Notizie, Sentenze, Articoli - Diritto Successorio Trapani

Sentenza

Marsala. Divisione comunione ereditaria....
Marsala. Divisione comunione ereditaria.
Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 26-10-2017) 11-01-2018, n. 493

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Presidente -
Dott. ORICCHIO Antonio - Consigliere -
Dott. SABATO Raffaele - Consigliere -
Dott. SCARPA Antonio - Consigliere -
Dott. DONGIACOMO Giuseppe - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26084/2013 proposto da:
R.G. e R.A., elettivamente domiciliati a ROMA, Via San Tommaso d'Aquino 104, presso lo studio dell'Avvocato VALENTINA PIRAINO e rappresentati e difesi dall'Avvocato LEONARDO ANTONINO BUFFA per procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrenti -
contro
R.V., R.P. e RO.GI., elettivamente domiciliati a ROMA, via Giuseppe Mercalli 46, presso lo studio dell'Avvocato PIETRO PAPE' e rappresentati e difesi dall'Avvocato MARIA ANTONIETTA TOSTO per procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrenti -
nonchè B.C.R., B.B., BA.GI., B.E., B.V.M., nella qualità di eredi di L.V.;
e P.M., P.C., PR.VI.IT. e P.G., nella qualità di eredi di I.G.;
- intimati -
avverso la sentenza non definitiva n. 1573/2010 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata in data 10/11/2010 e la sentenza definitiva n. 609/2013 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata in data 04/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 26/10/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;
sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. CAPASSO Lucio, il quale ha chiesto l'accoglimento del quinto motivo e per quanto di ragione del sesto motivo ed assorbito in parte il settimo motivo ed in parte rigettato e per il rigetto dei restanti motivi del ricorso principale; accoglimento del primo motivo ed assorbiti i restanti motivi del ricorso incidentale;
sentito, per i ricorrenti, l'Avvocato MAURIZIO IACONO QUARANTINO, per delega dell'Avvocato LEONARDO ANTONINO BUFFA;
sentito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l'Avvocato IGNAZIO SILLITI, per delega dell'Avvocato MARIA ANTONIETTA TOSTO.

Svolgimento del processo

La corte d'appello di Palermo, con sentenza non definitiva depositata il 10/11/2010, ha confermato la sentenza con la quale il tribunale di Marsala, in data 24/9/2004, ha disposto la divisione dei beni oggetto della comunione ereditaria intercorrente tra gli attori R.V., R.P. e Ro.Gi. ed i convenuti R.G. e R.A. ed ha rigettato le domande riconvenzionali proposte da questi ultimi in primo grado.
La corte, in particolare, per ciò che riguarda l'atto di vendita posto in essere dal de cuius R.M. in favore del figlio Gi. in data 22/4/1994 e la sua eccepita nullità (per avere il venditore dichiarato di aver acquisito il fondo alienato per usucapione, laddove, invece, in mancanza dei relativi presupposti, si è trattato di un acquisto a non domino sicchè il bene venduto, a seguito del decesso della sua unica proprietaria, e cioè la loro madre, M.G., che lo aveva ricevuto dal nonno materno, L.I. e lo aveva posseduto per oltre trent'anni, è entrato, dopo la morte della stessa, nel 1991, nella comunione ereditaria tra il padre ed i cinque figli), ha ritenuto di condividere il giudizio, espresso dal tribunale, di "inidoneità" della documentazione prodotta - e, segnatamente, dell'elenco delle trascrizioni ed iscrizioni sul conto di L.I. e di L.P. - "a provare la titolarità del bene de quo in capo a M.G.", sul rilievo che tale documento, oltre a non essere stato rilasciato dalla Conservatoria, ma dalla D.V. Service s.n.c., "comunque, non contiene alcun riferimento al bene oggetto del trasferimento", sicchè, "non essendo provata la titolarità del bene in capo alla M., il bene non faceva parte della sua successione  e, conseguentemente, nessuna comunione ereditaria era sorta tra gli eredi della stessa". Nè rileva - ha aggiunto la corte - la mancata contestazione delle risultanze delle visure ipotecarie da parte degli attori, con la conseguente necessità di considerare il fatto come accertato: "nel caso di specie, premesso che l'azione proposta dai convenuti con la domanda riconvenzionale con riferimento al bene oggetto della compravendita asseritamente nulla va qualificata come petitio hereditatis, gli stessi avrebbero dovuto fornire la prova che il bene al tempo dell'apertura della  successione era compreso nell'asse ereditario" e "detto fatto ha concluso la corte - non può ritenersi... pacifico, avendo gli attori chiesto la divisione dei beni oggetto della comunione ereditaria, tra i quali non era indicato quello oggetto della riconvenzionale". E neppure, infine, - ha concluso la corte - può rilevare la mancata contestazione del valore probatorio del documento prodotto dalla parte, visto che "l'esame e la valutazione dei documenti esibiti, ai sensi dell'art. 116 c.p.c., è... apprezzamento di fatto riservato al giudice, e non rientra nella disponibilità delle parti", sicchè, in definitiva, rigettando il corrispondente motivo d'appello, "esattamente con la sentenza appellata il Tribunale ha ritenuto non provata la titolarità del bene in capo alla M., come invece dedotto dai convenuti".
La corte, poi, rigettando il secondo motivo d'appello, con cui gli appellanti hanno lamentato il rigetto della domanda riconvenzionale diretta a far valere la simulazione degli atti con i quali, in data 22/2/1994, il de cuius R.M. ha venduto ai figli Gi., P. e V. la nuda proprietà di alcuni terreni, trattandosi, in realtà, di donazioni in violazione della legittima, ha ritenuto, per un verso, che non possono essere considerate, ai fini della prova presuntiva della simulazione, le circostanze che gli appellanti hanno allegato "solo con l'atto di appello" (e cioè: a) il rapporto di padre e figli esistente tra i contraenti; b) il pagamento, da parte del figlio Gi., al momento della stipula solo di una parte dell'importo pattuito; c) il compimento dell'alienazione solo in favore dei tre figli conviventi; d) la pattuizione di un prezzo di gran lunga inferiore rispetto a quello normalmente praticato per la vendita dei beni ubicati nella medesima zona), e, per altro verso, che l'unico elemento ritualmente dedotto a tal fine nella comparsa di risposta nel giudizio di primo grado (e cioè l'esclusione dalla vendita delle fabbriche esistenti sul terreno) oltre a riferirsi solo alla vendita a R.M., non ha i caratteri richiesti dall'art. 2727 c.c., sia perchè il ricorso alla prova presuntiva richiede che a suo fondamento il giudice ponga una pluralità di elementi caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, sia perchè, in ogni caso, la predetta circostanza non appare in alcun modo sintomatica di una attribuzione a titolo gratuito.
La corte, inoltre, per quel che ancora rileva, dopo aver premesso che gli appellanti, nella comparsa di risposta in primo grado, si erano limitati ad allegare "di avere costruito sul terreno sito in contrada (OMISSIS) le due case di abitazione che venivano espressamente escluse dalla vendita stipulata nel 1994 e che sarebbe spettato quindi il rimborso dei 4/5 delle spese sostenute pari al valore dei materiali più il prezzo della manodopera necessaria ed alla rivalutazione monetaria", chiedendo, quindi, "il riconoscimento del loro diritto di credito e la condanna degli attori al pagamento delle quote di rispettiva spettanza", ha rilevato che, "nel giudizio di primo grado non è stata nè allegata nè provata l'entità di detto credito": "i convenuti si sono infatti limitati a chiedere il riconoscimento di detto diritto senza però indicare l'entità delle spese che assumono di aver affrontato per la mano d'opera e per i materiali. Nè detta prova è emersa dalle testimonianze" sicchè, "in difetto di allegazione e di prova risulta... infondata la doglianza relativa al mancato conferimento al c.t.u. dell'incarico di determinare l'ammontare delle somme investite per la realizzazione del fabbricato, come richiesto con la memoria istruttoria...".
La corte, infine, ha rilevato che gli appellanti hanno chiesto, in via riconvenzionale, il rimborso delle spese sostenute per le case edificate e non l'aumento di valore del fondo (art. 936 c.c., comma 2), risultando, pertanto, infondata la doglianza con la quale gli stessi hanno lamentato il mancato conferimento al consulente dell'incarico di determinare sia l'ammontare degli investimenti da loro effettuati, sia l'incremento di valore del fondo.
La corte, quindi, ha disposto una nuova consulenza tecnica d'ufficio al fine di dividere i beni oggetto della comunione e, fissata l'udienza per la discussione del progetto di divisione e rilevato il dissenso delle parti, ha, con sentenza definitiva del 4/4/2013, proceduto alla divisione dei beni.
A tal fine, la corte, dopo aver evidenziato che con atto del 22/2/1994, R.M. ha venduto al figlio V. la nuda proprietà della metà indivisa del terreno censito in catasto alla part. (OMISSIS), foglio (OMISSIS), part. (OMISSIS), con espressa esclusione delle fabbriche sopra esistenti, ha così determinato il compendio dei beni facenti parte dell'asse ereditario: 1) la metà indivisa dell'appezzamento di terreno in (OMISSIS), censito in catasto alla part. (OMISSIS), foglio (OMISSIS), part. (OMISSIS); 2) le costruzioni che vi insistono, composte da otto appartamenti; 3) la quota pari ad un terzo di uno spezzone di terreno sito a (OMISSIS), censiti in catasto alla partita (OMISSIS), foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS); 4) la quota pari ad un terzo di uno spezzone di terreno sito a (OMISSIS), censiti in catasto alla partita (OMISSIS), foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS).
All'esito, formate cinque quote, del valore di Euro 95.946,67 ciascuna, la corte, dopo aver evidenziato che "gli immobili compresi nelle prime quattro quote risultano essere occupati, rispettivamente, da R.V., R.A., R.P. e R.G." e che "sussistono i presupposti per procedere alla loro attribuzione ai predetti condividenti", ha disposto lo scioglimento della comunione ereditaria mediante l'assegnazione degli immobili e la determinazione dei relativi conguagli in denaro.
La corte, infine, "considerata la soccombenza di R.A. e R.G. relativamente al motivo di appello con il quale è stato chiesto, in riforma della sentenza di primo grado, l'accoglimento della domanda riconvenzionale di usucapione", ha condannato gli stessi al pagamento in favore degli appellati di un terzo delle spese di lite, compensando, invece, tra le parti i restanti due terzi "considerata la natura delle altre richieste (divisione dei beni ereditari), cui hanno aderito gli appellati", e ponendo, infine, a carico di tutti i condividenti, in solido, le spese della consulenza tecnica di ufficio.
R.G. ed A., con ricorso notificato a R.V., R.P. e Ro.Gi. il 13.15/11/2013, hanno proposto, per sette motivi, la cassazione delle sentenze rese dalla corte d'appello.
Hanno resistito, con controricorso notificato il 23/12/2013, R.V., Ro.Gi. e R.P., i quali, per quattro motivi, hanno proposto ricorso incidentale.
I ricorrenti, in data 24.25/1/2014, hanno notificato controricorso al ricorso incidentale, del quale hanno, in particolare, eccepito l'inammissibilità, perchè tardivo, per l'ipotesi in cui tutti i motivi del ricorso principale fossero dichiarati inammissibili.
I controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. 

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, intitolato "violazione e falsa applicazione delle norme dell'art. 177 c.c., comma 1, lett. a), come modificato dalla L. n. 151 del 1975", i ricorrenti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza non definitiva impugnata nella parte in cui ha confermato la sentenza del tribunale che aveva rigettato la domanda di nullità, perchè compiuto a non domino, dell'atto con il quale il de cuius R.M. ha venduto al figlio Gi. la nuda proprietà di un fabbricato, con annesso spezzone di terreno, sulla base del mero rilievo che i convenuti non hanno fornito la prova dell'appartenenza del bene che ne è stato l'oggetto alla loro madre, M.G., laddove, al contrario, i coniugi R.M. e M.G., avendo contratto matrimonio negli anni ‘40 ed in assenza di un'esplicita volontà tesa a rinunciare al nuovo regime legale introdotto con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, rientravano nel regime della comunione legale, sicchè, a norma dell'art. 177 c.c., comma 1, lett. a), tutti i beni successivamente acquistati, anche separatamente, dagli stessi, a titolo derivativo ed a titolo originario, sono entrati a far parte della comunione legale dei beni, compreso, dunque, l'immobile che R.M. ha dichiarato di vendere, per averlo acquistato per usucapione (sebbene mai accertata con sentenza) in ragione del suo possesso ultratrentennale, al figlio Gi., con la conseguenza - hanno aggiunto i ricorrenti - che la corte, anche in mancanza della prova della titolarità esclusiva del bene in capo a M.G., non avrebbe potuto che riconoscere, quanto meno, la contitolarità del bene in questione tra la stessa ed il marito, ai sensi dell'art. 177 c.c., comma 1, lett. a) e, quindi, la nullità della vendita effettuata dal de cuius, con l'atto del 1994, che avrebbe disposto di un bene del quale non era l'esclusivo proprietario bensì comproprietario unitamente ai cinque figli, eredi pro quota di M.G..
2. Con il secondo motivo, intitolato "violazione e falsa applicazione delle norme di cui all'art. 215 c.c., vigente anteriormente alla riforma del diritto di famiglia con L. n. 151 del 1975, nonchè degli artt. 29 e 42 Cost.", i ricorrenti hanno censurato, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la sentenza non definitiva impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha confermato la sentenza del tribunale che aveva rigettato la domanda di nullità, perchè compiuto a non domino, dell'atto con il quale il de cuius R.M. ha venduto al figlio Gi. la nuda proprietà di un fabbricato, con annesso spezzone di terreno, sulla base del mero rilievo che i convenuti non hanno fornito la prova dell'appartenenza del bene che ne è stato l'oggetto alla loro madre, M.G., laddove, al contrario, ai sensi dell'art. 215 c.c., nel testo in vigore prima della riforma del diritto di famiglia, il regime della comunione universale dei beni dei beni poteva sorgere anche in virtù di una tacita intesa tra i coniugi, ove desumibile dalla situazione di fatto, come, in effetti, è accaduto nel caso di specie, nel quale il bene oggetto della vendita posta in essere dal de cuius R.M. in favore del figlio Gi. era stato da sempre adibito e per tutta la vita matrimoniale a residenza familiare e casa coniugale dai coniugi R. e M., con la conseguenza che quest'ultima, a fronte dell'acquisto da parte del marito prima dell'entrata in vigore della legge di riforma del diritto di famiglia, è divenuta comproprietaria del predetto bene il quale, alla sua morte, è entrato a far parte del patrimonio del marito e dei suoi cinque figli. La corte d'appello, dunque, hanno concluso i ricorrenti, sebbene non richiesta, avrebbe dovuto dichiarare la nullità della vendita in questione in quanto il de cuius non avrebbe potuto disporre del bene immobile che ne è stato l'oggetto in quanto coerede unitamente ai cinque figli.
3. Con il terzo motivo, intitolato "nullità del dictum per violazione dell'art. 345 c.p.c.", i ricorrenti, a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 4, hanno censurato la sentenza non definitiva impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha rigettato la domanda riconvenzionale che gli stessi, quali convenuti, hanno proposto per il riconoscimento della simulazione dell'atto con il quale, in data 22/2/1994, R.M. ha venduto al figlio Gi. la nuda proprietà di un fabbricato, con annesso spezzone di terreno, sito a (OMISSIS), iscritto al catasto al foglio (OMISSIS), p.lla (OMISSIS), per il prezzo di Lire 35.000.000, al figlio P. la nuda proprietà di un fabbricato, con annesso spezzone di terreno, ubicato a (OMISSIS), iscritto al catasto al foglio (OMISSIS), p.lla (OMISSIS), per il prezzo di Lire 20.000.000, ed al figlio V. la nuda proprietà della metà indivisa di un appezzamento di terreno, ubicato a (OMISSIS), censito in catasto alla part. (OMISSIS), foglio (OMISSIS), part. (OMISSIS), per il prezzo di Lire 19.000.000, trattandosi, in realtà, di atti che simulavano atti dispositivi a carattere gratuito - donazioni - con conseguente violazione della legittima ai loro danni, sul rilievo che gli elementi presuntivi a tal fine addotti (e cioè: a) il rapporto tra padre e figli esistente tra i contraenti; b) la corresponsione da parte del figlio Gi., al momento della stipula, solo di una parte dell'intero importo pattuito; c) il compimento delle alienazioni solo in favore dei tre figli conviventi; d) la pattuizioni di prezzo di gran lunga inferiore a quella normalmente praticato per la vendita di beni nella medesima zona) non sono stati oggetto di allegazione in primo grado in quanto dedotti solo con l'atto di appello, laddove, al contrario, gli appellanti, con l'atto introduttivo, si sono limitati a porre all'attenzione della corte d'appello una serie di ulteriori circostanze, peraltro già emerse nel corso del giudizio di primo grado e desumibili dallo stesso atto di vendita del 1994 (quelle di cui alle lett. a), b) e c)) e nella consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio di primo grado (quella di cui alla lett. d), il cui rilievo non viola alcun divieto di nova in appello, non rappresentando nè una domanda nuova, attesa l'identità del petitum e della causa petendi, nè una nuova prova o un nuovo mezzo di prova, sicchè la corte d'appello, omettendo di esaminare le circostanze addotte dagli attori per provare la simulazione degli atti compiuti dal de cuius in loro danno, ha violato l'art. 345 c.p.c.. D'altra parte, hanno aggiunto ricorrenti, anche a voler ritenere che si sia trattato di nuove prove, l'art. 345 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma del 2012 ed applicabile al presente giudizio, consente l'introduzione di nuove prove nel giudizio di appello se indispensabili ai fini della decisione della causa, essendo innegabile che la valutazione di tali elementi presuntivi, utilizzabili dagli eredi che agiscono per far dichiarare la simulazione di atti stipulati in loro danno nonchè in riduzione, avrebbe comportato l'idoneità degli stessi a provare al simulazione degli atti dispositivi in contestazione e, quindi, ad una pronuncia idonea a ribaltare l'esito del giudizio di primo grado.
4.Con il quarto motivo, intitolato "violazione e falsa applicazione delle norme dei cui agliartt. 1417 e 2727 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè mancato esame delle presunzioni gravi precise e concordanti addotte dagli appellanti nei rispettivi atti di citazione in appello decisive ai fini del decidere ex art. 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5", i ricorrenti hanno censurato la sentenza non definitiva impugnata nella parte in cui la corte d'appello, ritenendo l'irritualità delle allegazioni di cui ai punti a), b), c) e d), sopra citati, ne ha completamente omesso l'esame, in tal modo non solo violando le norme in materia di simulazione (art. 1417 c.c.) e di prova per presunzioni (art. 2727 c.c.), ma dando anche luogo ad un vizio motivazionale per omesso esame di allegazioni decisive ai fini della prova della simulazione delle vendite contestate. Gli eredi che agiscono per far dichiarare la simulazione di atti dispositivi posti in essere dal de cuius in loro danno e che contestualmente agiscono per la riduzione assumono, infatti, hanno aggiunto i ricorrenti, una posizione di terzi, e non di parti, e sono, dunque, ammessi a provare la simulazione degli atti dispositivi impugnati con ogni mezzo, compresa la prova per presunzioni semplici, purchè gravi precise e concordanti, come le circostanze dedotte dagli appellanti (e cioè: a) il rapporto tra padre e figli esistente tra i contraenti; b) la corresponsione da parte del figlio Gi., al momento della stipula, solo di una parte dell'intero importo pattuito; c) il compimento delle alienazioni solo in favore dei tre figli conviventi; d) la pattuizioni di prezzo di gran lunga inferiore a quella normalmente praticato per la vendita di beni nella medesima zona, nonchè e) il fatto che dalla terza vendita in favore del figlio V. sono state espressamente escluse le fabbriche esistenti), il cui esame avrebbe fatto emergere, quale conseguenza assoluta ed esclusiva, il fatto ignoto, e cioè le disposizioni a titolo gratuito compiute dal defunto in favore di tre dei suoi cinque figli.
5.Con il quinto motivo, intitolato "violazione e falsa applicazione delle norme dell'art. 936 c.c., comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", i ricorrenti hanno censurato la sentenza non definiva impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha respinto l'appello proposto avverso l'omessa statuizione, da parte del tribunale, sulla domanda riconvenzionale con la quale i convenuti avevano chiesto che venisse loro riconosciuto l'aumento di valore del fondo ubicato a (OMISSIS) e censito al foglio (OMISSIS), part. (OMISSIS), per avere gli stessi costruito a proprie spese gli appartamenti ed i garage dei quali sono sempre stati in possesso, sul rilievo che la domanda ha riguardato il rimborso delle spese sostenute e non l'aumento di valore del fondo e che non è stata fornita la prova del credito azionato, nè risultando indicata l'entità delle spese contratte per manodopera e materiali, laddove, al contrario, la domanda riconvenzionale che i convenuti hanno proposto nella comparsa di risposta, per come formulata ("riconoscere il diritto di credito dei convenuti verso i coeredi per le spese sostenute per la costruzione delle case e condannare gli attori al pagamento delle spese di rispettiva spettanza"), è inquadrabile nella fattispecie del citato art. 936 c.c., comma 2, ed, in ogni caso, i ricorrenti hanno fornito la prova di aver sostenuto le spese per la costruzione degli immobili da loro abitati, pur non quantificandole, e di avere richiesto, nella memoria prevista dall'art. 184 c.p.c., che il consulente tecnico d'ufficio determinasse l'ammontare delle somme investite per la realizzazione del fabbricato.
6. Con il sesto motivo, intitolato "violazione e falsa applicazione dell'art. 115 e dell'art. 167 c.p.c. (violazione del principio di non contestazione) in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - error in procedendo"), i ricorrenti hanno censurato la sentenza non definitiva impugnata nella parte in cui la corte d'appello, in violazione del principio di non contestazione stabilito dagli artt. 167 e 115 c.p.c., ha confermato la sentenza del tribunale che aveva rigettato le domande riconvenzionali proposte dai convenuti, omettendo di considerare che tanto il fatto dell'appartenenza del bene oggetto della vendita alla defunta M.G., quanto il fatto che i fratelli G. ed A. hanno costruito a proprie spese gli immobili da loro sempre abitati, non sono stati specificamente contestati.
7. Con il settimo motivo, intitolato "nullità della Sentenza e/o del procedimento per violazione del principio processuale di cui all'art. 112 c.p.c. - Vizio di ultrapetizione /Violazione del divieto di reformatio in peius nel processo civile in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4", i ricorrenti hanno censurato la sentenza definitiva nella parte in cui la corte d'appello, senza che parti in causa lo abbiano chiesto, ha disposto che si procedesse ad una nuova consulenza tecnica di ufficio al fine di stimare gli immobili da dividere ed ha proceduto, sulla base di tale valutazione, alla divisione dei beni, così violando il principio devolutivo, posto che gli appellanti non avevano formulato uno specifico motivo di impugnazione, ed il principio del divieto di reformatio in peius, posto che i valori attribuiti alla massa ereditaria da parte del consulente nominato in secondo grado sono eccessivamente, sproporzionatamente ed ingiustificatamente superiori a quelli di cui alla consulenza tecnica disposta in primo grado, pervenendo a determinare la quota di conguaglio da versare ad uno dei cinque condividenti in misura di gran lunga superiore a quella prevista nella consulenza del giudizio svoltosi innanzi al tribunale senza che la parte avversaria abbia proposto appello incidentale.
8.Con il primo motivo di ricorso incidentale, intitolato "omessa motivazione con riferimento alle quote 1^ e 3^ in relazione agli immobili già occupati dai condividenti R.V. e R.P.", i ricorrenti incidentali, a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza definiva impugnata nella parte in cui la corte d'appello, pur affermando la sussistenza dei presupposti per attribuire gli immobili ai condividenti che ne sono gli occupanti, ha provveduto, senza dar conto del percorso argomentativo seguito per l'individuazione, per ciascun appartamento, del relativo occupante, ad assegnare a R.V. l'appartamento (collocato al 1^ piano a destra salendo la scala condominiale dell'edificio) occupato da P. ed a R.P. l'appartamento (al 1^ piano a sinistra salendo la scala condominiale dell'edificio) occupato da V., laddove, alla luce degli accertamenti svolti dal consulente tecnico d'ufficio, a R.P. andava assegnato l'appartamento che occupa, posto al 1^ piano a sinistra salendo la scala condominiale dell'edificio ed a R.P. l'appartamento che occupa, posto a 1^ piano a destra salendo la scala condominiale dell'edificio.
9. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, intitolato "violazione dell'art. 91 c.p.c., in punto di parziale condanna degli appellanti, in favore degli appellati, alle spese di soccombenza del grado", i ricorrenti incidentali, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza definitiva impugnata nella parte in cui la corte d'appello, sul presupposto che R.A. e R.G. sono stati soccombenti relativamente al motivo di appello con il quale hanno chiesto, in riforma della sentenza di primo grado, l'accoglimento della domanda riconvenzionale di usucapione, li ha condannati al pagamento in favore degli appellati di un terzo delle spese di lite, laddove, in realtà, con la sentenza non definitiva, la stessa corte ha rigettato tutte le domande riconvenzionali proposte dagli appellanti, sicchè, al rigetto dell'appello, doveva conseguire la condanna degli appellanti al pagamento delle spese processuali in favore degli appellati ai sensi dell'art. 91 c.p.c..
10. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, intitolato "violazione dell'art. 92 c.p.c., in punto di compensazione per 2/3 delle spese del grado (art. 360 c.pc.., comma 1, n. 3) - Vizio di insufficiente motivazione in relazione alla disposta compensazione per 2/3 delle spese del grado (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)", i ricorrenti incidentali hanno censurato la sentenza definitiva impugnata nella parte in cui la corte d'appello, "considerata la natura delle altre richieste (divisione dei beni ereditari), cui hanno aderito gli appellati", ha disposto la compensazione dei due terzi delle spese processuali tra le parti, trascurando, in tal modo, di considerare che la domanda di divisione è stata inizialmente proposta dagli appellati mentre gli appellanti hanno proposto una domanda di divisione (che includesse nella massa ereditaria i beni immobili trasferiti dal de cuius con atto del 22/2/1994) che, però, non ha trovato accoglimento, sicchè, con il rigetto dei motivi d'appello e la conferma della sentenza di primo grado, avrebbero dovuto seguire, a norma dell'art. 92 c.p.c., le conseguenti statuizioni in materia di soccombenza e spese processuali.
11. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, intitolato "omessa motivazione in punto di spese di ctu (poste a carico di tutti i condividenti in solido)", i ricorrenti incidentali, a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza definitiva impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha posto a carico di tutti i condividenti, in solido, le spese di consulenza tecnica di ufficio, senza fornire alcuna motivazione, non avendo il giudice di merito indicato gli elementi sui quali ha fondato il proprio convincimento.
12. In via preliminare, la Corte deve esaminare la questione relativa al mancata produzione in giudizio dell'avviso di ricevimento concernente la notifica del ricorso principale e del controricorso a P.M., nella qualità di erede di I.G., nonchè della indimostrata ritualità della notifica del ricorso principale a B.V.M., nella qualità di erede di L.V.: si tratta, precisamente, delle comproprietarie, insieme al de cuius, dei fondi siti a (OMISSIS), censiti in catasto alla partita (OMISSIS), foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS) e (OMISSIS).
La Corte esclude che debba procedersi, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., alla concessione di un termine per la rinnovazione delle predette notifiche, se non altro perchè la domanda di divisione che gli attori hanno proposto, così come ricostruite dalle sentenze impugnate, riguardano dichiaratamente "i beni ereditari", vale a dire, tra l'altro, la sola quota indivisa appartenente al de cuius sui predetti fondi: e non anche lo scioglimento di quest'ultima comunione ordinaria, tant'è che la corte d'appello, nella sentenza definitiva, ha provveduto alla divisione con esclusivo riguardo alla quota, pari ad un terzo, di tali fondi e nei soli confronti dei cinque eredi del defunto R.M..
13. Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, in quanto connessi, devono essere esaminati congiuntamente e sono infondati. L'appello che i ricorrenti hanno, a suo tempo, proposto, per come incontestatamente ricostruito nella sentenza impugnata (p. 1 e 2 della motivazione), ha riguardato unicamente l'esclusiva appartenenza (e l'affermata idoneità della documentazione prodotta a provare che il bene venduto appartenesse esclusivamente) a M.G. (per averlo ricevuto dal nonno L.I. e posseduto per oltre trent'anni), e, per l'effetto, la nullità dell'atto con il quale R.M. ha venduto, senza esserne il proprietario, il predetto bene al figlio Gi.: non anche la diversa e mai dedotta questione della comproprietà dello predetto bene in capo a M.G. perchè acquistato, per usucapione, dal marito, R.M. e, come tale, attratto, a seconda che si sia perfezionato prima o dopo la riforma del diritto di famiglia, nel testo in vigore prima della riforma del diritto di famiglia, nella comunione universale dei beni prevista dall'art. 215 c.c., nel testo in vigore prima della riforma del diritto di famiglia, ovvero nella comunione legale tra i coniugi prevista dall'art. 177 c.c., comma 1, lett. a), nel testo introdotto con la riforma del diritto di famiglia. Ed è noto che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 16742/2005; Cass. n. 22154/2004; Cass. n. 2967/2001). Pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20518/2008; Cass. n. 6542/2004), qualora una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
D'altra parte, anche se così non fosse, rileva la Corte che la questione della nullità (e, quindi, della sua rilevabilità di ufficio anche in sede di legittimità) della vendita compiuta dal de cuius senza essere titolare della quota dell'immobile trasferito che la M. avrebbe acquistato in quanto suo coniuge in regime di comunione legale dei beni o di (tacita) comunione universale dei beni, è del tutto infondata.
Tanto nell'uno quanto nell'altro caso, infatti, gli atti di disposizione dei beni in comunione compiuti dal coniuge senza il consenso dell'altro non sono affatto nulli ma solo annullabili (art. 184 c.c., nel testo successivo alle modifiche apportate dalla L. n. 151 del 1975) mentre, in ipotesi di comunione universale dei beni, gli stessi atti sono del tutto validi ed efficaci, se posti in essere dal marito, salvo il solo caso degli atti a titolo gratuito (arg. ex art. 220 c.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 151 del 1975).
14. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale devono essere esaminati congiuntamente e, per quanto di ragione, sono fondati. La corte territoriale, infatti, ha, come detto, rigettato il (secondo) motivo d'appello con cui gli appellanti hanno lamentato il rigetto, ad opera del tribunale, della domanda riconvenzionale diretta a far valere la simulazione degli atti con i quali, in data 22/2/1994, il de cuius R.M. ha venduto ai figli Gi., P. e V. la nuda proprietà di alcuni terreni, trattandosi, in realtà, di donazioni in violazione della legittima, sul rilievo, per un verso, che non possono essere considerate, ai fini della prova presuntiva della simulazione, le circostanze che gli appellanti hanno allegato "solo con l'atto di appello" (e cioè: a) il rapporto di padre e figli esistente tra i contraenti; b) il pagamento, da parte del figlio Gi., al momento della stipula solo di una parte dell'importo pattuito; c) il compimento dell'alienazione solo in favore dei tre figli conviventi; d) la pattuizione di un prezzo di gran lunga inferiore rispetto a quello normalmente praticato per la vendita dei beni ubicati nella medesima zona), e, per altro verso, che l'unico elemento ritualmente dedotto a tal fine nella comparsa di risposta nel giudizio di primo grado (e cioè l'esclusione dalla vendita delle fabbriche esistenti sul terreno) oltre a riferirsi solo alla vendita a R.M., non ha i caratteri richiesti dall'art. 2727 c.c., sia perchè il ricorso alla prova presuntiva richiede che a suo fondamento il giudice ponga una pluralità di elementi caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, sia perchè, in ogni caso, la predetta circostanza non appare in alcun modo sintomatica di una attribuzione a titolo gratuito.
Così facendo, tuttavia, la corte non ha fatto buon governo dell'art. l'art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009 cit. ed applicabile al presente giudizio.
Ed infatti, premesso che la L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 2, ha stabilito che l'art. 345 c.p.c., nel testo modificato dalla stessa legge, trova applicazione ai giudizi pendenti in primo grado alla data della sua entrata in vigore, così chiarendo che, nei giudizi che, come quello di specie, sono stati definiti in primo grado in data anteriore (la sentenza del tribunale di Marsala è del 24/9/2004), trova applicazione l'art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo in vigore prima delle modifiche apportate dalla predetta legge, osserva la Corte che, nel rito ordinario, con riguardo alla deduzione di nuovi mezzi di prova in grado di appello, l'art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009 cit. (e, come detto, applicabile al presente giudizio), dev'essere interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova "nuovi" (la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza), indicando, nello stesso tempo, i limiti di tale regola, con l'indicazione, in via alternativa (e non concorrente), dei requisiti che tali mezzi di prova devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame, vale a dire che si tratti di prove che le parti dimostrino non aver potuto proporre prima per causa ad esse non imputabile ovvero che, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, siano capaci di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado (Cass. SU n. 8203/2005, in motiv.; nello stesso senso, cfr., ex aliis, Cass. n. 17341/2015; Cass. n. 15228/2014; Cass. n. 26030/2011; Cass. n. 21980/2009; e, più di recente, Cass. SU n. 10790/2017, in motiv.; Cass. n. 24164/2017), a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass. SU n. 10(OMISSIS)/2017, in motiv.), ferma solo restando la necessità che l'ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti indispensabili sia richiesta delle parti (Cass. SU n. 8203/2005 cit.).
La prova presuntiva, che gli appellanti, con l'allegazione dei relativi fatti secondari, hanno dedotto per la prima volta solo con l'atto di appello, è, quale prova (oltre che ammissibile: Cass. n. 8215/2013, per cui l'erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti - con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni - quando agisca a tutela del diritto, riconosciutogli dalla legge, all'intangibilità della quota di riserva e proponga in concreto, sulla premessa che l'atto simulato comporti una diminuzione della sua quota di legittima, una domanda di riduzione, nullità o inefficacia dell'atto medesimo; conf., Cass. n. 24134/2009; anche) indispensabile (cfr. Cass. n. 1277/2016) - almeno in astratto (e con salvezza, quindi, dell'accertamento in fatto del giudice di merito) - per la dimostrazione dell'invocata simulazione degli atti impugnati, era, quindi, senz'altro tempestiva.
Del resto, se così non fosse, nel senso che, come gli stessi ricorrenti assumono, i fatti secondari invocati a sostegno della prova presuntiva erano, in realtà, già acquisiti al giudizio di primo grado in quanto desumibili dall'atto di vendita del 1994 (si tratta dei fatti di cui alle lett. a), b) e c) prima citati) e dalla consulenza tecnica espletata nel corso di quel giudizio (si tratta del fatto di cui alla lett. d) prima indicato), la corte territoriale, allora, avrebbe, evidentemente, omesso di esaminarli, pur trattandosi di fatti decisivi e controversi, dando, così, luogo al vizio di motivazione di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, testo in vigore precedentemente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modificazioni con la L. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione "per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", pur quando si tratta di fatti secondari, (Cass. n. 17761/2016; Cass. n. 2805/2011; Cass. n. 12990/2009), sempre che, come nella specie, appaiano idonei a fornire la prova di fatti principali decisivi e, quindi, tali da orientare il giudice, attraverso l'indagine di merito, verso una decisione diversa da quella adottata (Cass. n. 9425/2000).
15. Il quinto motivo non è fondato. L'interpretazione operata dal giudice d'appello riguardo al contenuto e all'ampiezza della domanda giudiziale costituisce, infatti, un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 24134/2009 motiv.). Nella specie, la corte di merito, dopo aver premesso, in fatto, che gli appellanti, nella comparsa di risposta in primo grado, si sono limitati ad allegare "di avere costruito sul terreno sito in contrada (OMISSIS) le due case di abitazione che venivano espressamente escluse dalla vendita stipulata nel 1994 e che sarebbe spettato quindi il rimborso dei 4/5 delle spese sostenute pari al valore dei materiali più il prezzo della manodopera necessaria...", ha ritenuto, con motivazione logica e sufficiente, che gli appellanti hanno così richiesto, in via riconvenzionale, non l'aumento di valore del fondo ma solo il rimborso delle spese sostenute per le case edificate (art. 936 c.c., comma 2), come del resto emerge dal testo contenuto al riguardo nella comparsa di risposta così come trascritto dai ricorrenti: "riconoscere il diritto di credito dei convenuti verso i coeredi per le spese sostenute per la costruzione delle case e condannare gli attori al pagamento delle spese di rispettiva spettanza".
Nè, per il resto, può, in questa sede, attribuirsi rilievo, contenuto nell'articolazione del motivo in esame, con il quale i ricorrenti hanno lamentato di aver fornito la prova delle spese sostenute per la costruzione degli immobili da loro abitati, pur non quantificandole, e di avere richiesto, nella memoria prevista dall'art. 184 c.p.c., che il consulente tecnico d'ufficio determinasse l'ammontare delle somme investite per la realizzazione del fabbricato. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un'attività riservata in via esclusiva all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176/2017, in motiv.), così come l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253/2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell'art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile, infatti, ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (Cass. n. 11176/2017). Ed è noto che non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267/2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176/2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.
16. Il sesto motivo è, del pari, infondato. Il principio di non contestazione, già operante per effetto della previsione dell'art. 167 c.p.c., ha avuto espresso riconoscimento col nuovo testo dell'art. 115 c.p.c., introdotto dalla L. n. 69 del 2009. Al riguardo, debbono condividersi i più recenti approdi di legittimità, secondo cui "il principio di non contestazione, con conseguente "relevatio" dell'avversario dall'onere probatorio, postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all'onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l'altra parte e tenuta a prendere posizione" (Cass. n. 3023/2016); e ciò in quanto "il sistema di preclusioni del processo civile... e di avanzamento nell'accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti suppone che la parte che ha l'onere di allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato e analitico, così che l'altra parte abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle, ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse" (Cass. n. 21847/2014).
Ribadito, pertanto, che l'onere di specifica contestazione ad opera della parte costituita presuppone, a monte, un'allegazione altrettanto specifica ad opera della parte onerata della prova, ritiene, peraltro, la Corte che il ricorso per cassazione con cui si deduca l'erronea applicazione del principio di non contestazione non possa prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata (o, al contrario, escluso) non contestazione negata (o, al contrario, invocata) dal ricorrente.
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione postula, infatti, che il vizio possa essere apprezzato sulla base del contenuto dell'atto, senza necessità di rimandi al contenuto di atti processuali che non siano in esso trascritti (ancorchè non integralmente, ma pur sempre nella misura necessaria a integrare la specificità al motivo e a consentirne la valutazione senza necessità di procedere all'esame del fascicoli d'ufficio o di quelli di parte): e ciò vale, ovviamente, anche nel caso in cui il vizio dedotto concerna la sussistenza delle condizioni per ritenere che una circostanza sia stata, o meno contestata (Cass. n. 20637/2016).
Il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l'omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve, in definitiva, indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l'eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (Cass. n. 12840/2017).
Tale criterio non risulta soddisfatto dall'odierno ricorso, giacchè le contestazioni dei ricorrenti (incentrate sul difetto di specifica contestazione di taluni fatti ad opera della controparte) sono state svolte in difetto della preliminare trascrizione dei passaggi degli atti introduttivi a mezzo dei quali gli attori hanno compiuto le proprie allegazioni ed i convenuti hanno resistito alla domanda e proposto domande riconvenzionali, così delimitando il thema decidendum ed il thema probandum (con esclusione da quest'ultimo delle circostanze non contestate dal convenuto).
17. Il settimo motivo del ricorso principale è infondato, dovendosi dare continuità all'orientamento consolidato di questa Corte, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, secondo cui, in tema di divisione, il valore dei beni si determina con riferimento ai prezzi di mercato correnti al tempo della decisione (Cass. n. 4769/1991; Cass. n. 2296/1996), con conseguente necessità di aggiornamento di tale valore d'ufficio anche in appello per adeguarlo alle fluttuazioni di mercato dello specifico settore (Cass. n. 13568/1999; Cass. n. 9207/2005).
18. I motivi del ricorso incidentale, inerenti come sono alla corretta distribuzione di alcuni degli immobili costituenti il compendio da dividere ed alle spese di lite, restano, evidentemente, assorbiti.
19. La sentenza impugnata dev'essere, quindi, cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla corte d'appello di Palermo che, in diversa composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. 

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, rigetta gli altri, assorbiti i motivi del ricorso incidentale. Cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza non definitiva impugnata, con rinvio alla corte d'appello di Palermo che, in diversa composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 26 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2018
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza