Notizie, Sentenze, Articoli - Diritto Successorio Trapani

Sentenza

Art. 22 cpc - Foro per le cause ereditarie...
Art. 22 cpc - Foro per le cause ereditarie
art. 22 cpc - Foro per le cause ereditarie

Sommario:1. Classificazione del criterio di competenza territoriale delle cause ereditarie - 2. Ambito di applicazione dell'art. 22
1. Classificazione del criterio di competenza territoriale delle cause ereditarie

Con riguardo alle cause ereditarie, la disposizione in commento fissa un criterio di competenza territoriale speciale, individuando quale parametro oggettivo di riferimento la causa petendi della controversia (Mandrioli, Diritto processuale civile, I, 20ª ed., Torino, 2009, 265); criterio, questo, cui è consentito derogare per concorde volontà delle parti. .

La dottrina maggioritaria ritiene che detto criterio abbia il carattere dell'esclusività e che prevalga sul foro territoriale generale previsto dagli artt. 18, 19 [v. per questa qualificazione Mandrioli, 268; Montesano, Arieta, Trattato di diritto processuale civile, I, 1, Padova, 2001, 160; Tarzia, Lineamenti del processo civile di cognizione, 4ª ed., Milano, 2009, 71; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, 4ª ed., Milano, 2002, 62; Gionfrida, Competenza civile, in ED, VIII, Milano, 1961, 39, spec. 73; Levoni, Competenza nel diritto processuale civile, in Digesto civ., III, Torino, 1988, 99], ai sensi dei quali si applicano i criteri contemplati nelle predette disposizioni, salvo che la legge non preveda diversamente.

L'esclusività, nei sensi dianzi menzionati, del criterio di competenza per le cause ereditarie fa assurgere i fori ivi contenuti come gli unici atti ad individuare il giudice territorialmente competente, escludendo ogni possibilità di far ricorso ad altro foro concorrente; l'unica eccezione alla regola testé illustrata sarebbe rappresentata dall'accordo di deroga stipulato dalle parti ai sensi dell'art. 28.

Altra parte della dottrina contesta la connotazione dell'esclusività del foro territoriale in oggetto, affermando che, con riguardo alle controversie in materia ereditaria, possa essere adottato anche il criterio generale (Segrè, Della competenza per territorio, in Comm. c.p.c. Allorio, I, Torino, 1973, 214), con la conseguenza che la clausola di salvaguardia dei casi in cui la legge dispone altrimenti, contenuta negli artt. 18, 19, sarebbe limitata alle sole disposizioni cogenti, quale è quella di cui all'art. 28.

In linea con la dottrina maggioritaria, si colloca la giurisprudenza prevalente riconoscendo il carattere esclusivo, seppur derogabile, della regola contenuta nell'art. 22.

Sempre in ordine all'esclusività del foro per le cause ereditarie, si segnalano due pronunce della Suprema Corte, le quali, pur muovendo dal medesimo assunto di base, giungono a conclusioni antitetiche in punto di connessione soggettiva tra cause cumulativamente proposte: C. 1213/2003, nel caso in cui siano state proposte cumulativamente contro lo stesso convenuto più domande (anche non altrimenti connesse) ed appartenenti alla competenza di giudici diversi, stabilisce il principio in forza del quale l'art. 104, nel prevedere che dette domande possano essere proposte dinanzi al medesimo giudice, in ragione del vincolo di connessione soggettiva, consente di derogare - in virtù dell'espresso richiamo all'art. 10, 2° co. - alla sola competenza per valore, e non alla competenza territoriale esclusiva di cui all'art. 22, in relazione al quale ultimo la deroga per meri motivi soggettivi è esclusa. Diversamente C. 215/1985 afferma il principio in forza del quale in siffatta ipotesi, il carattere non inderogabile del criterio di competenza di cui all'art. 22 consente, ove la competenza del giudice adito sia sussistente in virtù della predetta disposizione di legge per una di dette domande, che essa debba riconosciuta anche con riguardo alle altre.

Per il carattere non esclusivo del criterio di competenza di cui all'art. 22 v., invece, C. 1046/1965.

Per quanto concerne il rilievo dell'eccezione di incompetenza per violazione della norma in esame si rimanda al commento sub art. 38.

