L'azione di riduzione ereditaria in collegamento con quella di simulazione. Tutela dei legittimari pretermessi.
L'azione di riduzione ereditaria in collegamento con quella di simulazione
Con sentenza n. 22907 del 10 novembre 2015, la Suprema Corte di cassazione ritorna ad occuparsi delle ricorrenti questioni in tema di simulazione applicati alla materia successoria, con particolare riferimento alla tutela dei legittimari pretermessi.
(Cass. Civ., Sez. II, 10 novembre 2015, n. 22907
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Presidente -
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - rel. Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere -
Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere -
Dott. ORICCHIO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11160/2010 proposto da:
V.S. (OMISSIS), G.S.
(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CICERONE
28, presso lo studio dell'avvocato ELISABETTA RAMPELLI, rappresentati
e difesi dall'avvocato BARBUZZI Vito;
- ricorrenti -
contro
V.D.M. (OMISSIS), V.F.
(OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA COLLEFERRO
15, presso lo studio dell'avvocato ANNA MARIA VETERE, rappresentate e
difese dagli avvocati COVIELLO Pietro, RAFFAELE CAGGIANO;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 145/2009 della CORTE D'APPELLO di LECCE,
depositata il 16/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
29/09/2015 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;
udito l'Avvocato Teresina Titina MACRI', con delega depositata in
udienza dell'Avvocato Raffaele CAGGIANO, difensore delle resistenti
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. - V.D.M. e V.F. convennero in giudizio, innanzi al Tribunale di Melfi, i fratelli germani V. S. con la moglie G.S., V.D. e V. M., nella qualità di eredi legittimari del comune genitore V.G. deceduto ab intestato, chiedendo: che l'atto pubblico in data 10.9.1980 - col quale il de cuius aveva venduto al figlio S. e alla nuora G.S. (in regime di comunione legale col marito) un fondo agricolo con annessi fabbricati - fosse dichiarato simulato e privo di effetti, in quanto dissimulante una donazione indiretta; che tale donazione fosse ridotta fino alla reintegrazione della quota di legittima spettante ciascuno degli eredi; che quindi fosse dichiarata l'apertura della successione del defunto V.G.; che si procedesse a formare la massa ereditaria, la quale era costituita esclusivamente dalla parte del detto fondo residuata a seguito della riduzione della donazione indiretta; che si disponesse, infine, la divisione, con l'assegnazione delle quote agli eredi e con gli eventuali necessari conguagli, previo rendiconto da parte del donatario V.S..
Nella resistenza di V.S. e di G.S. (e per essa, poi, del curatore del suo fallimento) e nella contumacia degli altri convenuti, il Tribunale adito, con sentenza non definitiva, dichiarò la simulazione dell'atto impugnato, riconoscendo che esso costituiva una donazione indiretta; dichiarò aperta la successione di V.G.; dispose la riduzione della donazione e, con ordinanza, rinviò ad altra udienza per l'ulteriore corso.
2. - Sul gravame proposto da V.S. e G.S., la Corte di Appello di Potenza, con sentenza del 19.2.2002, dichiarò la nullità del giudizio di primo grado e dispose la rimessione della causa al primo giudice, sul presupposto che le attrici avevano proposto la domanda di simulazione dell'atto di compravendita nei confronti degli acquirenti, ma non anche nei confronti degli aventi causa dell'alienante.
3. - Avverso tale pronuncia proposero ricorso per cassazione le attrici V.D.M. e V.F. e questa Corte, con sentenza del 6.7.2006, in accoglimento del ricorso, cassò la sentenza di appello e rinviò alla Corte di Appello di Lecce per nuovo esame, ritenendo la piena integrità del contraddittorio nel giudizio di primo grado, per essere stati convenuti in giudizio tutti gli eredi del de cuius, parte venditrice nell'atto impugnato.
4. - La Corte di Appello di Lecce, decidendo quale giudice di rinvio, con sentenza del 16.3.2009, rigettò il gravame proposto da V. S. e G.S. e confermò la pronuncia di primo grado.
5. - Per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Lecce ricorrono V.S. e G.S. sulla base di tre motivi.
Resistono con controricorso V.D.M. e V. F..
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Preliminarmente, rileva la Corte come il ricorso non risulti notificato a V.D. e V.M., litisconsorti necessari, rimasti contumaci nel giudizio di appello.
Va tuttavia osservato, seguendo un indirizzo ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e ispirato dalla necessità di osservare il principio della ragionevole durata del processo, che, nel caso di ricorso per cassazione "prima facie" infondato, risulta superflua - pur potendo sussistere i presupposti (come nella specie, per inesistenza della notificazione del ricorso nei confronti di alcuni litisconsorti necessari) - la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., per l'integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti (Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010, Rv. 612077; Sez. 2, Sentenza n. 2723 del 08/02/2010, Rv. 611735).
In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nei paragrafi che seguono) prima facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per l'integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso allungherebbe i tempi di definizione del giudizio di cassazione senza essere funzionale alla garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti.
2. - Premesso quanto sopra, può passarsi all'esame delle censure mosse col ricorso.
2.1. - Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 564 c.c., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Secondo i ricorrenti, l'azione di riduzione della donazione esercitata dalla attrici sarebbe inammissibile, in quanto le stesse non hanno previamente accettato l'eredità con beneficio d'inventario come prescritto dall'art. 564 c.c., comma 1, accettazione necessaria per essere stata la domanda proposta anche nei confronti di G.S., persona non chiamata all'eredità di V.G.. La Corte territoriale avrebbe perciò errato nel non aver dichiarato inammissibile l'azione di riduzione, per di più ritenendo l'esistenza di una interposizione fittizia della G. rispetto al marito per la quota indivisa di sua pertinenza, sia perchè si tratterebbe di questione nuova in quanto mai dedotta in giudizio, sia perchè la partecipazione della G. all'acquisto del marito era imposta dalla legge (in quanto derivante dal regime di comunione tra i coniugi), sia infine perchè non vi sarebbe prova di tale interposizione fittizia, che sarebbe - anzi - esclusa - dagli elementi di prova acquisiti.
La censura non è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, il legittimario totalmente pretermesso (nella specie, in caso di successione ab intestato, per aver il de cuius disposto in vita dell'intero suo patrimonio), il quale proponga domanda di simulazione relativa di una compravendita, preordinata all'eventuale successivo esercizio dell'azione di riduzione, agisce in qualità di terzo e non nella veste di erede, qualità - necessaria ai fini della preventiva accettazione dell'eredità con beneficio di inventario di cui all'art. 564 c.c., comma 1 - che egli acquista solo in conseguenza del positivo esercizio della medesima azione di riduzione (Sez. 2, Sentenza n. 16635 del 03/07/2013, Rv. 627105; Sez. 2, Sentenza n. 12496 del 29/05/2007, Rv. 597504). Infatti, il legittimario totalmente pretermesso non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l'esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, ovvero dopo il riconoscimento dei suoi diritti da parte dell'istituito. Ne consegue che la condizione della preventiva accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, stabilita dall'art. 564, comma 1, per l'esercizio dell'azione di riduzione, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede (per disposizione testamentaria o per delazione ab intestato), ma non anche per il legittimario totalmente pretermesso dal testatore (Sez. 2, Sentenza n. 28632 del 23/12/2011, Rv. 620793;
Sez. 2, Sentenza n. 13804 del 15/06/2006, Rv. 589908; Sez. 2, Sentenza n. 19527 del 07/10/2005, Rv. 583417; Sez. 2, Sentenza n. 12632 del 09/12/1995, Rv. 494995; Sez. 2, Sentenza n. 11873 del 01/12/1993, Rv. 484559).
Nella specie, essendo state le attrici totalmente pretermesse per avere il de cuis alienato in vita l'unico bene costituente il suo patrimonio, le stesse hanno agito in qualità di terze e l'azione di riduzione da esse esercitata non è soggetta alla condizione della previa accettazione col beneficio d'inventario, non esigibile in mancanza di chiamata all'eredità. Ne deriva l'infondatezza della doglianza relativa alla mancata declaratoria di inammissibilità dell'azione di riduzione ai sensi dell'art. 564 c.c., comma 2.
Nell'inapplicabilità di tale disposizione rimangono assorbite le censure circa la ritenuta interposizione fittizia di G. S..
2.2. - Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, 1415, 1417 e 809 c.c. e art. 2697 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata.
Sotto un primo profilo, si deduce che i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere la simulazione totale dell'atto impugnato, in quanto gli acquirenti - mediante l'accollo di un mutuo ipotecario per L. 8.993.000, gravante sull'immobile oggetto dell'alienazione - avevano realmente pagato quantomeno una parte del prezzo pattuito;
perciò, secondo i ricorrenti, i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere solo la simulazione parziale dell'atto (trattandosi di negotium mixtum cum donatione), avrebbero dovuto limitare la riduzione solo alla quota del prezzo ritenuto non pagato (ossia a L. 51.007.000) e avrebbero dovuto conseguentemente limitarsi a dichiarare l'obbligo dei convenuti di versare tale somma alla eredità.
Sotto un secondo profilo, si censura l'accertamento, da parte dei giudici di merito, del mancato pagamento da parte degli acquirenti, in favore del venditore, della detta somma di L. 51.007.000; secondo i ricorrenti, i giudici di merito erroneamente avrebbero ritenuto che le attrici avevano assolto il loro onere probatorio ed erroneamente avrebbero ritenuto provato il mancato pagamento di tale somma sulla base di presunzioni.
Il primo profilo della censura è inammissibile e, comunque, infondato.
E' inammissibile, in quanto sottopone alla Corte una censura nuova, che non risulta essere stata dedotta nel giudizio di appello, non avendo peraltro il ricorrente adempiuto all'onere di contestare sul punto la sentenza impugnata laddove non menziona tale doglianza e di indicare l'atto in cui tale deduzione sia stata formulata. In ogni caso, trattasi di censura infondata, in quanto le attrici - con la domanda introduttiva - hanno chiesto, non la declaratoria di simulazione assoluta del contratto di compravendita impugnato, ma la riduzione della donazione dissimulata (p. 4 della sentenza impugnata); e in tal senso hanno provveduto i giudici di merito.
Anche il secondo profilo della censura non può trovare accoglimento.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v'è ragione di discostarsi, il legittimario pretermesso dall'eredità, che impugna - a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima - la compravendita immobiliare compiuta dal de cuius in quanto dissimulante una donazione, agisce in qualità di terzo, sicchè, nei suoi confronti, non può attribuirsi valore vincolante alla dichiarazione relativa al versamento del prezzo, pur contenuta nel rogito notarile, potendo, invece, trarsi elementi di valutazione circa il carattere fittizio del contratto dalla circostanza che il compratore, su cui grava l'onere di provare il pagamento del prezzo, non abbia fornito la relativa dimostrazione (Sez. 2, Sentenza n. 15346 del 25/06/2010, Rv. 613743; Sez. 2, Sentenza n. 22454 del 22/10/2014, Rv. 632953). Peraltro, poichè l'erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti, egli può avvalersi di qualunque mezzo di prova, anche della prova testimoniale o della prova presuntiva, non valendo nei suoi confronti i limiti di prova previsti dall'art. 1417 c.c., per le parti del contratto (Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 04/04/2013, Rv.
625756; Sez. 2, Sentenza n. 24134 del 13/11/2009, Rv. 610015; Sez. 2, Sentenza n.4991 del 03/11/1978, Rv. 394736; Sez. 2, Sentenza n. 1954 del 07/07/1973, Rv. 365051).
Nella specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi. La conclusione dei giudici di merito circa il mancato pagamento del prezzo indicato in contratto costituisce accertamento di fatto, che, essendo giustificato da una motivazione esente da vizi logici e giuridici, non è sindacabile in sede di legittimità.
2.3. - Col terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1417 c.c., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata; si deduce, in particolare, che la Corte di Appello avrebbe errato a non ammettere le prove (interrogatorio delle parti e prova testimoniale) dedotte dagli appellanti, che miravano a dimostrare che il defunto V. G. aveva pagato alcuni effetti cambiari con denaro ricevuto dal figlio V.S., impedendo così a quest'ultimo di provare l'inesistenza della simulazione.
La censura è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso. Nel ricorso, infatti, non si indica nè quando le prove sarebbero state dedotte, nè le circostanze in ordine alle quali se ne sarebbe chiesta l'ammissione, impedendosi così alla Corte di valutarne la decisività, neppure dedotta peraltro dai ricorrenti.
3. - Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
PQM
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00 (cinquemiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2015
28-11-2015 11:14
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