Assunzione della qualità di erede e richiesta di risarcimento danni jure hereditatis (Cc articolo 474; Cpc articoli 99, 106, 112, 115 e 300)
Corte d’Appello L’Aquila, civile, sentenza 12 marzo 2025 n. 322 – Pres. Fabrizio, Cons. Rel. Bellisarii
LA CORTE D'APPELLO DI L'AQUILA
riunita in camera di consiglio e composta dai seguenti Magistrati:
dott. Silvia Rita Fabrizio - Presidente
dott. Alberto Iachini Bellisarii - Consigliere relatore
dott. Federico Ria - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di appello n. 80 / 2024 RG, trattenuta in decisione con ordinanza del 26.2.2025,
promossa da
V.D.F., I.M. e M.D.F., tutti nella qualità di eredi del Sig. C.D.F., rappresentati e difesi, giusta procura
in calce all’ atto di appello dall'Avv. El.Br. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv.
El.Br. sito a Formia in via ...;
Appellanti
contro
S. S.r.l. con socio unico, già C.C.P. S.r.l., in persona del Presidente del C.d.A., rappresentata e difesa,
in virtù di procura rilasciata in sede di istruzione preventiva ed estesa anche alla fase del merito,
dall'Avv. …ed elettivamente domiciliata presso lo Studio del suddetto procuratore in Pescara, al
Viale…;
B.A., rappresentato e difeso dall'Avv. …ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore
in Pescara al Viale…, giusta procura in calce al la comparsa di costituzione;
A.A. s.p.a. (già A.I.U. LTD), in persona del legale rappresentante pt, rappresentata, assistita e difesa
in forza di procura alle liti apposta in calce al la comparsa di risposta dall'avv. …del Foro di Bologna
ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, sito in Bologna, via…;
Appellati
avverso
l'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. depositata il 19.12.2023 dal Tribunale di Pescara nel procedimento
civile n. 2851/2022, avente ad oggetto responsabilità sanitaria.
Svolgimento del processo
Con l'ordinanza di rito sommario oggi impugnata il Tribunale di Pescara così ebbe a decidere:
PQM:
Definitivamente pronunciando nella causa civile di I grado iscritta al R.G. n. 2851/2022, ogni
contraria istanza ed eccezione disattesa:
RIGETTA la domanda formulata dalle parti intervenute.
CONDANNA le parti intervenute alla rifusione delle spese sostenute dalle altre parti che liquida in
Euro 2304,00 per ciascuna parte, oltre I.V.A., C.A.P. e spese generali nella misura del 15%.
Questi i fatti e lo svolgimento del processo in primo grado come sintetizzati dal Primo Giudice.
1.Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato in data 20.7.2022, la sig.ra D.G.L., nella sua qualità di
procuratrice speciale del sig. D.F.C., ha chiesto che il Tribunale, previa acquisizione del fascicolo del
procedimento promosso dal ricorrente ex art. 696 bis c.p.c., iscritto presso questo Tribunale con R.G.
n. .../2020, condanni il dott. A.B. e S. SRL al risarcimento dei danni subiti dal ricorrente, in relazione
all'errata diagnosi formulata dal dott. A.B. (COXARTORSI anziché NECROSI AVASCOLARE della
testa del femore, con suo subtotale riassorbimento).
2. S. SRL si è costituita chiedendo il rigetto del ricorso e, in caso di accoglimento della domanda, ha
chiesto che il Tribunale accerti il diritto di rivalsa di S. S.R.L. nei confronti del dott. A.B..
3. Il dott. A.B. si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso e della domanda di rivalsa. Ha inoltre
chiesto di essere autorizzato a chiamare in causa la propria compagnia di assicurazione A.A. SPA.
4. A.A. SPA si è costituita chiedendo il rigetto del ricorso e, in subordine, che gli obblighi sulla
gravanti sulla Compagnia di assicurazione venissero limitati solo alla quota di danno effettivamente
attribuita all'assicurato.
5. In data 16.6.2023, a seguito del decesso del sig. D.F.C., si sono costituiti, in qualità di eredi, la
coniuge sig.ra I.M. ed i due figli V.D.F. e M.D.F., riportatosi alle richieste formulate dal loro
congiunto.
Con ordinanza in data 23.6.2023, verificata l'ammissibilità del rito e ritenuta l'assunzione delle prove
capitolate da parte ricorrente non necessaria per la decisione, è stata disposta l'acquisizione
telematica del fascicolo di ATP n. .../2020.
6.All'esito il Tribunale ha respinto la domanda accogliendo l'eccezione formulata nelle note
depositate in data 28.11.2023 da A.A. SPA, che ha eccepito che le parti intervenute, pur assumendo
di essere eredi del sig. V.D.F., non hanno allegato alcuna documentazione idonea a provare tale
qualità, essendosi limitati a produrre solo la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà che non
costituisce, di per sé, prova idonea di tale qualità, esaurendo i suoi effetti nell'ambito dei rapporti
con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi.
7.L'ordinanza è stata impugnata dagli asseriti eredi dell'originario attore (che ne hanno chiesto
l'integrale riforma) il 18.1.2024 per 4 motivi che si vanno ad esaminare, oltre che per riproporre la
domanda di risarcimento del danno, sulla quale non vi è stata pronuncia.
8.La S., costituitasi, ha resistito al gravame e ha riproposto in caso di suo accoglimento azione di
rivalsa verso il B..
9.Questi a sua volta ha resistito al gravame riproponendo la domanda di manleva verso la A., la
quale ha anche essa chiesto il rigetto dell'appello.
Il tutto come da epigrafate conclusioni.
10.Con ordinanza del 26.2.2025, questa Corte ha riservato la causa a sentenza.
Motivi della decisione
1.I motivi di appello sono tutti volti a censurare la seguente, per vero laconica, motivazione, in virtù
della quale la domanda è stata respinta.
"Considerato che le parti intervenute si sono limitate a produrre, oltre al certificato di morte del sig.
V.D.F. (cfr doc. 31) la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà (cfr doc. 32) che non costituisce
di per sé prova idonea di tale qualità, esaurendo i suoi effetti nell'ambito dei rapporti con la P.A. e
nei relativi procedimenti amministrativi (cfr Cassazione civile sez. III, 18/03/2022, n.8880), accertata
la fondatezza dell'eccezione formulata dalla terza chiamata, va rigettata la domanda formulata dalle
parti intervenute."
2.Va premesso, per chiarezza espositiva, che in primo grado l'attore V.D.F., deceduto in corso di
causa per ragioni estranee alla dedotta colpa medica, aveva esposto quanto segue.
"Egli, affetto da coxalgia destra, determinata da necrosi della testa del femore con totale
riassorbimento osseo della testa stessa, si sottoponeva a visita dal Dott. A.B. presso la C.C.P..
Il riassorbimento osseo aveva determinato una risalita del femore con conflitto della testa residua
(non più sferica e smussa ma irregolare e ruvida sul tetto dell'acetabolo) e conseguente difetto osseo
del tetto acetabolare stesso ed ipometria dell'arto inferiore destro.
Di queste circostanze evidenti all'esame obiettivo preoperatorio, non v'è traccia alcuna nella cartella
clinica.
A causa di una sintomatologia dolorosa ingravescente, il sig. D.F., in data 25 aprile 2016 veniva allora
ricoverato dal Dott A.B., presso la C.C.P. presso cui accedeva con diagnosi di coxartrosi dx e ove, il
giorno seguente, veniva sottoposto ad intervento di artroprotesi dell'anca destra.
In data 28 giugno 2016, il sig. D.F. si sottoponeva a esame RX dell'anca operata, e rilevava una
lussazione dei capi articolari dell'artroprotesi.
Si sottoponeva poi, a vista ortopedica dallo stesso sanitario che lo aveva operato, Dott. B., il quale,
verificata la lussazione dell'artroprotesi dell'anca destra, consigliava la revisione dell'intervento
chirurgico.
Pertanto, il sig. D.F. in data 10 luglio 2016 veniva ricoverato, nuovamente, all'interno della C.C.P.
"P." presso la quale in seguito a diagnosi di lussazione artroprotesi anca dx, il paziente veniva
sottoposto, il successivo 19 luglio 2016, a revisione di intervento di artoprotesi anca dx, mediante
revisione chirurgica della testa femorale.
Successivamente, in data 27 luglio 2016, il D.F. veniva dimesso con diagnosi di lussazione di
artroprotesi anca destra ed era contestualmente trasferito presso la C.C.P. "S." di C., ove
intraprendeva ciclo riabilitativo.
In data 3 agosto 2016 in seguito a recrudescenza sintomatologica, C.D.F. si sottoponeva a rx dell'anca
destra, la quale ribadiva la precedente diagnosi di protesi lussata. Dunque, per la terza volta in pochi
mesi, il sig. D.F. era costretto a sottoporsi a riduzione in narcosi per lussazione artroprotesi anca, ma,
come se non bastasse, il successivo 6 agosto, nel mentre era sdraiato supino a letto, il sig. D.F.
lamentava, l'ennesima lussazione per la quale, in pari data, veniva sottoposto ad operazione di
riduzione in narcosi per lussazione recidivante anca dx".
Nel successivo mese di settembre 2016, il sig. D.F. lamentava una lussazione recidivante all'anca
destra, per la riduzione della quale, si sottoponeva, sempre nella medesima C.C.P., a revisione
acetabolare destra.
Ed ancora, nel mese di novembre 2016, sempre a causa di una ingravescente sintomatologia dolorosa
associata a limitazione funzionale, il D.F. si sottoponeva a esame RX ed a visita ortopedica dalla
quale risultava una nuova lussazione dell'artroprotesi (recidiva 3 intervento), con fistola secernente.
Veniva quindi eseguito esame colturale con antibiogramma ed in data 1 giugno C.D.F. risultava
positivo allo S.A..
Inoltre, al fine di indagare l'infezione del ricorrente, in data 23 giugno 2017, il D.F. veniva sottoposto
a scintigrafia con leucociti marcati, da cui emergeva una infezione in atto a livello del terzo
prossimale del femore di destra con la presenza di un piccolo tramite fistoloso che raggiunge la
superficie della coscia. Veniva poi prescritta una massiccia terapia antibiotica, mediante assunzione
di Augmentin e Rifadin, con ulteriore prescrizione di monitoraggio dell'anca destra mediante RX di
controllo. L'esame strumentale RX, eseguito in data 24 settembre 2018, refertava ancora e nonostante
le precedenti revisioni una "lussazione craniale dello stelo protesico a destra…" In seguito alle cure
subite, persistevano notevoli limitazioni funzionali, con deambulazione possibile esclusivamente a
piccoli passi e solamente mediante ausili.
Allegando i fatti di cui sopra, C.D.F., in persona del rappresentante volontario L.D.G., ricorse al
Tribunale di Pescara ai sensi dell'art. 696 bis c.p.c. (rg.n. .../2020), affinché fosse nominato un
consulente cui demandare l'accertamento della causa della instabilità dell'articolazione protesizzata,
e il rispetto delle leges artis da parte dei sanitari della società S. s.r.l.
Il Tribunale nominò un collegio peritale di tre membri, il quale all'esito delle opportune indagini
concluse che: a) la protesi era stata installata in posizione incongrua; b) dopo l'insuccesso del primo
intervento, non vennero adottate le dovute misure diagnostiche per pianificare gli interventi
successivi, ed in particolare una TAC; c) la sottoposizione del paziente a plurimi interventi era stata
la causa, altrimenti evitabile, dell'infezione nosocomiale. "
3.Concluso l'accertamento ante causam, C.D.F. introdusse il giudizio di merito (rg.n. 2851/2022),
convenendo la S. srl e il dott. A.B..
Quest'ultimo chiamò in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la società A.A. s.p.a.
Nelle more del giudizio venne a mancare l'attore C.D.F., lasciando la moglie (I.M.) ed i due figli,
V.D.F. e M.D.F..
Questi ultimi, con atto depositato il 16.6.2023, dichiararono: a) che C.D.F. era deceduto; b) che essi
ne erano gli eredi ex lege; c) che intendevano costituirsi in giudizio per coltivare la domanda
proposta dal loro dante causa.
Dopo il deposito del suddetto atto, la società A. con note depositate il 28.11.2023 ha contestato la
qualità di eredi in capo ai tre soggetti suddetti e il Tribunale ha reputato fondata l'eccezione.
4.Ciò premesso valga quanto segue.
I motivi di appello sono i seguenti.
PRIMO MOTIVO DI APPELLO: Violazione degli artt. 99, 106 e 112 c.p.c.
SECONDO MOTIVO DI APPELLO: Violazione dell'art. 115 c.p.c.
TERZO MOTIVO DI APPELLO: Violazione degli artt. 99, 112 e 300 c.p.c.
QUARTO MOTIVO DI APPELLO: Insufficiente valutazione degli elementi di prova.
Essi possono essere trattati congiuntamente, siccome volti a rivendicare la qualità di eredi degli
appellanti, i quali in primo grado, dopo aver documentato il decesso dell'attore, assumendo di essere
moglie e figli del medesimo, intesero far valere iure hereditatis il diritto al risarcimento dei danni
biologici lamentati dal congiunto.
5.Va inizialmente rilevato che tale qualità in appello è stata abbondantemente provata mediante
produzione dell'atto notorio redatto dal Notaio Dott.ssa C.D., notaio in V. del G., repertorio n. (...)
del (...), del certificato di stato di famiglia integrale, del certificato di matrimonio, dell'estratto
dell'atto di nascita dei figli.
Tali documenti, ad avviso di questo Collegio, sono stati legittimamente prodotti, a ciò non ostando
il divieto di cui all'art. 345 c.p.c., in quanto in primo grado gli eredi si erano costituiti per proseguire
volontariamente il giudizio, senza farlo dichiarare interrotto, il 16.6.2023, allorché era fissata udienza
al 23.6.2023 per consentire la chiamata del terzo da parte del B., che aveva chiesto di essere manlevato
dalla propria compagnia di assicurazione A.I.U., ora A.A. SPA.
In vista dell'udienza cartolare del 23.6.2023 la A., già costituitasi, non depositò note di trattazione
scritta, né gli altri convenuti eccepirono alcunché riguardo alla veste di eredi di coloro che il tribunale
considerava "intervenuti".
All'udienza del 26 giugno, quindi, venne emesso provvedimento del seguente tenore: "letti gli atti e
le memorie depositate dalle parti in sostituzione dell'udienza del 23.6.2023, ritenuta l'assunzione
delle prove capitolate da parte ricorrente non necessaria per la decisione, verificata l'ammissibilità
del rito, considerata la necessità di acquisizione telematica del fascicolo di ATP n. .../2020, ex ruolo
dott. M.B., rinvia la causa all'udienza del 29.11.2023 ex art. 702 ter c.p.c. Letto l'art. 127 ter c.p. c.,
sostituisce l'udienza sopra indicata con il deposito di note scritte. ASSEGNA alle parti termine
perentorio fino alle ore 09:00 del 29.11.2023 per il deposito di note scritte."
Solo alle ore 17.11 del 28.11.2023 la A. eccepì che gli interventori non avessero provato di essere eredi,
con ciò impedendo loro di argomentare al riguardo, dato che le loro note scritte erano già state
depositate.
Orbene, pur dovendosi reputare che il terzo chiamato in garanzia impropria fosse legittimato a
sollevare tale eccezione nei confronti degli attori, indipendentemente dalle iniziative del convenuto
garantito, che era B. e non la S. (come erroneamente indicato nei motivi di appello), si ha che, senza
che si fosse instaurato il contraddittorio su eccezione che la A. non aveva tempestivamente sollevato
dopo la avvenuta costituzione in giudizio degli odierni appellanti, il Tribunale ha sbrigativamente
rigettato la domanda, il che rende palese come la documentazione prodotta in appello sia
pienamente ammissibile: gli eredi, infatti, non avevano potuto produrla prima per causa ad essi non
imputabile in quanto avevano fatto affidamento sulla avvenuta non contestazio ne della loro
legittimazione ad opera delle controparti in vista dell'udienza del 23 giugno, non potendo
immaginare che l'eccezione sarebbe stata sollevata dall'assicurazione il 28.11.2023, allorché non vi
era più spazio per replicare.
Tanto rilevato, si ha che vi è prova piena del fatto che gli appellanti sono coniuge e figli dell'originario
attore.
6.In ogni caso, anche volendosi ritenere operativo il divieto di cui all'art. 345 c.p.c., già in primo
grado vi erano elementi che dovevano indurre il Tribunale a respingere la tardiva eccezione di A. o,
comunque, a non rilevarla d'ufficio, senza che sulla questione si fosse svolto il contraddittorio,
perché una compiuta disamina del compendio istruttorio, in una con una più ponderata
considerazione dei pur oscillanti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, ciò avrebbe
agevolmente consentito.
7.Sotto quest'ultimo profilo va evidenziato che di recente Cassazione Civile Ord. Sez. 1 N. 20199
Anno 2024 ha opinato: "Correttamente, in proposito, la sentenza impugnata ha richiamato il
principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il figlio che
aziona in giudizio un diritto del genitore, del quale afferma essere erede ab intestato, ove non sia
stato contestato il rapporto di discendenza con il de cuius, al fine di dare prova della sua
legittimazione ad agire, non deve ulteriormente dimostrare l'esistenza di tale rapporto, producendo
l'atto dello stato civile attestante la filiazione, essendo sufficiente che egli, in quanto chiamato
all'eredità a titolo di successione legittima, abbia accettato, anche tacitamente, l'eredità, circostanza
che può ricavarsi dall'esercizio stesso della azione (cfr. Cass., Sez. II, 19/03/2018, n. 6745; Cass., Sez.
III, 20/10/2014, n. 22223). Come si evince dalla comparsa di costituzione in appello, trascritta in parte
qua a corredo del motivo di ricorso, la ricorrente non aveva infatti contestato l'esistenza del rapporto
di filiazione tra l'attore e gli appellanti, ma solo la qualità di eredi di questi ultimi, i quali, pur avendo
prodotto in giudizio soltanto il certificato di morte del loro genitore e la denuncia di successione,
avevano concretamente dimostrato la loro volontà di accettare l'eredità, non essendosi limitati a
resistere all'impugnazione proposta dal Comune e dalla Cooperativa, ma avendo assunto e ssi stessi
l'iniziativa dell'appello, al fine di ottenere la liquidazione di un importo superiore a quello
riconosciuto dal Giudice di primo grado. La valorizzazione dell'atteggiamento difensivo tenuto dalla
ricorrente si pone d'altronde in linea con l'orientamento costante di questa Corte che, nel ribadire
l'insufficienza della denuncia di successione o di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai
fini della prova della qualità di erede di una delle parti del giudizio, in considerazione della
limitazione dei relativi effetti ai soli rapporti con la Pubblica Amministrazione e ai procedimenti
amministrativi cui si riferiscono, ha precisato che, anche alla stregua del principio di non
contestazione, il giudice deve valutare il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui
confronti i predetti documenti vengono fatti valere, e, in caso di contestazione, il grado di specificità
della stessa, che deve risultare strettamente correlato e proporzionato a quello dei medesimi
documenti (cfr. Cass., Sez. Un., 29/05/2014, n. 12065; Cass., Sez. VI, 15/ 05/2020, n. 8973; 10/05/2018,
n. 11276)."
Ed ancora (Cassazione Civile Ord. Sez. 3 N. 7995 Anno 2024): "Orbene, questa Corte ha già avuto
modo di affermare che: a) l'assunzione della qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata
all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, né può evincersi dalla denuncia di
successione, che è atto di natura meramente fiscale (Cass., n. 30761/2022; Cass., 11/05/2009, n. 10729;
Cass., 28/02/2007, n. 4783): pertanto la qualità di erede non si dimostra attraverso la sola esibizione
della denuncia di successione, la quale tuttavia può comunque avere un valore indiziario (Cass.,
16/01/2017, n. 868); b) da solo, un certificato di morte non è di per sé idoneo a dimostrare la qualità
di erede in capo a chicchessia, in mancanza di uno stato di famiglia (nel caso di successione legittima)
o di un testamento (nel caso di successione testamentaria): il certificato di morte, infatti, dimostra
l'avvenuto decesso d'una persona, ma non dimostra affatto quali e quanti eredi il de cuius abbia
lasciato, né se i chiamati alla successione abbiano accettato l'eredità (Cass., 04/12/2019, n. 31695).
Sulla base di questi principi deve dunque essere ribadito che la prova della qualità di erede si
desume solo e soltanto dall'accettazione della eredità.
L'orientamento di questa Corte, peraltro, tenuto conto che l'art. 474 cod. civ. intitolato "modi di
accettazione", prevede testualmente che "l'accettazione può essere espressa o tacita", ravvisa
l'accettazione tacita in svariate ipotesi in cui il chiamato eserciti l'azione in giudizio, e dunque in caso
di: esercizio dell'azione di riduzione (Cass., 09/07/1971, n. 2200); ricorso contro l'accertamento fiscale
in materia di successione e nella successiva stipulazione di un concordato per definire la controversia
(Cass., 18/05/1995, n. 5463); impugnazioni di disposizioni testamentarie (Cass., 28/06/1993, n. 7125);
esperimento dell'azione di regolamento dei confini (Cass., 12/11/1988, n. 11408), esperimento
dell'azione divisoria, poiché il suo esperimento presuppone la comunione ereditaria (e dunque, si
intende, la qualità di erede: Cass., 04/06/1994, n.); partecipazione del chiamato, sia pure in
contumacia, a due giudizi di merito concernenti beni del de cuius ( Cass., 08/06/2007, n. 13384);
esperimento di azioni giudiziarie finalizzate alla rivendica o alla difesa della proprietà, o al
risarcimento dei danni per la mancata disponibilità dei beni ereditari (Cass., 27/06/2005, n. 13738 );
esperimento da parte del chiamato di azioni giudiziarie volte ad ottenere il pagamento di crediti
(Cass., 13/06/2008, n. 16002); intervento in giudizio da parte di un chiamato nella qualità di erede
legittimo del de cuius anche in caso di successiva cancellazione dal ruolo della causa per inattività
delle parti (Cass., 08/04/2013, n. 8529). Ed ancora vengono in rilievo: l'agire in giudizio del figlio del
defunto nei confronti del debitore del de cuius per il pagamento di quanto al medesimo dovuto
(Cass., 16002/2008), la riassunzione del processo da parte del figlio del de cuius (Cass., 8529/2013;
Cass, 14081/2005), la proposizione di azioni di rivendica o di azioni dirette alla difesa della proprietà
o alla richiesta di danni per la mancata disponibilità dei beni ereditari, in quanto azioni che
travalicano il mero mantenimento dello stato di fatto esistente all'atto dell'apertura della successione
e la mera gestione conservativa dei beni compresi nell'asse ex art. 460 cod. civ. (Cass., 13738/2005; in
senso conforme, Cass., 10060/2018). Così pure determina accettazione tacita la partecipazione del
chiamato, sia pure in contumacia, a due giudizi di merito concernenti beni del de cuius, ciò anche
nel caso in cui il chiamato in fase di appello ed informalmente abbia dichiarato il proprio disinteresse
per la lite, trattandosi di comportamento inconciliabile con la tardiva rinuncia, condizionata
dall'esito della lite (Cass., 13384/2007). Lo stesso dicasi quando il chiamato all'eredità si costituisca
in giudizio, dichiarando la propria qualità di erede dell'originario debitore, senza in alcun modo
contestare l'effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di titolarità passiva della
pretesa; in questo modo, egli compie un'attività non altrimenti giustificabile se non con la veste di
erede (Cass., 1183/2017). Sulla base di tali principi anche la proposizione di ricorso per cassazione
può dunque essere considerata quale tacita accettazione per facta concludentia, alla stregua della
domanda giudiziale volta far valere un diritto ereditario già di spettanza del de cuius (in tal senso,
Cass., 08/06/2007, n. 13384). Ed invero, poiché l'accettazione tacita dell'eredità può desumersi
dall'esplicazione di un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità, essa può
legittimamente reputarsi implicita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che
- essendo intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per lm mancata disponibilità
di beni ereditari - non rientrino negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti
dall'art. 460 cod. civ., ma travalichino il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al
momento dell'apertura della successione, e che, quindi, il chiamato non avrebbe diritto di proporre
se non presupponendo di voler far propri i diritti successori (Cass., 11/03/2019, n. 6907; Cass.
10060/2018; Cass., 13738/2005)."
Già tenendo presente siffatti e recenti principi, invero, si doveva reputare: che gli odierni appellanti,
proseguendo volontariamente il giudizio, avessero tacitamente accettato l'eredità dello scomparso
attore; che, come rilevato, alla prima udienza utile dopo la loro costituzione alcuna delle controparti
ebbe a contestare alcunché; che nessuno ha mai contestato che essi fossero coniuge e figli del D.F.,
ma solo (la A. e non altri) che non avessero dimostrato la qualità di eredi, a ciò non bastando la
dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, contestazione, invero, tutt'altro che specifica.
8. A ciò si aggiunga, sul piano fattuale, come (vedasi quarto motivo di appello) in atti vi erano: la
cartella clinica relativa al ricovero del D.F. dal 10.7.2016 al 27.7.2016 , cui era allegato l'atto di
consenso, sottoscritto dal medico dott.ssa F.D.S., nonché dal paziente ed in cui sotto la firma del
paziente si leggeva "M.M.I." con sottoscrizione "M.I."; dichiarazioni di consenso allegate alla
relazione depositata dai consulenti d'ufficio, sottoscritta dal chirurgo (convenuto ed odierno
appellato dott. A.B.), nella quale si legge: "Il paziente o tutore: M.I. (moglie)" ; la cartella clinica
allegata sub (...) al fascicolo del ricorso ex art. 702 bis (ricovero Dal 25.4.2016 al 2.5.2016), nella quale
alla p. 71/78, in calce alla scheda di informazione, si legge: "il paziente non sa firmare - firma il figlio",
ed in calce vi era la firma di V.D.F. con allegata la fotocopia della carta d'identità di V.D.F..
Appare ovvio, sul piano logico - presuntivo, che la presenza in ospedale della M. e di V.D.F. fosse
giustificata proprio dallo stretto rapporto di parentela, da reputarsi esteso anche alla M.D.F.,
residente in Germania, ma nata ad I., come il de cuius, la M. e il fratello V., questi ultimi due ivi
residenti alla via P.G. come l'originario attore.
Tali elementi non potevano far dubitare che si trattasse di un nucleo familiare e che, quindi, la moglie
e i figli fossero anche e per ciò solo eredi ab intestato.
Anche il compendio istruttorio presente in atti, dunque, consentiva agevolmente di rigettare la
generica eccezione tardivamente sollevata dall'assicurazione, alla quale gli interessati avrebbero
potuto agevolmente replicare solo se su essa fosse stato consentito il contraddittorio, negato dal
Primo Giudice che ha respinto la domanda accogliendo eccezione sollevata la sera prima della presa
in decisione della causa senza minimamente verificare se oltre alla dichiarazione sostitutiva dell'atto
di notorietà vi fossero elementi da cui poter desumere la qualità di eredi.
9.I motivi di appello, quindi, devono essere sostanzialmente accolti e la gravata ordinanza riformata
col ritenere la piena legittimazione ad causam degli odierni appellanti, il che impone il vaglio nel
merito della originaria pretesa del D.F., del quale essi sono eredi, reiterata in appello in quanto non
esaminata in primo grado.
10.Va premesso che non vi è alcuna necessità di svolgere ulteriore attività istruttoria in quanto prima
del giudizio di merito davanti al Tribunale C.D.F. (come riconosciuto in appello dallo stesso B.),
ritenendo sussistente una responsabilità per malpractice, aveva proposto ricorso ex art. 696 bis c.p.c.
(ATP) dinanzi al Tribunale di Pescara (proc. iscritto al n. .../2020 RG) convenendo in giudizio,
inizialmente, la sola S. Srl.
La S. Srl, costituitasi, chiamava in garanzia e manleva il Dott. B.A..
Il Dott. B.A. si costituiva e a sua volta chiamava in garanzia la propria compagnia di assicurazione,
A.I.U. SPA, che, regolarmente citata, si costituiva nel procedimento per ATP.
Gli esiti dell'ATP, quindi, fanno piena prova nei confronti di tutte le parti.
11.La relazione peritale depositata in data 14.05.2022 dal collegio medico incaricato dal Tribunale
(composto da ben 3 professionisti, ovvero L.I., specialista in Medicina Legale, …, specialista in
Malattie Infettive e Malattie dell'Apparato Respiratorio e Daniele Patacconi, specialista in Ortopedia
e Traumatologia), riconosceva al D.F. la sussistenza di un danno biologico "iatrogeno", quantificato
(oltre che una ITT di giorni 45, una ITP al 75% di giorni 30, una ITP al 50% di giorni 30), in una IP
pari al 24%, con spese congrue pari ad Euro. 1830,00, attribuibile esclusivamente all'operato del Dott.
B. (ritenuto responsabile sia per l'errata diagnosi iniziale, sia per l'errata esecuzione del primo
intervento chirurgico di artroprotesi dx che delle successive revisioni, effettuate senza una
preventiva TAC) e non all'infezione da Staphylococcus aureus cui il medesimo danneggiato era
risultato affetto, essendo la detta patologia totalmente regredita a se guito di apposita terapia
antibiotica.
Da qui l'attribuzione delle lussazioni a catena subite dal D.F. all'operato del B., alla cui negligenza
ed imperizia è stato attribuito sia il mancato raggiungimento del risultato sperato, sia il
prolungamento dei tempi di ricovero e delle cure cui è stato sottoposto il D.F., sia gli esiti definitivi
al medesimo riconosciuti in termini di danno biologico iatrogeno.
12.In concreto i CTU osservarono quanto segue.
"Dalla documentazione prodotta, dalla visita peritale e dall'analisi del caso si evince che il Sig. C.D.F.
(nato a I. il (...)) all'epoca dei fatti dell'età di 80 anni circa, affetto da cardiopatia ipertensiva,
fibrillazione atriale permanente, ateromasia carotidea bilaterale, pregresso TIA, cerebropatia
vascolare cronica, artroprotesi ginocchio destro e anca sinistra, in seguito a coxalgia destra il
26.04.2016 si sottoponeva a artroprotesi di anca presso la C.C.P..
Seguivano le dimissioni in data 2 maggio 2016.
In data 28 giugno 2016, a seguito di esame RX veniva riscontrata lussazione dei capi articolari
dell'artroprotesi. Il Dott. B., specialista in ortopedia e traumatologia, avendo confermato la presenza
di lussazione dell'artroprotesi dell'anca destra, consigliava al paziente di sottoporsi a revisione
dell'intervento chirurgico.
Pertanto, il 10 luglio veniva nuovamente ricoverato presso la predetta Casa di Cura, ove in data 19
luglio 2016 era sottoposto a revisione chirurgica della testa femorale. In data 27 luglio 2016 il paziente
veniva dimesso con diagnosi di "lussazione di artroprotesi di anca destra" ed era contestualmente
trasferito presso la C.S.C. ove intraprendeva ciclo riabilitativo. Il 3 agosto del 2016 in seguito a
recrudescenza sintomatologica a livello dell'anca operata era sottoposto a esame strumentale
radiografico che mostrava la lussazione della protesi.
Pertanto, il Sig. D.F. si sottoponeva nuovamente a riduzione in narcosi per lussazione della protesi.
Il 6 agosto 2016 mentre era a letto avvertiva nuovamente recrudescenza sintomatologica
sovrapponibile alle precedenti: gli accertamenti del caso ancora una volta deponevano per
lussazione dell'anca protesizzata.
Pertanto, il paziente era sottoposto a ulteriore riduzione in narcosi di lussazione recidivante a livello
dell'anca destra.
Il mese successivo (settembre 2016) veniva riscontrata nuova lussazione per cui il paziente si
sottoponeva a nuovo intervento di riduzione chirurgica della lussazione nella predetta Casa di Cura.
Nel novembre 2016 in seguito a nuova recrudescenza sintomatologica associata a limitazione
funzionale venivano prescritti accertamenti che mostravano una nuova lussazione della protesi
(recidiva 3 intervento) con fistola secernente con successivo studio colturale e antibiogramma
relativo seguiti da eventuale decisione di asportare la protesi.
Il 1 giugno 2017 si riscontrava positività allo Staphilococcus aureus.
Il 23 giugno 2017 era inoltre sottoposto a esame scintigrafico con leucociti marcati che deponeva per
"un'infezione in atto a livello del terzo prossimale del femore di destra con la presenza di un piccolo
tramite fistoloso che raggiunge la superficie della coscia".
Seguivano le terapie antibiotiche del caso, controlli strumentali clinici e laboratoristici.
In data 24 settembre 2018, l'esame strumentale RX, eseguito, refertava "lussazione craniale dello stelo
protesico a destra".
In seguito alle cure subite persistevano notevoli limitazioni funzionali, con deambulazione possibile
esclusivamente a piccoli passi e solamente mediante ausili."
13.Questo collegio non può che evidenziare il calvario cui fu sottoposto il D.F., come meglio
precisato dai CTU, i quali proseguirono col rilevare che: "prendendo in considerazione il caso del
Sig. C.D.F. di 79 anni, affetto da cardiopatia ipertensiva e fibrillazione atriale, portatore di protesi di
anca sinistra e protesi al ginocchio destro, risultava ad elevato rischio di infezione protesica in quanto
nel giro di pochi mesi venne sottoposto a tre interventi di chirurgia ortopedica il primo il 26/04/2016
per impianto di protesi all'anca destra e altri due interventi il 19/07/2016 e il 09/09/2016 di revisione
per lussazione recidivante di protesi d'anca destra oltre ad altre due riduzioni in narcosi tra i due
interventi di riduzione sempre per lussazione recidivante. Nonostante questi ripetuti interventi la
protesi alla fine risulta sempre lussata. (Rx anca dx del 07/11/2016: "esiti di intervento di artroprotesi
dell'anca destra con lussazione della porzione cefalica protesica in sede sovracetabolare".
A 9 mesi dall'ultimo intervento di revisione della protesi d'anca per lussazione cronica (09/09/2016)
ad una visita di controllo ortopedica gli viene riscontrata in sede di cicatrice chirurgica una fistola
secernente per cui gli viene prescritta l'esecuzione di un tampone per esame microbiologico che
risulterà positivo per Staphylococcus aureus (01/06/2017).
L'isolato di Staphylococcus aureus non risulta all'antibiogramma un batterio meticillino resistente e
quindi non può ritenersi di sicura origine nosocomiale anche se alcune caratteristiche di resistenza
lo rendono più simile ad un batterio nosocomiale che di comunità.
Il sig. D.F. esegue una visita specialistica infettivologica presso l'Azienda O.U.F. (13/06/2017) dove
gli viene consigliata l'esecuzione di una scintigrafia total body con leucociti marcati.
Tale accertamento documenta una iperfissazione delle cellule radiomarcate a livello del terzo
prossimale del femore di destra associato ad un piccolo tramite fistoloso che va dal terzo del femore
ed arriva sulla superficie laterale della coscia.
Trattasi quindi di una infezione periprotesica ritardata in cui vi è indicazione alla rimozione della
protesi associata ad una terapia prolungata per almeno 3 mesi
In data 11/07/2017 tuttavia lo specialista infettivologo tenta una terapia conservativa prescrivendo
una terapia antibiotica mirata sull'esame microbiologico e relativo anti biogramma
(amoxiclavulanato+rifampicina) per un mese che poi ripete in data 07/09/2017 per un altro mese.
Contro ogni previsione con la terapia antibiotica consigliata l'infezione regredisce, la fistola
secernente si chiude e a distanza di tempo non presenta alcun segno di infezione in atto."
13.L'infezione, quindi, non ha causato danni.
Quel che di rilevante, invece, è emerso dall'ATP, sul piano ortopedico, è che "Dall'analisi delle
cartelle cliniche e degli esami diagnostici effettuati dal paziente nel corso degli anni emerge
chiaramente come il Sig. D.F., al tempo della visita preoperatoria con il Dott. B., soffrisse di una
coxalgia destra determinata da una NECROSI DELLA TESTA DEL FEMORE con pressoché totale
riassorbimento osseo della testa stessa. Tale condizione ha determinato una risalita del femore con
conflitto della testa residua (non più sferica e smussa ma irregolare e ruvida) sul tetto dell'acetabolo
e conseguente difetto osseo del tetto acetabolare stesso, risalita del femore prossimale e ipometria
dell'arto inferiore destro.
Nessuna menzione di tale condizione viene effettuata in alcuna parte della cartella clinica del primo
ricovero presso la C.C.P. (proposta di ricovero del Dott. B., consenso in formato, registro operatorio,
referti radiografici e lettera di dimissione) dove il paziente viene ricoverato con diagnosi di
COXARTROSI DX e trattato con intervento chirurgi co di PTA DX (= protesi totale di anca destra).
Ora se e’ vero che SIA la necrosi della testa del femore CHE la coxartrosi si giovano del medesimo
trattamento chirurgico e cioè del posizionamento di una protesi totale è anche vero che tale
intervento presenta decisamente maggiori insidie e difficoltà quando svolto su un paziente con un
quadro preoperatorio come quello del sig. D.F..
Ristabilire il corretto centro di rotazione di un'anca che presenta necrosi subtotale della testa con
risalita del femore e acetabolo parzialmente disabitato e con difetto di parete può essere molto
complicato e richiedere un tempo chirurgico prolungato.
L'intervento quindi va correttamente pianificato (molto utile ad esempio è l'esame TAC per valutare
i difetti di parete acetabolare), garantendosi la disponibilità di materiale impiantabile non di
consueto utilizzo (steli modulari o da revisione, cotili multiforo o ellittici, augment metallici o osso
di banca per i difetti di parete o addirittura griglie acetabolari su cui cementare un cotile nella
posizione desiderata) e soprattutto va informato il paziente su tali possibili difficoltà e quindi sulla
maggior possibilità’ di insorgenza di complicanze.
A dimostrazione delle difficoltà naturalmente incontrate dal Dott. B. nell'effettuare l'intervento
proposto, con elevata probabilità non pianificate, è la discrepanza fra il tempo chirurgico presunto
(60 min come scritto nella proposta di ricovero) e quello effettivamente necessario (3h e 40 min) a
completare l'intervento chirurgico."
14.Più in particolare la CTU ha evidenziato una chiara responsabilità professionale del B., tanto che
è stato accertato quanto appresso.
"Il suddetto intervento inoltre presenta alcuni aspetti che appaiono poco comprensibili:
ECCESSIVA CRANIALIZZAZIONE MEDIALIZZAZIONE DEL COTILE.
Dal registro operatorio si evince come il Dott. B. valuti il cotile come displasico mentre in realta’ è
solo usurato in maniera eccentrica a causa della frizione con la testa necrotica (quadro già' evidente
alle radiografie preparatorie e meritevole di un approfondimento TAC non eseguito). Per ovviare a
tale condizione lo specialista ha arbitrariamente deciso di non posizionare il cotile protesico
sull'acetabolo nativo ma su un neocotile che appare però eccessivamente cranializzato (in maniera
empirica si è calcolato circa 5 cm) e medializzato rispetto al noto repere radiografico costituito dalla
"goccia acetabolare".
ECCESSIVA ESTRUSIONE DELLO STELO FEMORALE.
Per ottenere una corretta tensione della muscolatura abduttoria e dare stabilità all'impianto il Dott.
B. è stato costretto a correggere l'eccessiva cranializzazione e medializzazione del cotile attraverso
un posizionamento anomalo della componente femorale, lasciando lo stesso ben più estruso del
consueto. Tale possibilità è offerta da alcuni steli protesici in commercio come gli steli da revisione
o per femori displasici ma non certo dallo stelo ACCOLADE 2 utilizzato dal sanitario, normalmente
utilizzato per le protesi di primo impianto ed il cui anomalo posizionamento non garantisce
l'integrazione dello stesso all'osso endostale.
COTILE DI PICCOLE DIMENSIONI.
Il posizionamento della componente acetabolare sul neocotile ha costretto il Dott. B. a impiantare un
cotile di diametro 46 (da un calcolo empirico il cotile controlaterale è di 52 mm ovvero 3 misure più
grande) e quindi una testina di 32 mm che a confronto di quella del cotile controlaterale (36 mm)
offre minori garanzie di stabilità.
Con elevata probabilità l'instabilità dell'impianto posizionato è riconducibile all'effetto di una serie
di errori a cascata che derivano dall'originale difetto di posizionamento del cotile.
Appare inoltre poco comprensibile l'approccio che il Dott. B. ha avuto nel trattare l'instabilità’ della
PTA impiantata durante il secondo ricovero presso la C.C.P..
La scelta di revisionare l'interfaccia delle componenti con un inserto DUAL MOBILITY associato ad
un aumento dell'OFFSET attraverso l'impianto di una testina più lunga è di per sé assolutamente
condivisibile perché offre maggiori garanzie di stabilità.
Ma come e’ stato in precedenza specificato, qualsivoglia intervento chirurgico di revisione (totale o
parziale) deve essere preceduto da un'analisi accurata delle cause di instabilità stessa, ad esempio
attraverso uno studio TAC in cui si possa meglio valutare l'orientamento delle componenti o le cause
di un possibile conflitto osso protesi o protesi-protesi.
Nel caso del sig. D.F. dallo studio degli atti in nostro possesso non risultano effettuati accertamenti
al di fuori delle radiografie preoperatorie di routine e quindi, non essendo stata individuata la causa
di instabilità, non si comprende il razionale della scelta del trattamento effettuato.
Tale scelta si è peraltro dimostrata inefficace nel risolvere il problema di instabilità al punto che dopo
un breve periodo si sono verificati ulteriori ripetuti episodi di lussazione durante il ricovero in clinica
riabilitativa.
A questo punto il Dott. B. ha perseverato nell'idea di risolvere il problema di instabilità attraverso
un nuovo intervento chirurgico di sostituzione dell'interfaccia delle componenti attraverso l'utilizzo
di un COTILE CONSTRAINED.
Anche in questo caso vale quanto già descritto in merito al precedente intervento di revisione.
E'condivisibile trattare una protesi d'anca instabile attraverso l'utilizzo di un COTILE
CONSTRAINED (o dual mobility) quando, pur avendone ricercato le cause, non vi siano apparenti
condizioni che determinino l'instabilità stessa.
Di conseguenza anche in questo caso l'intervento chirurgico è risultato inefficace e dopo poco tempo
l'impianto si è nuovamente lussato presentando un'ulteriore complicanza costituita da un'infezione
da S.A. (Staphylococcus aureus, di seguito meglio approfondita) fortunatamente trattata con
successo con antibioticoterapia."
14.Dopo simili valutazioni, che questo Collegio non può che condividere data la loro perentorietà ,
i CTU hanno concluso col ritenere che "In conclusione, nel caso de quo occorre sottolineare che le
scelte mediche ed i trattamenti sanitari subiti hanno inciso negativamente sia sul prolungamento del
ricovero e delle cure, sia sulla necessità di sottoporre il paziente ad ulteriori trattamenti chirurgici e
terapeutici, con relativi tempi di recupero, sia infine sugli esiti definitivi.
In particolare, tenuto conto di quanto sopra esaustivamente esposto si ritiene che in seguito ad
intervento chirurgico di artroprotesi di anca destra subito in data 26.04.2016 il sig. C.D.F. non abbia
riportato gli esiti comunemente previsti in conseguenza di un corretto iter chirurgico-terapeutico-
riabilitativo per una protesi d'anca in soggetto di pari età e pari condizioni cliniche al momento del
ricovero.
Pertanto, nel caso de quo si può riconoscere un maggior danno biologico che può ragionevolmente
essere valutato come di seguito specificato:
- maggior danno biologico temporaneo assoluto pari a giorni 45 (quarantacinque) sulla base dei
periodi di ricovero successivi al primo che avrebbe in ogni caso dovuto affrontare;
- maggior danno biologico temporaneo parziale al 75% pari a giorni 30 (trenta) in base ad una
valutazione equitativa per i periodi di iniziale convalescenza e di tentato recupero funzionale
successivi ai ricoveri;
-maggior danno biologico temporaneo parziale al 50% pari a giorni 30 (trenta) in base ad una
valutazione equitativa per i successivi periodi di recupero funzionale;
- maggior danno biologico permanente pari al 24% (ventiquattro per cento) a partenza dal 17%,
tenuto conto che in seguito ad un corretto iter gli esiti della protesi totale di anca avrebbero
configurato una condizione di Classe I secondo le Linee guida S. per la valutazione medico legale
del danno alla persona, pari ad una percentuale di circa 16% (range tabellato 15%-18%), mentre nel
caso in esame gli esiti permanenti obiettivati e riconducibili all'operato dei sanitari che tennero in
cura il Sig. D.F. sono valutabili in misura pari al 40% (quaranta per cento) corrispondente ad una
Classe IV secondo le predette voci tabellari di riferimento."
15.Orbene, simili conclusioni evidenziano una chiara responsabilità extracontrattuale del sanitario,
in aggiunta a quella da contratto di spedalità intercorso tra il paziente e la clinica, dato che, come se
non bastasse quanto già rilevato, i CTU hanno espressamente evidenziato che " nel caso de quo è
stato commesso un errore di diagnosi iniziale, in quanto è stata identificata come COXARTROSI
quella che in realtà era una NECROSI della testa del femore.
In entrambi i casi era corretta l'indicazione al medesimo intervento chirurgico, ovvero una PTA
(protesi totale di anca), ma con difficoltà e tempi chirurgici decisamente superiori nei pazienti con
necrosi, soprattutto nei casi con riassorbimento subtotale della testa, risalita del femore e cotile
"disabitato", come nel caso del sig. D.F..
L'intervento eseguito ha dunque un'indicazione corretta ma sull'esecuzione si sono già esposti i
dubbi in merito alla eccessiva cranializzazione e medializzazione del cotile a cui si è posto rimedio
con un'eccessiva estrusione della componente femorale.
Tale posizionamento ha alterato in maniera macroscopica il centro di rotazione dell'anca ed il braccio
di leva dei muscoli abduttori ed il loro vettore di azione, determinando l'instabilità dell'impianto.
L'errore originale di posizionamento delle componenti e la loro mancata revisione negli interventi
successivi (in cui è stata cambiata esclusivamente l'interfaccia testina-inserto) va considerato in nesso
di causalità con la conseguente instabilità protesica e quindi con le attuali condizioni del paziente,
che si trova ad oggi ancora con la protesi d'anca lussata dopo aver superato un'infezione attraverso
una adeguata terapia antibiotica. "
Quanto al riscontro se nel caso di specie si fosse trattato o meno di prestazioni professionali medico
chirurgiche di routine e se ricorresse l'ipotesi della complicanza, intesa come processo patologico
avverso statisticamente conosciuto, tuttavia rilevante ai fini dell'imputabilità al sanitario solo se,
sussistendo nesso causale tra la tecnica operatoria prescelta e la sua insorgenza, prevedibile ed
evitabile in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento, i CTU hanno categoricamente
evidenziato la responsabilità del sanitario osservando che " La lussazione dell'impianto, come già
descritto, è una complicanza fra le più frequenti della chirurgia protesica d'anca. Sebbene vi siano
delle condizioni per cui tale complicanza non sia imputabile all'operato del medico ma, ad esempio,
a inadeguate condotte del paziente nel post-operatorio, o ad usura nel tempo delle componenti
protesiche, oppure a progressivo indebolimento della muscolatura abduttoria, nel caso de quo la
scelta di impiantare la componente acetabolare in posizione eccessivamente cranializzata e
medializzata viene giudicata come causa dell'instabilità dell'impianto. E seppur si voglia considerare
la posizione delle componenti come compatibile con una protesi stabile, non vi è testimonianza del
tentativo di indagare la fonte di tale conclamata instabilità con accertamenti di secondo livello (TAC)
e quindi si è preclusa la possibilità di porvi rimedio preferendo intervenire incrementando la
stabilità intrinseca dell'impianto attraverso l'utilizzo di inserti a stabilità crescente (DUAL
MOBILITY prima e CONSTRAINED poi)."
Quanto alla specificazione degli eventuali profili di errore e di colpa imputabili ai sanitari medesimi,
i CTU hanno definitivamente spiegato che "si possono quindi individuare alcuni profili di colpa
nell'operato dei sanitari che tennero in cura il paziente e nello specifico nelle scelte terapeutiche
operate dal Dott. B.. Il predetto specialista inizialmente ha effettuato un errore di diagnosi,
considerando come COXARTORSI quella che invece era un NECROSI AVASCOLARE della testa del
femore (con suo subtotale riassorbimento) e quindi sottovalutandone le possibili complessità di
trattamento. Successivamente, nel primo intervento chirurgico, è stato effettuato un errore nel
posizionamento e nella scelta delle componenti: ciò ha creato i presupposti per una protesi instabile
e nel secondo e terzo intervento chirurgico, non essendo state studiate le cause di tale instabilità, ci
si è affidati al semplice cambio degli inserti, di certo non sufficiente a risolvere il complesso
problema.
Si valuta che il danno determinato al sig. D.F. si sarebbe potuto evitare con elevata probabilità
attraverso un corretto posizionamento delle componenti da impiantare. Se nel primo intervento
questo può essere stato reso complicato dalla sottovalutata complessità del caso, una miglior
pianificazione dei due successivi interventi di revisione avrebbero potuto far ottenere un miglior
risultato (un'anca forse meno mobile ma almeno stabile), con una riduzione degli esiti permanenti
realmente residuati. Inoltre, dato che le complicanze infettive hanno un'incidenza maggiore nei casi
di interventi chirurgici plurimi occorsi in un breve lasso di tempo, la necessità di effettuare più
trattamenti chirurgici per trattare l'instabilità ha sicuramente sottoposto il sig. D.F. ad un maggior
rischio di infezione, poi realmente verificatasi, che ha contribuito ad un prolungamento dei tempi di
cura.
Nel caso de quo occorre sottolineare che le scelte mediche ed i trattamenti sanitari subiti hanno inciso
negativamente sia sul prolungamento del ricovero e delle cure, sia sulla necessità di sottoporre il
paziente ad ulteriori trattamenti chirurgici e terapeutici, con relativi tempi di recupero, sia infine
sugli esiti definitivi.
Questi ultimi, come obiettivato in sede di visita peritale, sono riassumibili come segue: un'ipometria
dell'arto inferiore dx di circa 3 cm con un edema diffuso dell'arto inferiore e discromia cutanea di
gamba-caviglia-piede dx. Presenza di ampia cicatrice chirurgica per accesso postero-laterale all'anca
(accesso effettuato 3 volte) con margini ipertrofici; mobilizzazione articolare dell'anca inficiata da
intenso dolore e notevolmente limitata nei movimenti (limitazioni: 70 di flessione, 10 di
extrarotazione, 5 di abduzione, 5 di intrarotazione; non possibili movimenti di estensione ed
adduzione dell'anca). La deambulazione è possibile solo con 2 bastoni canadesi (o con
deambulatore) e solo per spostamenti domestici (letto, bagno, carrozzina) e determina insorgenza di
vivo dolore. Vivo dolore nei passaggi posturali ma buon controllo del dolore nella posizione seduta.
Ora, tenuto conto di quanto sopra esaustivamente esposto, si ritiene che in seguito ad intervento
chirurgico di artroprotesi di anca destra subito in data 26.04.2016 il sig. C.D.F. non abbia riportato
gli esiti comunemente previsti in conseguenza di un corretto iter chirurgico-terapeutico-riabilitativo
per una protesi d'anca in soggetto di pari età e pari condizioni cliniche al momento del ricovero. "
16.Pertanto, nel caso de quo è stato riconosciuto al paziente, ancora in vita, un maggior danno
biologico, valutato come sopra, con l'aggiunta che secondo i CTU "Non si ritiene che i
comportamenti del Sig. D.F. abbiano potuto in alcun modo determinare, concorrere o aggravare
l'evento dannoso", il che consente di disattendere ogni eccezione relativa ad inesistenti concorsi di
colpa del danneggiato come variamente vagheggiati dalle parti appellate.
17.Quanto alla tesi, propugnata dall'appellato B., per cui i CTU non avrebbero replicato alle
osservazioni del suo CTP, asseritamente idonee a far escludere la sua responsabilità ex art. 2043 c.c.,
si ha che il CTP in questione, Ni.Pa., testualmente scrisse "il sottoscritto ha letto con attenzione la
bozza inviata dai CTU condividendo quasi integralmente le tesi da loro sostenute." Uniche
osservazioni furono formulate in merito al danno permanente iatrogeno, reputato del 10% e non del
24%, nonché in merito al periodo di inabilità temporanea, che per il CTP poteva essere imputato a
B. non per 105 giorni ma per una durata pari alla metà.
Lo stesso CTP, quindi, si "arrese" all'evidenza limitandosi a sterili contestazioni in ordine al quantum
del danno.
18.Tanto rilevato, questo Collegio non può che accogliere la domanda originariamente proposta dal
D.F., poi coltivata dagli eredi dopo il suo decesso, non correlato alla vicenda in esame, procedendo
a determinare il danno loro risarcibile iure hereditario, che nulla ha a che vedere col danno
intermittente, in quanto danno già clinicamente accertato quando il D.F. era in vita. Soccorre,
attualmente, la vigente tabella del Tribunale di Milano, dato che la tabella unica nazionale introdotta
a decorrere dal trascorso 5 marzo dal D.P.R. n. 12 del 2025 in materia di danno non patrimoniale si
applica, per espressa previsione (art. 5) solo ai sinistri verificatisi successivamente alla data della sua
entrata in vigore.
In base ad essa, quindi, va operata una liquidazione comprensiva di danno permanente e danno
temporaneo da lesione all'integrità psico-fisica, inclusiva delle componenti del danno biologico e del
danno morale, da reputare medio e senza ulteriori aumenti in difetto di allegazioni, in appello, di
circostanze eccezionali evidenzianti conseguenze ulteriori rispetto a quelle connesse alla
responsabilità degli appellati.
Ne deriverebbe, tenuto conto che il D.F. aveva 80 anni all'epoca del primo intervento dell'aprile 2016,
visto che egli è risultato invalido al 40% e che ha subito un danno non patrimoniale da inabilità
temporanea per gg. 45 di ITT, gg. 30 di ITP al 75% e gg. 30 di ITP al 50%, che gli sarebbero
inizialmente spettati Euro 234.709,50, comprensivi di danno biologico temporaneo e permanente e
incrementati per sofferenza soggettiva.
Da tale somma va, però, sottratto l'importo liquidabile per un 16% di danno permanente, che gli
sarebbe comunque residuato, volta che il 40% comprende un danno iatrogeno del solo 24%. Ne
deriva che dalla somma di Euro 234.709,50 vada sottratta quella di Euro 42.560,00 correlata al 16%,
sicché l'importo complessivo liquidabile è pari ad Euro 192.149,50, somma che le parti appellate S. e
B. dovranno solidalmente corrispondere agli appellanti con le precisazioni che seguono.
Poiché, secondo principi giurisprudenziali consolidati (quantomeno dopo Cass. SU1712/1995), il
risarcimento del danno per equivalente costituisce debito di valore, esso deve essere tenuto indenne
dall'andamento del valore della moneta verificatosi dal momento dell'evento dannoso fino al
momento della liquidazione e, inoltre, deve ricomprendere anche il risarcimento del lucro cessante
costituito dal nocumento finanziario subito dal danneggiato a causa della mancata tempestiva
disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento. Tale ultimo nocumento può
essere liquidato con la tecnica degli interessi legali, che rappresentano la ordinaria redditività del
denaro e quindi misurano in via presuntiva - salva diversa prova da parte del creditore, nella specie
non offerta, non bastando la apodittica asserzione per cui la somma sarebbe stata presumibilmente
investita per ricavarne un lucro finanziario - il predetto lucro cessante.
Tuttavia, tali interessi non vanno calcolati né sulla sola somma originaria, né sulla somma stessa,
rivalutata al momento della liquidazione, ma debbono computarsi sulla somma devalutata alla data
del fatto (2016) e via via rivalutata anno per anno.
Pertanto, la somma come sopra determinata, espressa in valore rapportato alla data odierna, dovrà
essere devalutata (secondo gli indici FOI Istat) al 26.4.2016 e, quindi, maggiorata degli interessi legali
maturati da tale ultima data a quella odierna, da calcolare sull'importo iniziale poi anno per anno
rivalutato (sempre secondo gli indici FOI Istat), al fine di pervenire alla compiuta liquidazione del
danno alla data odierna.
Sulla somma in tal modo quantificata (ed ormai costituente debito di valuta) decorreranno, per il
periodo compreso tra la data della pubblicazione della presente sentenza ed il saldo effettivo,
ulteriori interessi corrispettivi al tasso legale.
19.Quanto ai pur reclamati danni patrimoniali, gli appellanti a tal titolo invocano la refusione di
spese mediche per la cura, la riabilitazione e l'assistenza, sia passate, sia future, che consisterebbero
nelle spese per le visite periodiche e di controllo, nelle spese per la riabilitazione e la fisioterapia,
nelle spese per i farmaci, ma di esse non vi è allegazione, men che meno prova documentale, in
disparte il doveroso rilievo per cui il loro dante causa è deceduto.
Essi, inoltre, assumono che l'originario ricorrente, per essere assistito nella vicenda aveva deciso di
affidarsi per la fase stragiudiziale alla società G.S. - G.S. S.r.l., con nuova denominazione G.R.D. srl,
in ragione della specializzazione e dell'esperienza venticinquennale della società nel settore del
risarcimento del danno, ed in particolare in quello della responsabilità professionale medico
sanitaria, ma anche a tal titolo non documentano esborsi di sorta.
Fondata, invece, è la richiesta di rimborso delle spese, documentate da fatture quietanzate e bonifici,
sostenute per le perizie medico legali di parte prodromiche al giudizio ex art. 696 bis c.p.c. (rg.n.
.../2020 Tribunale di Pescara), per le competenze dei ctu nominati e per la necessaria assistenza dei
ctp durante l'espletamento dell'accertamento tecnico preventivo: esse ammontano, rispettivamente,
ad Euro 1830,00, 5908,49 e 2440,00, per complessivi Euro 10.178,49, somma che le parti appellate S. e
B. dovranno in solido corrispondere agli appellanti, oltre interessi dalla domanda di primo grado al
saldo.
20.I predetti appellati dovranno, infine, rifondere alla procuratrice degli appellanti dichiaratasi
antistataria, in solido tra loro, le spese di lite del presente grado, che si liquidano in Euro 14.317,00,
oltre rimborso spese generali ed accessori di legge e dovranno altresì rifondere alla stessa le spese
del primo grado, che si liquidano in Euro 14.103,00, oltre rimborso spese generali ed accessori di
legge, nonché le spese per il giudizio cautelare di ATP, che si liquidano in Euro 3.645,00, oltre
rimborso spese generali ed accessori di legge, il tutto secondo compensi medi in base al valore del
decisum.
21.Il dott. A.B., stante l'esito del giudizio, che ne ha accertato la responsabilità professionale, dovrà
tenere indenne la S. srl delle somme, comprensive anche di quelle a titolo di rimborso spese di lite,
che questa dovrà eventualmente corrispondere agli appellanti.
22.A sua volta, A.A. spa dovrà tenere indenne il dott. A.B. delle somme, comprensive anche di quelle
a titolo di rimborso spese di lite, che questi dovrà eventualmente corrispondere agli appellanti.
23.In tali termini, in conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere riformata.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e
deduzione disattesa e reietta, in accoglimento dell'appello ed in riforma della ordinanza impugnata,
così provvede:
1) condanna la S. srl e B.A., in solido tra loro, a corrispondere agli appellanti: a titolo di danno non
patrimoniale patito dal loro dante causa, la somma, determinata all'attualità, di Euro 192.149,50 oltre
interessi legali sulla stessa come devalutata al 26.4.2016 e via via rivalutata fino alla pubblicazione
della presente sentenza; sulla somma in tal modo quantificata decorreranno, sino al saldo, gli
interessi legali; a titolo di danno patrimoniale la somma di Euro 10.178,49 oltre interessi legali dalla
domanda di primo grado al saldo;
2) regola le spese come in parte motiva;
3) condanna B.A. a tenere indenne la S. srl delle somme, comprensive anche di quelle a titolo di
rimborso spese di lite, che questa dovrà eventualmente corrispondere agli appellanti;
4) condanna, infine, A.A. spa a tenere indenne B.A. delle somme, comprensive anche di quelle a
titolo di rimborso spese di lite, che questi dovrà eventualmente corrispondere agli appellanti.
Conclusione
Così deciso in L'Aquila in camera di consiglio il 12 marzo 2025.
Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2025.
L’assunzione della qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, né può evincersi dalla denuncia di successione, che è atto di natura meramente fiscale: pertanto la qualità di erede non si dimostra attraverso la sola esibizione della denuncia di successione, la quale tuttavia può comunque avere un valore indiziario.
Da solo, un certificato di morte non è di per sé idoneo a dimostrare la qualità di erede in capo a chicchessia, in mancanza di uno stato di famiglia (nel caso di successione legittima) o di un testamento (nel caso di successione testamentaria): il certificato di morte, infatti, dimostra l’avvenuto decesso d’una persona, ma non dimostra affatto quali e quanti eredi il de cuius abbia lasciato, né se i chiamati alla successione abbiano accettato l’eredità. Sulla base di questi principi deve dunque essere ribadito che la prova della qualità di erede si desume solo e soltanto dall’accettazione della eredità.
La controversia nasce da una richiesta di risarcimento dei danni avanzata dalla moglie e dai figli del de cuius deceduto per le complicazioni insorte a seguito di un intervento di artroprotesi dell’anca destra.
Il Tribunale aveva respinto la domanda accogliendo l’eccezione formulata nelle note depositate dalla controparte, che aveva eccepito che le parti intervenute, pur assumendo di essere eredi, non avessero allegato alcuna documentazione idonea a provare tale qualità.
10-05-2025 16:08
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