In questa sede basti osservare che l'eccezione de qua, afferendo a ragioni di competenza territoriale derogabile, in quanto estranea all'alveo dell'art. 28, è ascrivibile alla categoria delle eccezioni in senso proprio che il convenuto deve sollevare, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata, secondo quanto previsto dall'art. 38 alla luce della modifica apportata dalla L. 18.6.2009, n. 69.

Sotto questo profilo si fa notare che il principio della necessità di contestazione di tutti i fori alternativamente concorrenti non opera, qualora si aderisca alla tesi dianzi illustrata di esclusività del foro di cui all'art. 22 (C. 1213/2003).

Il convenuto che solleva l'eccezione di incompetenza ratione loci ai sensi dell'art. 22 ha l'onere di provare le circostanze assunte a fondamento dell'eccezione medesima, ivi compreso il fatto che la domanda dell'attore è stata proposta prima della divisione dell'eredità.
2. Ambito di applicazione dell'art. 22

Per le cause relative alla petizione o divisione di eredità (artt. 533, 713 c.c.) e per ogni altra causa tra coeredi fino alla divisione (art. 730 c.c.), è competente il giudice del luogo di apertura della successione.

Analogamente a dirsi per le cause proposte entro un biennio dalla divisione relative alla rescissione della divisione (art. 763 c.c.), alla garanzia delle quote (art. 758 c.c.), nonché per le cause proposte prima della divisione ed, in ogni caso, entro un biennio dall'apertura della successione, relative a crediti verso il defunto (art. 752 c.c.), a legati dovuti dall'erede (art. 662 c.c.) e per le cause promosse contro l'esecutore testamentario (artt. 700, 704, 709 c.c.).

La giurisprudenza ha precisato, in particolare, che l'art. 22, 1° co., n. 3 si riferisce anche ad ogni azione personale per qualsiasi credito vantato nei confronti del defunto, indipendentemente dalla causa o dal titolo da cui è sorto, all'imprescindibile condizione che non sia ancora decorso un biennio dall'apertura della successione, senza che rilevi la circostanza che sia stato, o meno, instaurato un giudizio di divisione (C. 10097/2014).

Giusta il disposto dell'art. 456 c.c., il giudice del luogo dell'aperta successione è quello dell'ultimo domicilio del defunto.

Secondo la dottrina, la nozione di domicilio non deve essere intesa restrittivamente come «centro degli affari ed interessi economici» del de cuius, bensì deve essere interpretata estensivamente quale «luogo di interessi morali e familiari» dello stesso (Gionfrida, 73).

Sulla medesima linea interpretativa tracciata dalla dottrina si pone anche la giurisprudenza, intendendo la locuzione quale luogo ove il defunto ha concentrato la generalità dei suoi interessi materiali, economici, sociali, morali e familiari (C. 7750/1999; C. 8371/1987); e precisando che detto concetto è indipendente dalla dimora o dalla presenza effettiva del soggetto nel luogo, coincidendo esso con il luogo che la persona ha eletto quale centro delle proprie relazioni ed interessi (C. 2875/1996). Tale luogo è individuato facendo ricorso ad elementi di fatto che, in maniera diretta o mediata, rivelino la presenza del soggetto nella fase finale della sua vita (C. 8371/1987).

Per quel che concerne l'ambito applicativo della disposizione in commento, la dottrina chiarisce, con particolare riguardo all'art. 22, 1° co., n. 1, che rientrano nella categoria delle cause di petizione di eredità anche quelle preordinate all'accertamento della qualità di erede, e che devono essere incluse nell'alveo delle cause di divisione di eredità anche quelle afferenti ad una sola quota dell'asse, e non già alla sua totalità, eccezion fatta per le controversie aventi ad oggetto un determinato bene solo parzialmente incluso nella successione (Levoni, 124; Segrè, 268; Gionfrida, 74).

È, inoltre, comunemente ammesso dalla dottrina che le cause tra coeredi siano quelle che dipendono necessariamente, e non occasionalmente, dalla qualifica di erede (Levoni, 124; Segrè, 268; Gionfrida, 74).

Nei medesimi termini, ed a riguardo del nesso tra causa tra coeredi e qualifica di erede, si è espressa, altresì, la giurisprudenza.

Sul punto essa ritiene che, nelle cause tra coeredi ex art. 22, 1° co., n. 1, rientrano non soltanto le controversie riguardanti diritti caduti in successione, bensì ogni causa avente un oggetto attinente alla qualità di erede, per la quale la legittimazione attiva o passiva delle parti discenda necessariamente da tale condizione (cfr. C. 26675/2011; C. 18334/2006; C. 2249/2000).

In applicazione di questo principio la Suprema Corte ha ascritto alla portata della disposizione in commento l'azione di annullamento di un testamento pubblico, dal momento che, mediante siffatta impugnazione, la parte intende far valere la validità di un testamento preesistente e, dunque, la sua qualità di erede (C. 2557/2005).

Su questa linea C. 740/1982 ha ritenuto che l'azione di rivalsa, proposta da un coerede nei confronti di un altro, in relazione al compiuto pagamento dell'imposta di successione, rientrasse nell'ambito applicativo dell'art. 22, poiché tale domanda è necessariamente correlata alla qualità di erede (in senso conforme v. C. 1260/1997); C. 4260/1978 ha escluso che sia riconducibile alle cause di divisione ereditaria l'azione di divisione avente ad oggetto un immobile solo parzialmente compreso nell'eredità; C. 1208/1998 ha negato la sussistenza di una causa tra coeredi, ex art. 22, 1° co., n. 1, nel caso di azione di regresso conseguente all'assolvimento di un'obbligazione relativa ad un immobile di cui le parti erano comproprietarie a titolo ereditario, in quanto trattasi di comune azione che non presuppone la qualità di erede, ma sorge da un rapporto obbligatorio che può intercorrere anche tra soggetti privi della qualifica di coeredi.

Sul punto ed in tema di competenza territoriale per cause tra coeredi, la Suprema Corte ha statuito il principio in forza del quale le domande di divisione di eredità di diversa provenienza o di scioglimento di una comunione ordinaria nei confronti di soggetti anche parzialmente diversi non possono, per l'art. 22, essere proposte cumulativamente se appartengono alla competenza territoriale di giudici diversi; lo spostamento di competenza secondo il criterio del cumulo soggettivo non è possibile perché l'art. 33 riguarda il foro generale delle persone fisiche. Inoltre l'art. 104, nel prevedere che domande formulate nei confronti della stessa parte (anche non altrimenti connesse) ed appartenenti alla competenza di giudici diversi possano essere proposte davanti al medesimo giudice a causa del vincolo di connessione soggettiva, consente la deroga, per espresso richiamo al 2° co. dell'art. 10, alla sola competenza per valore, con la conseguenza che, se una delle domande appartiene alla competenza territoriale di un giudice diverso, la deroga per soli motivi di connessione soggettiva non è consentita: cfr. in termini C. 4862/2007; T. Savona 23.7.2019.

La competenza del giudice del luogo di apertura della successione, in siffatta ipotesi di controversia tra coeredi, rimane ferma oltre il momento dell'esaurimento delle operazioni di divisione di cui all'art. 713 c.c., sino a quando sia cessata ogni controversia relativa all'universalità dei rapporti giuridici facenti capo al de cuius (v. C. 1260/1997).

Riguardo ai crediti verso il de cuius, ovvero ai legati dovuti dall'erede di cui all'art. 22, 1° co., n. 3, la dottrina maggioritaria considera appartenenti all'ambito applicativo della disposizione de qua le azioni personali relative a crediti, mobiliari od immobiliari; esulerebbero, invece, le azioni reali e quelle relative a legati dovuti da soggetti che non hanno la qualità di erede (Levoni, 124; Gionfrida, 74; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, I, Napoli, 1954, 96; Satta, Diritto processuale civile, Padova, 1957, 28; Costa, Manuale di diritto processuale civile, Torino, 1955, 137. V., peraltro, in senso contrario, D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, I, Torino, 1957, n. 66 che estende l'operatività della norma anche alle azioni reali aventi ad oggetto beni mobili e Nappi, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1941, n. 89 che vi acclude anche le cause).

Una pronuncia di merito fa rientrare nella nozione di causa ereditaria di cui al n. 3 l'azione preordinata al riconoscimento della validità del legato promossa dall'asserito legatario nei confronti degli eredi (T. Avellino 8.1.2001).

È discusso in dottrina se anche le cause proposte dall'erede contro i creditori e legatari siano ascrivibili alla fattispecie di cui al n. 3 della norma all'esame (pone la questione in senso problematico Levoni, 124. La soluzione positiva è sostenuta da Gionfrida, 74; di opposto avviso è Segrè, 268).

Per quanto concerne le cause che vedono coinvolto l'esecutore testamentario di cui al n. 4 è, invece, pacifico che l'art. 22 operi con riguardo alle azioni che lo vedono nel ruolo di convenuto (Levoni, 124; Gionfrida, 74).

Se la successione si è aperta all'estero, ai sensi dell'art. 22, ult. co., le suddette cause devono proporsi davanti al giudice italiano del luogo ove è ubicata la maggior parte dei beni del defunto.

È controverso, in dottrina, se il concetto di beni si identifichi con i soli beni immobili, ovvero ricomprenda anche la categoria dei beni mobili: la dottrina maggioritaria aderisce alla prima soluzione (Andrioli, 96; Gionfrida, 74); altra parte della dottrina vi include, invece, anche i beni mobili (Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959, 124).

In ogni caso, ai fini della determinazione della «maggior parte» dei beni del defunto, si applicano i criteri fissati dagli artt. 14, 15 in punto di competenza per valore dei mobili ed immobili.

In assenza di beni ubicati sul territorio nazionale, si ricorre al criterio generale previsto dall'art. 18 del luogo di residenza del convenuto o dei convenuti; se la residenza è sconosciuta, la competenza ratione loci si individua con riguardo al domicilio od alla dimora del convenuto (Gionfrida, 74).

Si segnala una tesi dottrinale che, andando oltre il tenore letterale della disposizione in commento, considera applicabile alla fattispecie ut supra l'art. 18, ult. co.; di talché, se il convenuto non ha né residenza, né domicilio, né dimora nel territorio nazionale, o se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del luogo ove risiede l'attore (Levoni, 124).

È appena il caso di sottolineare come le suddette regole, racchiuse nell'art. 22, ult. co., riguardino la competenza e non la giurisdizione; di talché, se il giudice italiano, in relazione ad una causa ereditaria, non ha giurisdizione, ai sensi e per l'effetto dell'art. 50, L. 31.5.1995, n. 218 di diritto internazionale privato e processuale, la causa medesima sarà necessariamente sottratta dalla delibazione di merito da parte del giudice nazionale (v. per questi rilievi Tarzia, 71, nt. 13).

Con riguardo a fattispecie che presentano criteri di collegamento con altri ordinamenti si veda C., S.U., 27182/2006 secondo cui, qualora l'attore, facendo valere la qualità di erede dell'intestatario di un conto corrente bancario intercorso con istituto di credito con sede nel territorio di uno Stato aderente alla Conv. Lugano 16.9.1988 (resa esecutiva in Italia con la L. 10.2.1992, n. 198), chieda l'adempimento delle prestazioni derivanti dal contratto nel quale assuma di essere subentrato al de cuius, la controversia è devoluta alla giurisdizione del giudice del luogo in cui l'obbligazione deve essere eseguita; infatti, la causa non ha natura successoria, tale essendo, ai sensi dell'art. 50, L. 31.5.1995, n. 218 e dell'art. 22, soltanto quella tra successori (veri o presunti) a titolo universale o particolare, atteso che la qualità di erede fatta valere dall'attore, integrando esclusivamente il titolo della sua legittimazione, e non già l'oggetto principale del giudizio, può essere accertato incidenter tantum dal giudice avente giurisdizione sulle cause relative ad obbligazioni contrattuali.

Sono soggette al foro generale delle cause ereditarie anche le controversie involgenti disposizioni testamentarie relative ad azioni e quote sociali, che non rientrano tra i procedimenti relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad altro negozio avente ad oggetto tali partecipazioni o i diritti ad esse inerenti, di cui all'art. 3, 2° co., lett. b, D.Lgs. 27.6.2003, n. 168 e che, dunque, non sono di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa (C. 28537/2018).
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza