La dispensa dalla collazione e la dispensa dall’imputazione sono cose diverse.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 – 30 maggio 2017, n. 13660
Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa
Fatti di causa
Con citazione del 5 gennaio 1990 R.C. convenne davanti al Tribunale di Bergamo la sorella R.L. ed il fratello R.M. , nonché la coniuge di quest'ultimo B.L. , con azione di reintegrazione della quota di legittima ad essa spettante in relazione all'eredità del genitore R.S.A. , deceduto il (omissis) . L'attrice deduceva che il de cuius, con testamento olografo del (omissis) , aveva così disposto: "avendo già attribuito ai figli M. e L. quanto ritenuto opportuno dei miei beni, lascio a titolo di legittima a mia figlia C. la somma di lire 15.000.000". R.C. , dopo aver accettato l'eredità con beneficio d'inventario, aveva verificato che nel patrimonio del padre al momento della morte non esistesse più nulla, eccetto alcuni arredi privi di valore economico. Perciò R.C. domandava di accertare la simulazione degli atti di compravendita, dissimulanti donazioni, del 19 ottobre 1982, con cui R.S.A. aveva alienato alla figlia L. la nuda proprietà di un fabbricato, del 18 maggio 1981, con cui lo stesso R.S.A. aveva trasferito al figlio M. ed alla nuora B.L. un terreno edificato, e del 28 novembre 1966, con il quale il de cuius aveva alienato al figlio M. un appartamento con autorimessa. L'attrice richiedeva, quindi, di riunire questi beni, nel ricostruire l'asse paterno, e di ridurre così le donazioni per reintegrarla nella sua quota di legittima.
Tutti i convenuti si costituivano, chiedendo di tenersi conto altresì delle spese da loro rispettivamente sostenute.
Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 22 aprile 2009, dichiarava simulate le compravendite del 18 maggio 1981 e del 28 novembre 1966, determinava la quota di legittima spettante all'attrice in Lire 54.468.928 e condannava i convenuti ai conseguenti pagamenti.
Proponevano appello in via principale R.L. ed in via incidentale R.M. e B.L. . La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 23 febbraio 2012, accogliendo l'appello di R.L. , condannava R.M. a corrispondere a R.C. la somma di Euro 28.130,85, oltre rivalutazione ed interessi.
La Corte d'Appello ha dapprima confermato la ricostruzione dell'asse ereditario accertata dal Tribunale, costituito soltanto dalle dedotte donazioni e valutato in Lire 245.134.690; ha però poi ritenuto che la riduzione dovesse essere operata alla stregua dell'art. 558, comma 2, c.c., e dunque non procedendo dall'ultima donazione, che era quella compiuta in favore di R.L. per il valore di Lire 105.355.000. Ciò perché R.S.A. , con la donazione del 19 ottobre 1982 in favore della figlia L. , aveva espressamente disposto che "la presente donazione segue in conto legittima e per l'eventuale esubero sulla disponibile con dispensa da collazione". A dire della Corte di Brescia, la dispensa da collazione non poteva operare, in quanto mancava del tutto il relictum da dividere, poiché il defunto aveva donato in vita tutti i suoi beni. Nel caso in esame, secondo i giudici di appello, si era verificata l'ipotesi dell'art. 558, comma 2, c.c.: il de cuius, in sede di donazione alla figlia L. , aveva voluto inequivocamente beneficiarla con la quota disponibile eccedente la quota di legittima, e poiché il valore della stessa donazione (Lire 105.355.000) non superava quello della legittima maggiorata della disponibile (Lire 136.172.320 = 54.468.928 + 81.703.392), non era necessario ridurre tale donazione.
R.M. e B.L. hanno proposto ricorso articolato in tre motivi. Resistono con distinti controricorsi R.L. , nonché L.R. e L.S. , eredi di R.C. .
I ricorrenti e la controricorrente R.L. hanno presentato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
I. Il primo motivo di ricorso di R.M. e B.L. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 558 c.c.: la norma, adoperata dalla Corte d'Appello di Brescia, va invece riferita, secondo i ricorrenti, alla sola riduzione delle disposizioni testamentarie e non delle donazioni. La sentenza impugnata avrebbe altresì errato nel ritenere R.L. beneficiaria della disponibile, in quanto la donazione in suo favore era stata effettuata "in conto legittima e per l'eventuale esubero sulla disponibile con dispensa da collazione", e non "in conto disponibile" e "per l'eventuale esubero in conto legittima".
Il secondo motivo di ricorso di R.M. e B.L. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 559 c.c. La Corte d'Appello, evidenziano i ricorrenti, avrebbe dovuto procedere alla riduzione partendo dall'ultima donazione, avvenuta in data 19 ottobre 1982 in favore di R.L. per il valore di Lire 105.355.000, tenendo conto dell'importo comunque a questa spettante a titolo di legittima (Lire 54.468.928). Alcun rilievo in senso contrario a tale modo di operare avrebbe la dispensa da collazione disposta da R.S.A. con la donazione del 19 ottobre 1982 in favore della figlia L. , in quanto la collazione suppone pur sempre una comunione ereditaria, mentre il de cuius al momento della sua morte non aveva lasciato alcun relictum.
Il terzo motivo di ricorso censura, infine, la motivazione contraddittoria della sentenza impugnata, nella parte in cui essa ha condannato R.M. e B.L. , in quanto "pienamente soccombenti", a rimborsare a R.C. le spese processuali di entrambi i gradi.
II. I primi due motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono fondati, ed assorbono la trattazione del terzo motivo di ricorso, relativo alla regolamentazione delle spese dei precedenti gradi di giudizio.
La Corte d'Appello di Brescia, nella sentenza impugnata, ha affermato che, poiché l'alienazione effettuata dal de cuius R.S.A. alla figlia L. con atto del 19 ottobre 1982 prevedeva che "la presente donazione segue in conto legittima e per l'eventuale esubero sulla disponibile con dispensa da collazione", la stessa, in quanto neppure eccedente il valore della quota di legittima maggiorata della disponibile, non andasse soggetta a riduzione, trovando applicazione l'art. 558, comma 2, c.c.
La Corte d'Appello di Brescia non ha fatto in tal modo corretta applicazione degli artt. 558 e 559 c.c.
L'art. 558, comma 2, c.c., in particolare, con riferimento al modo di ridurre le disposizioni testamentarie, stabilisce che "se il testatore ha dichiarato che una sua disposizione deve avere effetto a preferenza delle altre, questa disposizione non si riduce, se non in quanto il valore delle altre non sia sufficiente a integrare la quota riservata ai legittimari". Tale norma fa, dunque, riferimento ad una volontà del testatore di deroga alla regola generale della proporzionale riduzione fra tutti gli eredi e tutti i legatari e deve essere necessariamente espressa in forma testamentaria. È dunque evidente l'inapplicabilità alla fattispecie per cui è causa (ove si discute della riduzione di una donazione in conto di legittima, con dispensa da collazione) del secondo comma dell'art. 558 c.c.: quest'ultimo presuppone, come visto, di individuare una volontà del testatore diretta ad attribuire ad una disposizione testamentaria un effetto preminente rispetto alle altre, in maniera da limitare la possibilità di sua riduzione in caso di esercizio dell'azione di reintegrazione da parte dei legittimari lesi, volontà che, seppur non debba risultare da formule solenni, va comunque desunta dal complesso delle espressioni usate nel testamento (Cass. Sez. 2, 24/05/1962, n. 1206).
Il modo di operare la riduzione è, piuttosto, dettato dagli artt. 554, 555 e 559 c.c., per i quali, basandosi sull'ordine cronologico in cui sono stati posti in essere i vari atti di disposizione, l'azione non può essere sperimentata rispetto alle donazioni se non dopo esaurito il valore dei beni di cui sia stato disposto per testamento, cominciando, comunque, sempre dall'ultima donazione (sotto il profilo temporale), per l'intero suo valore, e risalendo eventualmente via via alle anteriori (Cass. Sez. 2, 29/10/1975, n. 3661; Cass. Sez. 2, 23/07/1964, n. 1971).
Non ha dunque rilievo, al fine di sottrarre all'azione di riduzione la donazione ottenuta da R.L. , la previsione pattizia che essa fosse operata "in conto legittima e per l'eventuale esubero sulla disponibile" e "con dispensa da collazione".
La dispensa dalla collazione e la volontà del donante di attribuire il donatum in conto di legittima sono disposizioni tra loro del tutto conciliabili. La dispensa dalla collazione agisce nei rapporti tra coeredi, mentre cosa del tutto diversa è la dispensa dall'imputazione, la quale è destinata ad operare nei confronti di altri legittimari e serve a spostare il limite che la legittima rappresenta per i poteri di disposizione del de cuius. La dispensa dalla collazione non ha affatto, di per sé, lo scopo di attribuire la liberalità alla disponibile, ma è volta ad esonerare il donatario dal conferimento del donatum, con l'effetto che la successione si svolge, e la determinazione delle quote di eredità si attua, come se la donazione non fosse stata fatta e il bene, che ne fu l'oggetto, non fosse uscito dal patrimonio del de cuius a titolo liberale.
La dispensa dalla collazione non può, quindi, valere ad esonerare il legittimario dall'imputazione della liberalità alla sua porzione legittima, come invece si sosteneva nella vigenza del codice civile del 1865, nonostante il disposto dell'art. 1026 di quello. È l'imputazione della liberalità sulla disponibile che interferisce sul limite che la quota di legittima rappresenta per il potere di disposizione del "de cuius" (Cass. Sez. 2, 13/01/1984, n. 278), potendo comportare l'assorbimento della disponibile e quindi la preclusione per il testatore di disporre liberamente causa mortis di parte dei propri beni.
