Eredità: un magazzino con vano servizi. Cosa è la pertinenza?
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 23 ottobre 2013 – 10 febbraio 2014, n. 2916
Presidente Oddo – Relatore Falaschi
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 29 luglio 1991 G.C. evocava, dinanzi al Tribunale di Savona, A. ed A.V. esponendo di essere divenuto proprietario iure hereditatis dal padre di un magazzino sito in Loano, avente ingresso da via Boragine n. 15, ereditato dal fratello A.C. altro magazzino, confinante con il suo, con accesso da Corso Roma n. 8, bene che aveva venduto ai V.; aggiungeva che nella sua proprietà esclusiva rientrava anche un vano servizi, che illegittimamente era stato annesso ai locali di corso Roma, per cui chiedeva che venisse accertata la proprietà esclusiva di detto bene in capo all'attore, con condanna dei V. all'immediato rilascio.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, il giudizio veniva interrotto a seguito del decesso di A.V., riassunto nei confronti di E.V., oltre che di A., rimasta contumace la prima, il giudice adito, accoglieva la domanda attorea, condannando le convenute all'immediato rilascio della porzione immobiliare in contesa.
In virtù di rituale appello interposto da A.V., con il quale oltre ad insistere nell'eccezione di estinzione del giudizio, nel merito, ribadiva le difese svolte in primo grado, la Corte di appello di Genova, nella resistenza dei C., rigettava il gravame. A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale osservava - per quanto qui di interesse - che gli accertamenti espletati in sede di ispezione, nonché i rilievi dei luoghi avevano evidenziato che il piccolo locale in contestazione era stato interamente ricavato all'interno del magazzino di via Boragine, insistendo del tutto dentro la sua volumetria. In tal senso deponeva anche la documentazione catastale, sulla base della quale era stata articolata la denuncia successoria; d'altra parte lo stesso titolo successorio faceva riferimento alle mappe catastali. Concludeva che le stesse dichiarazioni successorie erano state richiamate nell'atto di trasferimento da A.C. ai V., inconferenti i riferimenti alla servitù per destinazione del padre di famiglia per essere stato l'attore dei tutto privato del possesso dei bene, al pari del richiamo alla pertinenzialità, tale non potendo essere considerato il wc rispetto al negozio.
Avverso la indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.V., articolato su tre motivi, al quale ha replicato il solo C. con controricorso, non anche E.V., pur regolarmente intimata.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 810, 832, 948 e
2697 (per mero errore indicato l'art. 2976) c.c., oltre a vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, in particolare, dopo avere riportato passi della decisione di prime cure e le relative critiche formulate in appello, la V. nel ripercorrere l'iter argomentativo della corte di merito, censura l'equivoco se non oscuro significato delle frasi che vengono utilizzate per descrivere il trasferimento della proprietà, sia mediante il testamento sia attraverso il contratto di compravendita. Eguali considerazioni vengono svolte quanto alla pertinenzialità. Prosegue la ricorrente assumendo che dalla sentenza non emergerebbero gli elementi del convincimento, giacché la circostanza che il locale si trovi nel perimetro del locale dell'originario attore non giustificherebbe le conclusioni, dal momento che il gabinetto era stato costruito dal comune dante causa dei fratelli C., prima della successione testamentaria, allorchè aveva trasformato uno dei suoi due depositi in locale a destinazione commerciale ed allocava il wc all'interno del vano che conservava l'originaria destinazione di deposito, all'evidente scopo di non diminuirne la nuova e di maggior pregio area commerciale, la sola alla quale il wc veniva collegato con una porta. In altri termini, la corte territoriale non spiegherebbe perché un vano non accessibile da un locale cui si ritiene appartenga possa essere ritenuto parte di esso, soprattutto dal momento che la realizzazione del wc è stata fatta proprio dal comune dante causa di entrambi i locali e posto a servizio esclusivo dell'area commerciale. A conclusione di questa prima parte del motivo viene posto il seguente quesito di diritto: "Statuisca la Suprema Corte quale sia, in relazione a domanda di rivendica di proprietà di bene immobile, l'onus probandi incombente sull'attore in causa, statuendo in particolare se tale onere si estrinsechi nella dimostrazione, a titolo derivativo, della titolarità del diritto di proprietà in capo ai precedenti danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, o il compimento dell'usucapione; stabilisca altresì la Suprema Corte se siano o meno idoneo mezzo di prova, in proposito, due schede catastali formate da soggetto terzo rispetto alle parti in causa".
Prosegue la ricorrente evidenziando vizio di omessa motivazione laddove la corte di merito non avrebbe analizzato la volontà del testatore di cui alle disposizioni e traendo errate conclusioni dal mancato riferimento ai vani accessori.
Relativamente alla pretesa erronea affermazione della corte distrettuale secondo cui "ai V. poteva essere trasferito soltanto ciò che il loro dante causa aveva ricevuto in eredità", la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "Statuisca la Suprema Corte, in relazione a domanda di rivendica di proprietà di bene immobile, qual sia l'onere probatorio in capo al convenuto al fine di neutralizzare la domanda attorea, ed in particolare se esso convenuto abbia o meno l'onere di provare il proprio diritto di proprietà sul bene rivendicato ex adverso, mediante dimostrazione, a titolo derivativo, della titolarità del diritto di proprietà in capo ai precedenti danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, o il compimento dell'usucapione".
Il mezzo conclude la critica di omessa e/o insufficiente motivazione sul ragionamento della corte territoriale secondo cui "il confine che si ricava dalle mappe catastali non può essere nato in epoca successiva al titolo in forza del quale la proprietà viene oggi rivendicata": definisce oscuro il ragionamento essendo pacifico che le mappe erano successive al titolo di acquisto.
Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 817 e 818 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, con riferimento alla parte della sentenza della corte territoriale che ha rigettato l'eccezione dell'appellante volta ad ottenere declaratoria del vincolo pertinenziale tra il negozio di corso Roma ed il vano accessorio destinato a gabinetto di decenza, non avendo indicati gli elementi sulla base dei quali avrebbe tratto il proprio convincimento. Il mezzo culmina nel seguente quesito di diritto: "Statuisca la Suprema Corte se, nel caso di originario unico proprietario di un complesso fondo immobiliare, costituito da un fondo commerciale e da un magazzino a mero deposito, il quale abbia destinato durevolmente e continuativamente un piccolo vano adibito a locale wc a servizio esclusivo del fondo commerciale stesso, tale piccolo vano wc costituisca pertinenza di esso fondo ai sensi dell'art. 817 c.c., soggetta al regime di cui all'ari. 818 c.c., anche a seguito di successiva attribuzione dei due fondi a diversi proprietari".
Il terzo motivo, con il quale è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1062 c.c., oltre a vizio di motivazione, con riferimento alla parte della sentenza che ha rigettato la domanda dell'appellante per la declaratoria di avvenuta costituzione di servitù per destinazione dei padre di famiglia, pone il seguente quesito di diritto: "Statuisca la Suprema Corte se con riferimento a caso quale quello di specie (fondi appartenenti in origine allo stesso proprietario, da lui posti in una situazione di oggettiva subordinazione o di servizio, l'uno - piccola porzione - rispetto all'altro, atta ad integrare di fatto il contenuto di una servitù prediale, con sussistenza di opere visibili e permanenti evidenzianti, in termini in equivoci, la relazione di asservimento; persistenza di tale situazione nel momento in cui i due fondi cessino di appartenere al medesimo proprietario, e difetto di disposizioni in ordine alla servitù) abbia luogo la creazione di servitù per c.d. destinazione del padre di famiglia a mente dell'art. 1062 c.c.".
I motivi vanno esaminati congiuntamente perché censurano, sotto profili diversi ma fra loro interagenti, la rilevanza decisiva che la sentenza impugnata ha attribuito alla scheda testamentaria nell'individuare i due locali, e per l'effetto l'inconferenza del riferimento alla servitù per destinazione del padre di famiglia. Essi sono fondati.
Occorre premettere che all'azione di rivendica del vano bagno, esperita dall'originario attore, è stata opposta, dal contraddittore, domanda riconvenzionale di accertamento di una servitù.
Va al riguardo evidenziato che non è contestato dalle parti che il vano in questione, ricavato all'interno del locale di via Boragine, di proprietà dell'attore, sia stato realizzato dall'originario proprietario di entrambi i locali confinanti (ottenuta dallo stesso concessione dal Comune il 26.6.1964), precedentemente costituenti un'unica proprietà immobiliare, e che lo stesso abbia chiesto ed ottenuto dal Comune di Loano tutte le autorizzazioni necessarie per destinare il locale con accesso da via Roma ad attività commerciale, traggono però opposte ed argomentate conclusioni conferenti alle rispettive tesi dall'atto di successione (seguendone quindi le vicende dispositive dalla devoluzione testamentaria alla vendita ai convenuti) e da quello di frazionamento.
Tale comune richiamo comportava che la Corte di merito avrebbe dovuto procedere ad una più accurata disamina delle risultanze istruttorie, in particolare della destinazione dei locali e del frazionamento, di cui è menzione negli atti difensivi dell'una e dell'altra parte, che corredava anche l'accertamento tecnico di ufficio. La motivazione al riguardo addotta dalla corte di merito deve ritenersi pertanto carente, poiché, senza fornire specifica risposta alle articolate argomentazioni hinc et inde esposte, nè procedere ad un'analitica revisione critica dei vari elementi valorizzati dal giudice di primo grado, si è limitata alle generiche considerazioni circa la oggettiva insistenza del vano nel locale con accesso da via Boragine, omettendo al riguardo ogni cenno alla circostanza che pacificamente il dante causa dei ricorrenti, A.C., aveva ricevuto in eredità un locale destinato a negozio, che per il suo esercizio necessita del servizio, vano che pertanto costituisce parte integrante del locale come previsto nel titolo, e ciò avrebbe potuto spiegare rilevanza decisiva. Né è stata data una risposta logica al rigetto della domanda di accertamento di una servitù, pur proposta in via riconvenzionale nel giudizio di revindica.
In altri termini, la Corte d'appello non ha adeguatamente motivato la decisione di cui si tratta, essendosi limitata a osservare che la costituzione del diritto in questione non risultava dal testamento e conseguentemente dal contratto di vendita, e che una simile servitù non poteva desumersi nella vicenda de qua, per cui era stata male invocato l'istituto: questa perentoria negazione, nella sentenza impugnata, non è stata in alcun modo spiegata, per confutare le ragioni che gli appellanti avevano fatto valere, sulla scorta della documentazione acquisita agli atti di causa.
Va pertanto accolto il ricorso; ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
11-02-2014 22:18
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