultanze, del tutto generiche, non può ritenersi raggiunta la prova in relazione all'an e al quantum della pretesa, relativa alle asserite migliori apportate al terreno, sito in V. S. P., distinto in catasto al F.g. (...), mappale (...) di are 62.30 e mappale (...) di ettari 22.79.40 da parte di F. e G. ....
L'appello va dunque sul punto respinto.
Il regolamento delle spese va riservato alla sentenza definitiva.
P.Q.M.
La Corte d'Appello di Cagliari, non definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, istanza od eccezione:
1) rigetta l'appello principale proposto da A.L. ..., A.C. ..., C. ..., D.A.B. ..., G. ..., G.A. ..., L.R. ..., M.T. ..., S. ..., S.I. ..., e A.R. ... e, per l'effetto, conferma la sentenza non definitiva n. 1297"009 nella parte in cui accerta l'autenticità del testamento olografo di A. ... e la qualità di unica erede testamentaria di A. ...;
2) accoglie l'appello proposto da M.F. avverso la sentenza definitiva n. 1476/2016 e, per l'effetto, ordina ad A.L. ..., A.C. ..., C. ..., D.A.B. ..., G. ..., G.A. ..., L.R. ..., M.T. ..., S. ..., S.I. ..., e A.R. ... il rilascio dell'immobile sito in V. S. P., distinto in catasto al F.g. (...), mappale (...) di are 62.30 e mappale (...), sub (...), di ettari 22.79.40 e dichiara tenuto G. ... a corrispondere in favore di M.F. il risarcimento del danno per il mancato godimento del suddetto immobile per il periodo intercorrente tra il 29.6.1999, data della domanda, e la data di effettivo rilascio del bene, sulla base dei criteri indicati in parte motiva;
3) Dispone con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la quantificazione della misura del risarcimento di cui al punto 3.
4) Spese al definitivo.
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile della Corte d'Appello il 7 luglio 2021.
Depositata in Cancelleria il 10 settembre 2021.
05-12-2021 15:01
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