La dispensa dall'imputazione esige, tuttavia, un'apposita manifestazione di volontà, distinta dalla dispensa dalla collazione (presumendosi, altrimenti, in difetto di indicazioni, che la donazione sia fatta in conto di legittima e solo per l'eccedenza, a valere sulla disponibile), laddove, nel caso in esame, è stata accertata come contenuto dell'atto del 19 ottobre 1982 proprio la volontà del defunto R.S.A. di imputare i beni donati alla legittima spettante alla figlia L. (cfr. Cass. Sez. 2, 04/08/1982, n. 4381; Cass. Sez. 2, 06/03/1980, n. 1521).
Il fondamento dell'istituto della collazione sta, invero, nella presunzione che il de cuius, nell'ipotesi in cui abbia fatto in vita donazione ad alcuni dei propri discendenti, non abbia, con ciò, inteso alterare il trattamento successorio spettante a tutti. Tale presunzione viene meno qualora il defunto abbia manifestato la volontà di riservare un trattamento preferenziale al donatario, dispensandolo dall'onere della collazione e così attribuendogli il diritto di conservare l'attribuzione patrimoniale, oggetto di liberalità, sino all'invalicabile limite determinato dall'intangibilità della quota di riserva dei legittimari. Cosa diversa dalla dispensa dalla collazione è l'espressa ed inequivoca dispensa dall'imputazione della donazione nella quota di legittima, ai sensi dell'art. 564, comma 2, c.c., essendo questione di indagine sulla volontà del donante accertare se egli abbia inteso dispensare dalla collazione, ex art. 737 c.c., ovvero anche dall'imputazione ex se, ai sensi dell'art. 564, comma 2, c.c. Né in contrario rileva che l'art. 737 c.c. neghi efficacia alla dispensa dalla collazione oltre il limite della disponibile, non significando l'imposizione di tale limite che la dispensa operi l'attribuzione della liberalità alla disponibile, ma soltanto che il donatario rimane esposto, per l'eccedenza, all'azione di riduzione (Cass. Sez. 2, 16/07/1969, n. 2633; Cass. Sez. 2, 27/07/1961, n. 1845).
Distinti per le loro caratteristiche, le loro finalità e i loro effetti, d'altro canto, sono l'istituto della collazione - regolato dall'art. 737 c.c. - e quello della riunione fittizia del relictum e del donatum ai fini della determinazione della porzione disponibile - disciplinato dall'art. 556 c.c. -, sicché l'esclusione della collazione di un bene donato, per esservi stata dispensa da parte del de cuius, non importa certamente che del bene stesso non si debba tener conto, riunendolo fittiziamente agli altri beni per la formazione della massa cosiddetta di calcolo (Cass. Sez. 2, 07/01/1967, n. 74). Anzi, l'azione di riduzione contro il coerede donatario, coniuge o discendente del de cuius, presuppone proprio che questi sia stato dispensato dalla collazione, giacché, in caso contrario, il solo meccanismo della collazione sarebbe sufficiente per far conseguire ad ogni coerede la porzione spettantegli sull'eredità, senza necessita di ricorso alla specifica tutela apprestata dalla legge per la quota di legittima (Cass. Sez. 2, 06/03/1980, n. 1521). È poi costante l'interpretazione di questa Corte, secondo cui la collazione postula l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l'asse è stato esaurito con donazioni o con legati (come accertato nel caso di specie), e viene perciò a mancare un "relictum" da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, la quale presuppone l'esistenza di una massa sulla quale possono operarsi i prelevamenti, mentre l'unico rimedio è dato proprio dall'azione di riduzione, che è appunto ordinata al ristabilimento di una communio incidens fra i legittimari, mediante il distacco parziale dei beni assegnati per testamento o per atto di liberalità inter vivos, in eccedenza alla quota della quale il defunto poteva disporre (Cass. Sez. 2, 14/06/2013, n. 15026; Cass. Sez. 2, 06/12/1972, n. 3522).
Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Brescia, la quale deciderà la causa uniformandosi al seguente principio di diritto:
"È soggetta a riduzione, secondo i criteri indicati negli artt. 555 e 559 c.c., la donazione fatta ad un legittim. dal defunto a valere in conto legittima e per l'eventuale esubero sulla disponibile, con dispensa da collazione, non implicando tale clausola una volontà del de cuius diretta ad attribuire alla stessa liberalità un effetto preminente rispetto alle altre in caso di esercizio dell'azione di reintegrazione da parte degli altri legittimari lesi, secondo quanto invece stabilito per le disposizioni testamentarie dall'art. 558, comma 2, c.c., e rimanendo, pertanto, il medesimo donatario esposto alla riduzione per l'eccedenza rispetto alla sua porzione legittima". Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d'Appello di Brescia.
01-06-2017 13:18
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