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Sentenza

L’individuazione degli eredi del soggetto riconosciuto e adottato....
L’individuazione degli eredi del soggetto riconosciuto e adottato.
Trib. Messina Sez. I, Sent., 06/09/2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MESSINA - I sezione civile

Il giudice della I sezione civile del Tribunale di Messina, dott. Corrado BONANZINGA, in funzione di giudice monocratico, ha reso la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al N. 6217 del Registro Generale Contenzioso 2015

TRA

S.R., nata M. il (...), quale tutrice di I.M. ed altri., tutti elettivamente domiciliati in Messina, Via Risorgimento n. 165 presso lo studio dell'Avv. Giuseppe Saitta che, in unione con l'Avv. Antonino Gazzara, con l'Avv. Gaetano Pellegrino e con l'Avv. Giovanni Fiannacca, e con facoltà di agire separatamente, li rappresenta e difende, per procura atti; PARTE ATTRICE

E

L.N., nato a M. il (...) (cod. fisc. (...)), residente in M., Viale dei T. n.11, rappresentato e difeso dall'Avv. Giuseppe Corvaja, presso il cui studio è elettivamente domiciliato per procura in atti; G.N., nato a M. il (...) (c.f. (...)), residente in M., Via C. is, .243, n. 3/A, rappresentato e difeso dall'Avv. Gaetano Barresi, presso il cui studio è elettivamente domiciliato per procura in atti; G.M.G., nato a M. il (...) (c.f. (...)), residente in Messina, Via Consolare Pompea, 108, rappresentati e difesi dall'Avv. Andrea Borzi, presso il cui studio è elettivamente domiciliato per procura in atti; PARTE CONVENUTA

E

S.A., nata a M. il (...) (c.f. (...)), residente in M., Via S., Complesso S. F., pal. A, rappresentata e difesa dall'Avv. Marco Di Mauro e dall'avv. Antonio Lione, presso il cui ufficio è elettivamente domiciliata come da procura in atti; PARTE CONVENUTA

E

S.A., nato a M. il (...) (c.f. (...)), residente in M., Via C., Residence V. D., n.162, S.F., nata a M. il (...) (c.f.(...)), residente in M., S. M., Via N. n.83/D, e S.L., nata a M. il (...) (c.f. (...)), residente in M., B., Via II M., C.. La Collinetta, tutti rappresentati e difesi dall'Avv. Marco Di Mauro e dall'avv. Antonio Lione, presso il cui ufficio sono elettivamente domiciliati come da procura in atti; PARTE CONVENUTA avente per oggetto: Altri istituti relativi alle successioni.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato in data 12, 16, 23, 24 novembre 2015 ed in data 3 dicembre 2015, S.R. ed altri., esponendo che in data 25.04.2013 era deceduto a Messina G.N., nato in data (...), del quale tutti gli istanti erano eredi legittimi, come parenti di quarto grado, non avendo il de cuius lasciato né coniuge, né figli, né ascendenti, né fratelli o loro discendenti, né altri parenti di grado più prossimo. A tal proposito, evidenziavano che il de cuius era stato riconosciuto quale figlio naturale dalla madre S.C., nata il 21.03.1922, della quale essi erano nipoti, quali figli ex fratre o ex sorore. Lamentavano che i convenuti L.N., nato a M. il (...), G.N., nato a M. il (...), G.M.G., nato a M. il (...) avevano contestato che gli istanti fossero chiamati all'eredità, evidenziando che, con decreto emesso dalla Corte di Appello di Messina in data 13.210.1966, il de cuius era stato adottato da G.A., nato il (...) e ciò avrebbe, da un lato, reciso ogni rapporto di parentela con la madre naturale, mentre avrebbe costituito un rapporto di parentela di quarto grado con i suddetti convenuti, i quali erano tutti nipoti dell'adottante quali figli ex fratre o ex sorore. Gli attori rilevavano che le suddette argomentazioni non erano condivisibili, in quanto l'adozione ordinaria di minori non aveva costituito alcun rapporto di parentela tra l'adottato ed i parenti dell'adottante, sicché gli uni ci eredi legittimi erano i parenti del ramo materno; in subordine, dovevano essere considerati eredi legittimi anche i parenti di pari grado del ramo paterno, tenuto conto del fatto che, dopo il decreto di adozione, G.A. aveva proceduto a riconoscere il de cuius quale suo figlio naturale, sicché avrebbe potuto ipotizzarsi una sopravvenuta perdita di efficacia del decreto di adozione e costituzione di un rapporto di parentela tra il de cuius ed i parenti del padre naturale. Osservavano, quindi, che nella successione legittima il parente più prossimo nel grado escludeva tutti gli altri parenti dalla successione, sicché non potevano essere ritenuto chiamati all'eredità del de cuius i convenuti S.A., nato a M. il (...), S.F., nata a M. il (...), e S.L., nata a M. il (...), in quanto parenti in linea collaterale di quinto grado. Evidenziavano, infine, che l'atteggiamento dilatorio ed ostruzionistico tenuto dai convenuti L.N., G.N. e G.M.G. aveva determinato agli istanti notevoli danni, non avendo potuto effettuare tempestivamente la dichiarazione di successione, né svolgere le necessarie iniziative giudiziarie nei confronti di alcuni locatari di beni immobili caduti in successione.

