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Sentenza

I limiti della revoca del testamento olografo...
I limiti della revoca del testamento olografo
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 11472/20; depositata il 15 giugno 2020
Presidente Petitti – Relatore Criscuolo

ragioni in fatto ed in diritto

1. M.L. , deducendo di essere erede di T.E. , deceduto in data (omissis), giusta testamento olografo del 16 luglio 1997, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Velletri C.A. , C.F. e C.C. , deducendo che il de cuius aveva conferito a C.A. procura speciale a vendere i diritti pari a 10/120 sul fabbricato in (omissis) , e che per effetto di tale procura il convenuto aveva venduto i detti diritti a se stesso.
Aggiungeva che con ulteriore procura il defunto aveva attribuito allo stesso C. il potere di vendere altri 90/120 del medesimo fabbricato e che in virtù di tale potere con atto del 4/4/2000 aveva alienato i detti diritti in parte a se stesso ed in parte ai figli F. e C. .
Assumeva che le procure conferite dal de cuius erano nulle ovvero annullabili e che in ogni caso il procuratore non aveva reso il conto della propria gestione, chiedendo pertanto dichiararsi l'invalidità anche degli atti di compravendita.
Si costituivano i convenuti i quali eccepivano il difetto di titolarità dell'azione in capo all'attrice, assumendo che il testamento invocato dalla controparte era stato revocato dal de cuius con lettera raccomandata ricevuta in data 9/4/1998, con la quale si provvedeva anche alla nomina di un nuovo erede universale.
Il Tribunale adito rigettava la domanda evidenziando che l'attrice non aveva tempestivamente disconosciuto la conformità del documento prodotto in copia dai convenuti rispetto all'originale, nè aveva disconosciuto la propria sottoscrizione, dovendosi reputare in ogni caso tardivi il disconoscimento e la contestazione avvenuti in un'udienza successiva a quella immediatamente seguente l'avvenuta produzione documentale.
La Corte d'Appello di Roma con la sentenza n. 1811 del 18 marzo 2014 ha rigettato l'appello della M. .
Osservava che nessuno aveva mai posto in discussione che la lettera raccomandata prodotta dai convenuti, in quanto recante la sottoscrizione del de cuius ed interamente olografa, ed avendo i medesimi requisiti di forma prescritti per l'olografo, fosse idonea a determinare la revoca del primo testamento.
Nella fattispecie pertanto non si controverteva unicamente sulla possibilità di discutere o meno di un testamento olografo di cui non sia stato prodotto l'originale, ma piuttosto di verificare l'idoneità dell'atto di revoca, prodotto in copia, ma di cui non sia stata contestata validamente la conformità all'originale, a determinare gli effetti che la legge gli attribuisce.
Poiché anche per la contestazione della conformità della copia all'originale deve ritenersi applicabile il medesimo termine di decadenza posto dagli artt. 214 e 215 c.p.c., la contestazione sollevata dall'attrice era da reputarsi tardiva, non avendo connotati di specificità quanto dedotto dalla stessa M. in occasione della prima udienza di comparizione, immediatamente successiva alla produzione della copia da parte dei convenuti.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.L. sulla base di un motivo.
Gli intimati resistono con controricorso.
2. Con l'unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 684 e 2719 c.c., e art. 214 c.p.c., per avere il giudice di appello ritenuto che l'attrice già in primo grado fosse obbligata a contestare la conformità della copia della revoca del testamento prodotta dai convenuti.
Si rileva che costituisce principio affermato da questa Corte quello secondo cui chi abbia interesse a far valere le disposizioni di un testamento, e si trovi nell'impossibilità di produrre l'originale, deve formulare una specifica domanda di accertamento dell'esistenza dei requisiti di legge e del contenuto del testamento, a nulla rilevando la circostanza che la copia prodotta non sia stata disconosciuta dalla controparte, in quanto nulla impedirebbe di ipotizzare che il testatore abbia successivamente distrutto l'originale dopo averlo fotocopiato, al fine di pervenire alla revoca del testamento stesso.
Tale principio dovrebbe poi trovare applicazione anche al caso in cui sia prodotta la revoca del testamento.
Ne deriva che era onere invece dei convenuti dimostrare che la revoca del precedente testamento era ancora esistente alla data di apertura della successione.
Inoltre, la sentenza sarebbe erronea anche laddove ha reputato che l'attrice fosse onerata di procedere al disconoscimento dell'atto di revoca, trascurando che il documento in questione non proveniva dalle parti in causa.
Infine, deve ribadirsi che per il disconoscimento di fotocopia di cui all'art. 2719 c.c., non sono invocabili le limitazioni temporali di cui all'art. 215 c.p.c., non potendosi quindi ritenere che l'attrice sia incorsa nella decadenza invece ravvisata dai giudici di merito.
3. Il motivo è infondato.
Va in primo luogo disattesa la contestazione relativa alla pretesa inapplicabilità del termine di cui all'art. 215 c.p.c., anche al disconoscimento di conformità della fotocopia all'originale, ritenendo il Collegio di dover dar continuità all'ormai prevalente orientamento di questa Corte secondo cui il disconoscimento della conformità all'originale delle copie fotografiche o fotostatiche che, se non contestate, acquistano, ai sensi dell'art. 2719 c.c., la stessa efficacia probatoria dell'originale, è soggetto alla disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c., e, pertanto, deve avvenire, in modo formale e specifico, nella prima udienza o risposta successiva alla produzione (cfr. da ultimo Cass. n. 4053/2018; Cass. n. 882/2018; Cass. n. 13425/2014).
Del pari priva di fondamento è la deduzione secondo cui alla fattispecie non potrebbe trovare applicazione la previsione in tema di onere di disconoscimento, sul presupposto che la scrittura in copia di cui si evidenzia il tardivo disconoscimento della conformità all'originale, non sarebbe proveniente dalle parti in causa, ma da un terzo, in quanto non tiene conto della circostanza che l'attrice ha agito in questa sede vantando specificamente la qualità di erede del T. , e cioè dello stesso autore dell'atto prodotto in copia, occorrendo a tal fine tenere conto della previsione di cui all'art. 214 c.p.c., che impone anche agli eredi, sebbene con particolari modalità, l'onere di disconoscimento della scrittura privata (ovvero nel caso di specie di conformità della copia dell'atto comunque riferibile al loro dante causa).
Quanto invece alla necessità, nel caso in cui sia invocata l'efficacia di un testamento, di dover in ogni caso produrre l'originale dell'atto, non essendo sufficiente per chi intende avvalersene, produrre una semplice copia, sebbene non disconosciuta, il motivo di ricorso richiama il precedente di questa Corte (Cass. n. 3636/2004) a mente del quale, tenuto conto che la pubblicazione del testamento olografo, seppure non è configurabile come un requisito di validità o di efficacia, è atto preparatorio esterno necessario per la sua coattiva esecuzione, colui il quale - avendo interesse a fare valere le disposizioni testamentarie - si trovi nell'impossibilità di produrne l'originale, deve formulare una domanda di accertamento dell'esistenza dei requisiti di legge e del contenuto del testamento, fornendo la prova che l'irreperibilità del documento non sia espressione e conseguenza della volontà di revoca dell'atto da parte del testatore che, ai sensi dell'art. 684 c.c., si presume in caso di distruzione, lacerazione o cancellazione del testamento. Da tale premessa ha tratto poi il corollario secondo cui, in assenza di siffatta prova, l'eventuale mancato disconoscimento della copia dell'originale prodotta in giudizio è irrilevante, posto che non sarebbe idoneo ad escludere la possibilità che il testatore, allo scopo di revocare il testamento, abbia distrutto l'originale dopo averlo fotocopiato.
Reputa tuttavia il Collegio che tale precedente non sia confacente al caso in esame, nel quale la successiva scrittura prodotta in copia, e di cui si riconosce avere i requisiti di forma e di sostanza del testamento, è stata invocata dai convenuti nella sua idoneità a porsi come atto di revoca dell'anteriore testamento in virtù del quale l'attrice reclama la qualità di erede universale, e quindi di soggetto legittimato a far valere l'invalidità degli atti di alienazione posti in essere dai convenuti e relativi a beni appartenenti al de cuius.
Ed, invero, quanto alla revoca del testamento viene in gioco la previsione di cui all'art. 681 c.c., la quale prevede che la revocazione totale o parziale di un testamento può essere a sua volta revocata, ma sempre con le forme previste dall'art. 680 c.c., ovvero con un nuovo testamento o con un atto ricevuto da notaio.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di esaminare la dibattuta questione relativa all'ammissibilità di una revoca tacita della revoca espressa, ritenendo (cfr. Cass. n. 19915/2012) che l'art. 681 c.c., il quale disciplina la sola revocazione espressa della precedente revoca di un testamento, disponendo in tal caso la reviviscenza delle disposizioni revocate, non preclude al testatore la possibilità di revocare tacitamente la precedente revocazione, lasciando, tuttavia, in tal caso impregiudicata l'efficacia del testamento per primo revocato, da valutare in base alla volontà complessiva del testatore.
Tuttavia ciò è consentito solo nei limiti in cui (cfr. Cass. n. 1260/1987) la revoca tacita sia desumibile dalla redazione di un successivo testamento le cui disposizioni siano incompatibili con quelle precedenti, ponendosi al più un problema di interpretazione in ordine alla volontà del testatore di far rivivere o meno le disposizioni già revocate (in senso conforme Cass. n. 1405/1968, a mente della quale l'art. 681 c.c., prevedendo la possibilità di revocare la revoca espressa di disposizione testamentaria con la forma prevista dall'art. 680 c.c., per la revoca espressa, non ha precluso al testatore la possibilità di revocare una sua precedente disposizione revocatoria in modo tacito, redigendo, cioè, un nuovo testamento).
La formulazione letterale dell'art. 681 c.c., che tendenzialmente preclude la revocazione tacita della precedente revoca espressa (fatta salva l'ipotesi sopra evidenziata in cui la revoca per incompatibilità derivi dalla redazione di un successivo testamento, e quindi dalla formazione di un atto che abbia le forme stabilite dall'art. 680 c.c.), impone di dover aderire, pur nella consapevolezza della non unanimità dei consensi che la soluzione riscuote in dottrina, alla tesi secondo cui ai fini della revoca tacita della revoca espressa del testamento non sarebbe possibile fare ricorso alle altre fattispecie di revoca tacita, ed in particolare a quella contemplata dall'art. 684 c.c., dovendosi quindi escludere, una volta che sia stata manifestata una volontà di revoca espressa, che la successiva distruzione, lacerazione o cancellazione, possa far rivivere le disposizioni testamentarie revocate.
Non ignora la Corte come di recente sia intervenuta Cass. n. 8031/2019 che ha affermato che la cancellazione del testamento disciplinata dall'art. 684 c.c., si configura, al pari della distruzione, come un comportamento concludente avente valore legale, riconducibile in via presuntiva al testatore quale negozio di attuazione, che deve essere giuridicamente qualificato, alla luce del citato art. 684 c.c., quale revoca tacita del detto testamento, così che, qualora ad essere cancellato sia un testamento successivo contenente la revoca di quello precedente, non trova applicazione l'art. 683 c.c., per il quale, nelle ipotesi dallo stesso indicate, la revocazione fatta con un testamento posteriore conserva la sua efficacia anche quando questo resta senza effetto, ma l'art. 681 c.c., che disciplina il diverso caso (con tale arresto si è ritenuto di innovare rispetto alla più risalente contraria giurisprudenza di questa Corte, costituita da Cass. n. 3505/1958).
Ad avviso del Collegio tale principio non risulta rilevare nella fattispecie, nella quale, a differenza del caso invece esaminato nel precedente richiamato, non vi è prova alcuna della distruzione ovvero della cancellazione volontarie dell'olografo da parte del testatore, posto che solo in presenza di tali condotte potrebbe rinvenirsi quella concludenza comportamentale che implica a mente del più recente arresto la revoca della revoca.
Peraltro l'eventuale distruzione o cancellazione volontarie del secondo testamento contenente anche la revoca dell'istituzione di erede della M. , con una evidente immutazione dei fatti di causa, sono state prospettate e solo in maniera generica in questa sede (nè può trascurarsi la circostanza che, essendo la missiva contenente la revoca dell'istituzione di erede della M. rappresentata da una missiva indirizzata alla stessa ricorrente, oltre a palesarsi l'estrema difficoltà di poter versare in atti l'originale, ciò rende anche inverosimile, in ragione peraltro della dimostrazione dell'effettiva ricezione di tale missiva da parte della M. , come attestato a pag. 5 della sentenza d'appello, che lo stesso testatore possa avere provveduto alla distruzione o cancellazione di un documento ormai fuoriuscito dalla sua sfera di disponibilità).
Nè infine vale invocare che il mancato reperimento dell'originale impedirebbe la pubblicazione del testamento contenente la revoca espressa, posto che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 2651/1970) la pubblicazione del testamento olografo va intesa come atto anteriore e soltanto preparatorio alla sua effettiva e concreta esecuzione e non costituisce un requisito della efficacia del testamento.
Ne deriva che la mancata pubblicazione non rileva nella vicenda in esame, non avendo i convenuti chiesto l'esecuzione del secondo testamento, ma essendosi semplicemente limitati a farne valere l'efficacia, nella parte in cui ha disposto la revoca del primo testamento e quindi la perdita della qualità di erede in capo all'attrice (cfr. anche Cass. n. 645/1956).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all'avv. Giuseppe Zaccaria dichiaratosene anticipatario.
5. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l'art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione all'avv. Giuseppe Zaccaria dichiaratosene antistatario;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell'art. 1 bis, dello stesso art. 13.
Avv. Antonino Sugamele

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