Notizie, Sentenze, Articoli - Diritto Successorio Trapani

Approfondimento

Successioni a causa di morte. Acquisto dell'eredità e la rinuncia....
Successioni a causa di morte. Acquisto dell'eredità e la rinuncia.
 
1. Accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario
Ai sensi dell'art. 484 c.c. il beneficio d'inventario è la limitazione legale della responsabilità patrimoniale dell'erede per i debiti ereditari e per i legati e per gli oneri entro il valore dell'eredità ricevuta.
È onere del chiamato manifestare la sua scelta a favore di detto beneficio nell'atto di accettazione di eredità. L'accettazione con beneficio di inventario è obbligatoria qualora si tratti di eredità devolute a soggetti incapaci come minori, interdetti ovvero inabilitati, nonché di enti giuridici diversi dalle società, come associazioni e fondazioni ex artt. 471 e ss. [C. M. Bianca, cit.].

Focus

Si tratta di un atto subordinato a tre distinti oneri:


1.
la dichiarazione formale dell'accettante (di accettare con beneficio d'inventario);


2.
l'inventario dei beni ereditari da eseguirsi entro tre mesi dall'apertura della successione o dalla notizia della delazione;


3.
la liquidazione concorsuale delle passività ereditarie ai creditori dell'asse ereditario.


 
Il beneficio d'inventario, quale effetto, comporta che i creditori e i legatari non possono aggredire i beni personali dell'erede, che però risponde personalmente solo quando sia in mora nella presentazione del rendiconto.
La giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che la dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario - mediante la quale si realizza la separazione del patrimonio del defunto e la restrizione della responsabilità dell'erede intra vires hereditatis - è pur sempre dichiarazione di volere accettare l'eredità, sicché l'erede beneficiato acquista i diritti caduti nella successione e diventa soggetto passivo delle relative obbligazioni. Conseguentemente, il beneficio d'inventario limita, normalmente, la responsabilità dell'erede non solo al valore, ma anche ai beni allo stesso pervenuti, assoggettando, in via di principio, questi e non quelli personali all'esecuzione forzata. Tuttavia, la separazione del patrimonio dell'erede con quello ereditario viene meno se l'erede rinuncia ovvero decade da tale beneficio, salvo che i creditori del defunto e i legatari abbiano fatto valere il loro diritto di separazione [C. M. Bianca, op. cit.].
L'inventario è un atto pubblico di ricognizione di un complesso di beni. Nel caso dell'inventario di beni ereditari esso è compilato dal notaio, dal cancelliere del tribunale, o dal soggetto designato nel testamento che accertano la consistenza dei cespiti, descrivendo i beni immobili e mobili, procedendo alla loro stima ex art. 775 c.p.c.

Giurisprudenza

L'accettazione con beneficio d'inventario, determinando ex lege la separazione del patrimonio del defunto da quello dell'erede, appartiene al genus delle eccezioni in senso lato, rilevabili d'ufficio; essa dunque non deve essere né specificamente eccepita, né tanto meno allegata dall'interessato, ove risulti documentata in atti, rilevando quale fatto ostativo alla confusione tra patrimonio ereditario e patrimonio dell'erede. Inoltre, essa è rilevabile d'ufficio dal giudice anche nei confronti degli altri chiamati all'eredità indipendentemente dalla contumacia, operando l'effetto espansivo dell'art. 510 c.c. fino al momento in cui non vi sia stata accettazione pura e semplice o decadenza dal beneficio (Cass. civ., SS.UU., ord., 7 maggio 2013, n. 10531).
In tema di accettazione dell'eredità, ai fini dell'applicabilità dell'art. 485 c.c., che prevede l'ipotesi della cosiddetta "accettazione presunta" per effetto della mancata effettuazione dell'inventario entro tre mesi dall'apertura della successione da parte di chi sia in possesso dei beni ereditari, l'onere della prova di tale possesso incombe su colui che lo abbia dedotto (Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7226).
In tema di successioni "mortis causa", l'art. 484 c.c., nel prevedere che l'accettazione con beneficio d'inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell'inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sono elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti; infatti, sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune configurazione in termini di adempimenti necessari, sia la mancanza di una distinta disciplina dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l'attribuzione all'uno dell'autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell'altro. Ne consegue che, se da un lato la dichiarazione di accettazione con beneficio d'inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato che subentra perciò in "universum ius defuncti", compresi i debiti del "de cuius", d'altro canto essa non incide sulla limitazione della responsabilità "intra vires", che è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell'inventario, in mancanza del quale l'accettante è considerato erede puro e semplice (artt. 485, 487, 488 c.c.) non perché abbia perduto "ex post" il beneficio, ma per non averlo mai conseguito. Infatti, le norme che impongono il compimento dell'inventario in determinati termini non ricollegano mai all'inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza ma sanciscono sempre come conseguenza che l'erede viene considerato accettante puro e semplice, mentre la decadenza è chiaramente ricollegata solo ed esclusivamente ad alcune altre condotte, che attengono alla fase della liquidazione e sono quindi necessariamente successive alla redazione dell'inventario. Poiché l'omessa redazione dell'inventario comporta il mancato acquisto del beneficio e non la decadenza dal medesimo, ne consegue che all'erede, il quale agisce contro i terzi non chiamati alla successione, è precluso l'esperimento dell'azione di riduzione, non sussistendo il presupposto al riguardo richiesto dall'art. 564, comma 1, ultima parte, c.c., cioè l'accettazione con beneficio d'inventario (Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2005, n. 16739).
E' inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso il decreto che autorizza la formazione dell'inventario ai sensi dell'art. 769 c.p.c., trattandosi di provvedimento emesso all'esito di procedimento di cui è parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'art. 763 c.p.c., perciò di natura volontaria, e sempre modificabile e revocabile dal giudice che l'ha emesso, e, quindi, insuscettibile di giudicato (Cass. civ., sez. II, 18 luglio 2002, n. 10446).
L'eredità devoluta ai minori può essere accettata soltanto con beneficio di inventario, mentre ogni altra forma di accettazione espressa o tacita è nulla ed improduttiva di effetti, non conferendo al minore la qualità di erede. Da ciò consegue che, nel caso di chiamata di un minore, non può verificarsi la decadenza dello stesso dalla possibilità di accettazione con beneficio di inventario, prevista dall'art. 485 c.c. allorché questa norma stabilisce che il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso dei beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità, in difetto di che si considera erede puro e semplice. Più in particolare, nel caso di successione di un minore, la decadenza dal beneficio di inventario potrà verificarsi unicamente ai sensi dell'art. 489 c.c., che prevede la diversa ipotesi del mancato compimento dell'inventario entro il termine di un anno dal compimento della maggiore età (Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2000, n. 9648).


2. Separazione del patrimonio del defunto
La separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede, disciplinata dall'art. 512 c.c., è istituto posto a tutela dei creditori del primo. Essa, infatti, persegue lo scopo di assicurare il soddisfacimento, con i beni del defunto, dei creditori di lui e dei legatari che l'hanno esercitata, a preferenza dei creditori dell'erede: art. 512, comma 1, c.c. Riguardo agli immobili e agli altri beni capaci d'ipoteca, il diritto alla separazione si esercita mediante l'iscrizione del credito o del legato al competente ufficio delle ipoteche. L'iscrizione si esegue nello stesso modo stabilito per le ipoteche, dichiarando che essa avviene a titolo di separazione dei beni: art. 518, comma 1, c.c., ma è stabilito che le iscrizioni a titolo di separazione, se eseguite in tempi diversi, prendono tutte grado dalla prima (comma 2 della norma). Nel resto, all'iscrizione in separazione sono applicabili le norme sulle ipoteche (comma 3) (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2004, n. 3546).

Focus

I caratteri dell'istituto, così come delineati, consentono di tenere distinta la separazione dei beni del de cuius dall'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario.
La giurisprudenza di legittimità afferma che l'art. 490, comma 2, n. 3), c.c., in primo luogo, dispone che i creditori del defunto ed i legatari, se vogliono conservare la preferenza sui beni ereditari rispetto ai creditori dell'erede, non sono dispensati, nel caso in cui l'erede decada dal beneficio dell'inventario ovvero vi rinuncia, dal chiedere la separazione dei beni. Ne discende che, sebbene i creditori del defunto ricevano dall'accettazione beneficiata dell'eredità un vantaggio analogo a quello conseguente alla separazione dei beni, i due istituti si differenziano nettamente, sia con riferimento ai soggetti che possono farvi ricorso, sia per quanto riguarda i termini, le condizioni, le modalità e la configurazione dei corrispondenti esercizi. Con riferimento all'attuazione, inoltre, la separazione dei beni ereditari fa nascere un diritto reale di garanzia, molto vicino a quello dell'ipoteca, in favore dei creditori del defunto. L'accettazione con beneficio d'inventario, come alternativa che l'ordinamento propone al chiamato all'eredità, invece, persegue il diverso effetto di consentire all'erede beneficiato, cui l'istituto si rivolge, di non essere tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti: art. 490, comma 2, n. 2, c.c.
Infine, mentre al beneficio d'inventario, che tutela l'interesse dell'erede a non rispondere dei debiti ereditari oltre il valore dell'eredità, si ricorre qualora il patrimonio ereditario sia in condizione deficitaria, la separazione dei beni rileva nella diversa situazione di passività del patrimonio personale dell'erede.

Giurisprudenza

La separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede assicura il soddisfacimento, con i beni del defunto, dei creditori di lui e dei legatari che l'hanno esercitata, a preferenza dei creditori dell'erede; gli effetti sostanziali della separazione si producono anche quando l'eredità sia stata accettata con beneficio d'inventario, poiché tale accettazione, sebbene operata essenzialmente in favore dell'erede, comporta la separazione dei patrimoni del defunto e dell'erede. I creditori dell'eredità beneficiata si trovano in una situazione uguale a quella dei creditori per quanto concerne la separazione dei patrimoni del defunto e dell'erede separatisti: conseguentemente lo Stato nella veste di creditore dell'imposta di successione nei confronti dell'erede, non può esercitare in danno dei creditori dell'eredità beneficiata alcun privilegio fiscale sui beni del defunto; detti beni possono concorrere solo de residuo al soddisfacimento del tributo (Cass. civ., 25 giugno 1971, n. 2007).
Il fallimento post mortem dell'imprenditore comporta l'acquisizione del patrimonio da questi relitto all'attivo fallimentare, nonché la separazione del patrimonio stesso da quello degli eredi (se tale effetto non è stato ottenuto mediante l'accettazione con beneficio d'inventario), al fine di permettere ai creditori dell'imprenditore defunto, ammessi al fallimento, di soddisfarsi in via preferenziale rispetto ai legatari e ai creditori degli eredi (Cass. civ., sez. I, 28 dicembre 1998, n. 12846).
Gli eredi dell'imprenditore defunto, pur divenendo personalmente obbligati pro quota nei confronti dei creditori del loro dante causa, non sono soggetti per ciò solo alla dichiarazione di fallimento, né vi è soggetta la società costituita tra gli stessi eredi debitori, perché se questi sono portatori di soli debiti personali (quali sono i debiti ereditari) la loro eventuale insolvenza non si riverbera sul gruppo (Trib. Roma, 14 aprile 1987).


 
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza