Notizie, Sentenze, Articoli - Diritto Successorio Trapani

Sentenza

Il padre dona un capannone ad uno dei suoi figli per dirimere una lite insorta t...
Il padre dona un capannone ad uno dei suoi figli per dirimere una lite insorta tra gli stessi. Non è atto simulato per la Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 22 gennaio – 19 febbraio 2014, n. 3914
Presidente Piccialli – Relatore Giusti

Fatto e diritto

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 22 luglio 2013, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ.: “V.M.A. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il fratello V.G.O. per sentire dichiarare e ordinare lo scioglimento della comunione esistente tra le parti in relazione all'immobile costituito da porzione di capannone industriale, sito in (omissis), da essi ricevuto in donazione dai genitori V.R. e G.M.V. con rogito del notaio Galizia in data 16 settembre 2002.
Si è costituito, resistendo, il convenuto, evidenziando in particolare la natura simulatoria dell'atto di donazione, privo di qualsivoglia carattere liberale da parte dei genitori a favore delle parti, ed allegando l'indivisibilità del cespite immobiliare.
Previa autorizzazione del giudice di primo grado, il contraddittorio è stato esteso anche ai genitori delle parti, al fine di vedere accertata la natura onerosa della cessione. V.R. e G.M.V. si sono costituiti deducendo la carenza di interesse ad agire del convenuto e contestando la natura simulata della donazione.
Il Tribunale, con sentenza in data 14 marzo 2011, ha dichiarato lo scioglimento della comunione inter partes in ragione di 1/2, ha assegnato l'immobile in proprietà esclusiva al convenuto, ha determinato in Euro 284.200 l'importo dovuto dal convenuto all'attrice quale conguaglio per l'assegnazione del bene immobile, ha rigettato la domanda riconvenzionale e ha dichiarato compensate tra le parti le spese di lite.
Questa pronuncia è stata confermata dalla Corte d'appello di Milano con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 4 settembre 2012. La Corte d'appello ha rilevato che l'appellante non ha prodotto alcuna controdichiarazione o documento dal quale si possa evincere la simulazione relativa della donazione in questione, giacché l'accordo presente nella scrittura privata del 22 novembre 2011 tra le parti del giudizio non dimostra alcun accordo dissimulato, altro non essendo che l'impegno di V.R. di trasferire l'immobile di cui è causa a titolo gratuito, al fine di risolvere le vertenze in corso con i figli M.A. e G.O. . Detta scrittura privata - ha proseguito la Corte di Milano - più che provare la simulazione conferma la volontà, oltre che l'impegno, di V.R. di donare l'immobile ai figli, per risolvere volontariamente la controversia insorta tra gli stessi.
La Corte territoriale ha, infine, ritenuto congrua la valutazione del valore del bene in comunione. Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello V.G.O. ha proposto ricorso, con atto notificato il 17 dicembre 2012, sulla base di tre motivi.
Ha resistito, con controricorso, V.M.A. , mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Con i primi due motivi si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. e insufficiente e illogica motivazione in punto di simulazione relativa dell'atto di donazione. Tali censure sono infondate, perché la Corte d'appello - con logico e motivato apprezzamento delle risultanze documentali - ha escluso che la scrittura privata del 22 novembre 2001 contenga la controdichiarazione in una vicenda di simulazione negoziale, essa riflettendo piuttosto l'impegno del genitore di donare ai figli il capannone ai fini di risolvere in via bonaria la controversia con gli stessi insorta, in quanto esclusi dalla nuova società familiare nel frattempo costituita. La donazione, pertanto, non è apparente, ma voluta, e ciò è dimostrato anche dal collegamento con l'anteriore transazione. Che poi la donazione non sia stata, in ipotesi, spontanea, ma esecuzione ed adempimento di un'obbligazione precedentemente assunta, come tale escludente lo spirito di liberalità, è circostanza che non rileva sotto il profilo - l'unico che qui viene in considerazione - della simulazione relativa negoziale.
Il terzo motivo, con cui si deduce insufficiente ed illogica motivazione in punto di valutazione del bene immobile oggetto di divisione, è infondato. La Corte d'appello, confermando la decisione del primo giudice, ha rilevato che il perito ha correttamente valutato il valore di mercato del bene applicando sia il metodo diretto sia quello sintetico, e che la stima ha tenuto conto dell'ubicazione dell'immobile e del suo possibile utilizzo oltre che dello stato manutentivo e delle eventuali opere generali di messa a norma degli impianti elettrici. La valutazione sulla quale si incentrano le censure del ricorrente è accertamento di fatto, in ordine al quale la sentenza impugnata, fondandosi sulle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, non può essere sindacata da questa Corte, non essendo la motivazione che la sorregge priva di logica o affetta da vizi giuridici.
Il ricorso può, quindi, essere avviato alla trattazione in camera di consiglio, per esservi rigettato”.
Lette le memorie delle parti.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, non contenendo la memoria di parte ricorrente rilievi idonei a condurre a diversa soluzione;
che, infatti, il giudice del merito ha preso in esame la scrittura privata del 22 novembre 2001, e - con una interpretazione condotta nel rispetto delle norme di ermeneutica negoziale - ha escluso che essa contenga la controdichiarazione rivelatrice di un comune intento delle parti di dar vita, con il rogito in data 16 settembre 2002, ad un contratto diverso da quello di donazione;
che, d'altra parte, l'accertamento del titolo oneroso, anziché gratuito, della cessione dell'immobile di cui al rogito 16 settembre 2002 è insuscettibile di incidere sul diritto della coacquirente V.A.M. di chiedere la divisione del cespite nei confronti dell'altro comunista;
che, in ordine alla valutazione del bene oggetto di divisione, la Corte di Milano ha fornito una spiegazione precisa e dettagliata del perché la stima effettuata dal c.t.u. riflette pienamente i valori di mercato dell'immobile;
che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;
che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.700, di cui Euro 3.500 per compensi, oltre ad accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza