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Sentenza

Trapani. Impugnazione testamento. L'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato ...
Trapani. Impugnazione testamento. L'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Cass. civ. Sez. VI - 2, Ord., (ud. 07-11-2018) 17-12-2018, n. 32586
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Presidente -

Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere -

Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere -

Dott. PICARONI Elisa - Consigliere -

Dott. FALASCHI Milena - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2676-2018 proposto da:

S.G. e S.A.S., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA, 1, presso lo studio dell'avvocato MAURIZIO DE STEFANO, che li rappresenta e difende;

- ricorrenti -

contro

S.S.G., S.C., SA.GI., rappresentati e difesi dall'avv. MICHELE LA FRANCESCA;

- controricorrenti -

e S.F., S.A.M.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 2006/2017 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 02/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.
Svolgimento del processo

1 La Corte d'Appello di Palermo con sentenza 2.11.2017, in accoglimento dell'impugnazione proposta da S.C. contro la sentenza di primo grado (Tribunale di Trapani n. 674/2012), ha rigettato la domanda che i fratelli G., A.M., A.S. e F.S. avevano proposto nei confronti della predetta C. nonchè degli altri fratelli Gi. e Salvo Girolamo per ottenere l'annullamento o la dichiarazione di nullità del testamento pubblico della madre E. D'A., deceduta il 26.2.2007.

Il giudice del gravame ha ritenuto che mancava una prova specifica della incapacità di intendere e di volere della testatrice al momento della redazione del testamento ed ha tratto tale convincimento sia dalla documentazione sanitaria esaminata (che evidenziava un non totale deterioramento mentale), sia dall'elemento indiziario rappresentato dalla partecipazione del notaio rogante.

Ha ritenuto infine che nessun apporto alla decisione poteva venire dalle prove testimoniali a causa delle loro contraddizioni.

2 Contro tale sentenza ricorrono per cassazione G. e A.S. Sammaritano sulla base di due motivi contrastati con controricorso dai soli C., Gi. e S.G.S..

Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso.

I ricorrenti hanno depositato una memoria.
Motivi della decisione

1 Con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, l'omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostengono i ricorrenti che la Corte d'Appello avrebbe dovuto chiarire perchè la prova testimoniale non era di nessun apporto ai fini della decisione, spiegando quali fossero le contraddizioni in cui erano incorsi i testimoni, a fronte della espressa considerazione delle loro deposizioni da parte del primo giudice.

Il motivo è inammissibile.

L'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (v. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831).

Nel caso in esame, si è assolutamente al di fuori di tale ipotesi perchè la critica che muovono i ricorrenti, dietro lo schermo dell'omesso esame circa un fatto decisivo (peraltro neppure specificamente enunciato in ricorso) censura la sufficienza della motivazione sulla ritenuta assenza di apporto della prova per testi (v. pagg. 11 e 12 del ricorso) e quindi si verte in tema di valutazione di elementi istruttori (in particolare di valutazione circa le deposizioni testimoniali sulle condizioni di salute della de cuius e sulla sua incapacità di riconoscere i figli).

"La mancanza assoluta di motivazione sotto l'aspetto materiale e grafico" è poi una deduzione mai sollevata in ricorso, ma solo a pag. 4 della memoria e quindi inammissibile.

2 Col secondo motivo si deduce ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 115 c.p.c., nel combinato disposto dell'art. 24 Cost. e dell'art. 6 paragrafo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (diritto al processo), combinato con l'art. 117 Cost., rimproverandosi alla Corte d'Appello di non avere disposto una consulenza medico-legale sulla capacità di intendere e di volere della de cuius e di non avere motivato sul diniego.

Anche questo motivo è inammissibile.

E' bene subito chiarire che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (v. tra le tante, Sez, 50, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129; Sez. 50, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010 Rv. 612745; più di recente, v. anche Sez. 2 - Ordinanza n. 20964 del 08/09/2017 Rv. 645246 in motivazione).

Questa Corte ha altresì affermato che la violazione dell'art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (Ordinanza n. 4699 del 28/02/2018 Rv. 647432; Sez. 3 -, Sentenza n. 20382 del 11/10/2016 Rv. 642907; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 Rv. 640192; Sez. 6 - 50, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016 Rv. 642299).

Ebbene, ad avviso del Collegio, si è senz'altro fuori dalle violazioni denunziate perchè i ricorrenti si dolgono in definitiva del mancato esercizio della facoltà di nomina del consulente tecnico nel giudizio di appello, tipica attività rientrante nelle prerogative del giudice di merito (v. tra le varie, Sez. 1 -, Sentenza n. 7472 del 23/03/2017 Rv. 644826). E nel caso di specie la ratio decidendi adottata dalla Corte di merito (v. sopra in narrativa) implica un rigetto implicito della relativa istanza per irrilevanza del mezzo (v. Sez. 6 3, Ordinanza n. 1239 del 18/01/2017 Rv. 642731; Sez. 3, Sentenza n. 14611 del 12/07/2005 Rv. 584883).

Considerato che oggi il vizio di motivazione non è neppure più denunziabile in cassazione (v. il nuovo testo dell'art. 360, comma 1, n. 5), non si ravvisa nessuna lesione del diritto di difesa: logica conseguenza è che il richiamo ai principi costituzionali e della CEDU è del tutto fuori luogo, avendo i ricorrenti beneficiato di due gradi di merito.

L'inammissibilità del ricorso comporta inevitabilmente l'addebito delle spese del presente giudizio alla parte soccombente.

Rilevato infine che il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 - quater - della sussistenza dell'obbligo di versamento, a carico dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 - quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2018
Avv. Antonino Sugamele

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