Chiedevano, pertanto, che fosse accertato che al de cuius erano succeduti in quote eguali tutti i parenti collaterali di quarto grado del ramo materno; in subordine, chiedevano che fosse accertato che al de cuius erano succeduti in quote eguali tutti i parenti collaterali di quarto grado sia del ramo materno che del ramo paterno; chiedevano che fosse accertato e dichiarato che nessun diritto alla successione avevano i parenti collaterali di quito grado S.A., nato a M. il (...), S.F., nata a M. il (...), e S.L., nata a M. il (...); chiedevano, infine, che i convenuti L.N., G.N. e G.M.G. fossero condannati al risarcimento dei danni.

Si costituivano L.N., G.N. e G.M.G., i quali eccepivano pregiudizialmente la carenza di legittimazione processuale di S.R., non essendo stata la stessa autorizzata dal Giudice Tutelare ad agire in giudizio quale legale rappresentante dell'interdetta I.M.; nel merito, contestavano la fondatezza delle domande avversarie, sia perché gli attori non avevano dimostrato la sussistenza dell'allegato rapporto di parentela, sia perché doveva escludersi, in ogni caso, la sussistenza di un rapporto di parentela tra il de cuius ed i parenti del ramo materno. Rilevavano, in particolare, che essi erano gli uni ci eredi legittimi del de cuius, in quanto l'adozione di quest'ultimo da parte di G.A. aveva determinato la costituzione dello status di figlio adottivo con conseguente perdita dello status di figlio naturale riconosciuto della madre. A sostegno di tale tesi sottolineavano che il de cuius era stato adottato da G.A. quando era ancora minorenne, sicché, ai fini degli effetti dell'adozione, non avrebbero potuto trovare applicazione le regole richiamate dagli attori, previste per l'adozione delle persone maggiori di età, bensì quelle stabilite per l'adozione dei minori, in base alle quali l'adozione recide ogni precedente rapporto di parentela. Evidenziavano, inoltre, che l'art. 74 c.c. , nella nuova formulazione introdotta dalla L. n. 219 del 2012 , in vigore al momento della morte del de cuius, stabiliva che sussisteva rapporto di parentela tra persone discendenti da uno stesso stipite, anche nel caso in cui il vincolo di filiazione fosse derivato da adozione, con la sola esclusione della adozione di persone maggiori di età, sicché non risultava condivisibile la tesi di controparte secondo cui non potevano ritenersi chiamati all'eredità i parenti di quarto grado del ramo paterno. Osservavano, infine, che gli effetti dell'adozione, con recisione di ogni rapporto di parentela con i parenti del ramo materno, non erano venuti meno a seguito del riconoscimento del de cuius quale figlio naturale, effettuato da G.A. dopo il decreto di adozione, in data 13.09.1976, poiché non era stato mai instaurato alcun giudizio diretto alla declaratoria di invalidità della precedente adozione, né un simile giudizio poteva essere più instaurato, essendo stato abrogato l'art. 310 c.c. , che prevedeva la perdita di efficacia dell'adozione nel caso di successivo riconoscimento dell'adottato quale figlio naturale da parte dell'adottante. Chiedevano, pertanto, il rigetto delle domande avversarie e, in via riconvenzionale, l'accertamento che a G.N. erano succeduti esclusivamente i parenti della linea paterna. In subordine, chiedevano che fosse accertato e dichiarato che l'eredità andava devoluta per metà ai parenti della linea paterna e per metà ai parenti della linea materna. In via ulteriormente subordinata, chiedevano che fosse accertato che l'eredità del de cuius si era devoluta in quote uguali a tutti i parenti collaterali in quarto grado della linea paterna e della linea materna, con esclusione dei parenti di grado ulteriore.

Si costituiva S.A., la quale aderiva a tutte le domande avanzate dagli attori.

Si costituivano, altresì, S.A., S.F. e S.L., che aderivano alle domande degli attori ed ammettevano di non potere essere considerati quali chiamati all'eredità del de cuius, in quanto quest'ultima era stata accettata da altri chiamati di grado anteriore.

Con comparsa depositata il 26.04.2016, S.R., nata M. il (...), quale tutrice di I.M., nata a M. il (...), dichiarava che, con Provv. del 19 aprile 2016, ella era stata autorizzata dal Giudice Tutelare ad agire in giudizio, sicché risultava superata l'eccezione pregiudiziale sollevata dai convenuti di carenza di legittimazione ad processum.

All'udienza del 4 maggio 2016 i procuratori delle parti precisavano le conclusioni ed il Giudice assegnava la causa in decisione, ai sensi dell'art. 281 quater c.p.c., concedendo i termini di rito per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.

Va, anzitutto affermato che S.R. è legittimata ad agire quale tutrice e rappresentante legale di I.M., avendo ottenuto nelle more del giudizio l'autorizzazione del Giudice tutelare. Invero, la S. non ha prodotto in giudizio il provvedimento autorizzatorio, ma le altre parti non hanno contestato che detto provvedimento sia stato rilasciato e non hanno più insistito nella eccezione di carenza di legittimazione ad processum. D'altronde, l'art. 182 c.p.c. , così come modificate dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 , pone la regola generale in base alla quale "quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa". Di conseguenza è ben possibile che il vizio derivante dalla mancanza dell'autorizzazione del Giudice Tutelare venga sanato con efficacia ex tunc mediante il rilascio della autorizzazione nel termine assegnato dal Giudice o, come nel caso in esame, prima ancora che il Giudice assegni il termine previsto dal citato art. 182 c.p.c.. Peraltro, va osservato che ancor prima della modifica dell'art. 182 c.p.c. da parte del legislatore del 2009, la giurisprudenza di legittimità aveva sottolineato che il potere di rappresentanza del tutore discende direttamente dalla legge e non dall'autorizzazione del giudice tutelare, la quale, nei casi in cui è prescritta, attiene soltanto all'esercizio dell'attività dell'organo che di quel potere è investito, con la conseguenza che l'autorizzazione a stare in giudizio ed a proporre impugnazione non pone in essere un requisito di validità, ma solo una condizione di efficacia della costituzione in giudizio o dell'impugnazione del rappresentante, la cui capacità processuale viene, con essa, non sostituita, ma soltanto integrata. Ne deriva che, anche nel previgente regime, si è sempre ritenuto che la mancata autorizzazione non comportasse una nullità assoluta, ma una mera irregolarità processuale che poteva essere sanata anche nel corso del giudizio, con efficacia ex tunc (Cass. 2598/1971).

Nel merito, la soluzione della lite discende dalla verifica degli effetti prodottisi, ai fini successori, a seguito del riconoscimento del de cuius quale figlio naturale da parte della madre, della successiva adozione effettuata dal padre ai sensi dell'art. 291 c.c. e, infine, del riconoscimento del de cuius quale figlio naturale da parte del padre adottivo. Sia gli attori che i convenuti hanno a tal fine invocato l'art. 572 c.c. , essendo pacifico che il de cuius non ha lasciato alla morte né coniuge, né figli, né fratelli o sorelle o altri discendenti di questi ultimi. In tale ipotesi la disposizione citata prevede che al de cuius, succedono i parenti sino al sesto grado, che la successione è regolata esclusivamente dalla prerogativa del grado e che non rileva la distinzione tra linea paterna e materna. La prima questione che occorre esaminare è, allora, quale sia la natura del vincolo nascente dal riconoscimento de cuius effettuato prima dalla madre e poi dal padre e quali siano stati gli effetti dell'adozione effettuata da G.A., anche in relazione al successivo riconoscimento effettuato dallo stesso G.A., dovendosi, in particolare, appurare se siano stati costituiti dei rapporti di "parentela", tenuto conto del fatto che chiamati alla successione sono soltanto i "parenti" e non altri soggetti eventualmente legati da vincoli di sangue con il de cuius.

In passato il sistema normativo recepiva un concetto di "parentela" basato sulla consanguineità, ma non sempre coincidente con il rapporto di procreazione. Infatti, l'art. 74 c.c. definiva il rapporto di parentela affermando che esso "è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite". Tale definizione di per sé non escludeva dal rapporto di parentela i figli naturali, ma finiva con essere interpretata in modo restrittivo in base al combinato disposto con l'art. 258 c.c. , che recitava "il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvo i casi previsti dalla legge" (art. 87, 433, 468, 737, norme che peraltro attribuivano rilievo alla parentela naturale diretta e non a quella collaterale, tanto che la Cassazione aveva addirittura escluso il rapporto di parentela tra fratelli naturali Cass. civ. n. 5747/1979). Invero, la Corte Costituzionale, attraverso una serie di sentenze pronunciate in ordine al problema della successione tra fratelli e sorelle naturali (Corte Cost. 12.5.1977, n. 76; Corte Cost. 4.7.1979, n. 55, Corte Cost. 12.4.1990, n. 184; Corte Cost. 23.11.2000, n. 532), ha in qualche modo attribuito rilevanza alla parentela naturale in linea retta e, entro certi limiti, anche alla parentela in linea collaterale, tra fratelli e sorelle naturali, ma non ha mai consentito l'inserimento dei fratelli e delle sorelle naturali negli ordini successori dei parenti, né ha mai attribuito rilevanza al rapporto con gli altri parenti naturali collaterali dal terzo al sesto grado. Oggi entrambe le norme sopra indicate risultano modificate poiché nell'art. 74 c.c. è stata aggiunta la specificazione "sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti", mentre nell'art. 258 c.c. viene ormai affermato espressamente che "il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso". Si può, pertanto, concludere che tutti i problemi concernenti la rilevanza a fini successori della parentela "naturale" sono ormai superati, essendo stato equiparato a tutti i fini il rapporto di filiazione scaturito all'interno del matrimonio con quello scaturito fuori dal matrimonio.

Con riferimento all'adozione, bisogna, poi, considerare che la disciplina dell'adozione ordinaria, disciplinata dal codice civile agli artt. 291 e segg., ha subito innovazioni sostanziali in conseguenza, prima dell'approvazione della L. 05 giugno 1967, n. 431 , che ha istituito l'adozione speciale, e poi della L. 04 maggio 1983, n. 184 , ancora oggi in vigore, seppur variamente modificata, che ha introdotto l'istituto dell'adozione legittimante ed ha abrogato l'istituto dell'adozione ordinaria dei minorenni, relegando l'adozione ordinaria prevista dal codice civile alle sole persone maggiorenni.

Orbene, l'adozione ordinaria, coerentemente con le finalità tradizionali dell'istituto, quella di assicurare una discendenza all'adottante, soprattutto con riferimento ai profili patrimoniali, non costituisce alcun rapporto di parentela. Infatti, l'art. 300 c.c. stabilisce che "l'adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge. L'adozione non induce alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato, né tra l'adottato e i parenti dell'adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge". Particolarmente significativa è, poi, la disciplina contenuta nell'art. 304 c.c. con riferimento ai "diritti di successione". Quest'ultima disposizione, rinviando alle norme contenute nel libro II, in cui il figlio adottivo viene equiparato, rispetto all'adottante, ai figli legittimi ( art. 567 c.c. ), consente di affermare che, oltre all'assunzione del cognome dell'adottante, l'altro effetto che principalmente caratterizza l'adozione ordinaria è l'acquisto, da parte dell'adottato, del diritto alla successione nel patrimonio dell'adottante. E' ben vero che la Corte Costituzionale ha riconosciuto l'esistenza, ai fini della rappresentazione ereditaria, di un rapporto civilistico, tra adottante e discendenti dell'adottato, di rilievo equivalente a quello di parentela (Corte Cost. 28.1.1986, n. 13). Va, però, sottolineato che la medesima norma, probabilmente al fine di evitare che l'adottante sia indotto all'adozione sperando di appropriarsi del patrimonio dell'adottando, prevede che l'adottante non abbia alcun diritto di successione nei confronti dell'adottato e tale disciplina costituisce espressione del fatto che l'adozione ordinaria non determina un vero e proprio rapporto di parentela e, a maggior ragione, non costituisce rapporti successori o di qualunque altro tipo con i parenti dell'adottante.

La L. 05 giugno 1967, n. 431 , introducendo l'adozione speciale, si è posta, invece, nella diversa prospettiva di tutelare l'interesse dei minori in stato di abbandono ad essere inseriti in un nucleo familiare. L'adozione speciale e, analogamente, l'adozione di minori disciplinata dalla L. 04 maggio 1983, n. 184 , con la quale il legislatore ha portato a compimento il progetto di riforma iniziato con l'adozione speciale, sono, pertanto, istituti giuridici profondamente diversi dalla adozione ordinaria, poiché non si pongono nella prospettiva della tutela dell0interesse dell'adottante, bensì nella prospettiva della tutela dell'interesse dell'adottando. Proprio in ragione di tali diverse finalità, l'adozione de minori prevista dalla L. 04 maggio 1983, n. 184 , chiamata anche "adozione legittimante", conferisce all'adottato lo status di figlio legittimo degli adottanti (art. 27, 1 comma, L. n. 184 del 1983 ): ne consegue che l'adottato acquista tutti i diritti, i doveri, le responsabilità, le capacità, le incompatibilità previste per la filiazione legittima. In altre parole, gli adottati con adozione legittimante non sono semplicemente equiparati ai figli legittimi, ma sono figli legittimi e da ciò discende che l'adozione legittimante produce i suoi effetti non solo nei confronti del genitore adottivo, ma altresì nei confronti di tutti i suoi parenti, in linea retta e in linea collaterale.

Evidenti sono, allora, le profonde differenze sul piano degli effetti tra l'adozione ordinaria, anche se di persone minorenni, e l'adozione di minori legittimante prevista dalla L. n. 184 del 1983 , cosi da potere concludere che in realtà si tratta di istituti giuridici diversi, accomunati solamente dal nome. Si è, invero, ipotizzato che, alla luce della Convenzione di Strasburgo sull'adozione dei minori del 24 aprile 1967, ratificata e resa esecutiva con L. 22 maggio 1974, n. 357 , gli effetti legittimanti previsti dalla L. n. 184 del 1983 possano estendersi ad ogni adozione di minore, anche se disposta in base alla disciplina previgente della adozione ordinaria. Tale tesi è stata, però, contestata con argomenti convincenti e condivisibili. Infatti, secondo i principi generali dell'ordinamento, la legge non ha efficacia retroattiva, salvo che lo indichi esplicitamente. Inoltre, l'art. 10 della Convenzione (che è da considerarsi, per le sue caratteristiche ed il suo contenuto, norma di immediata applicazione nell'ordinamento dello Stato) si limita a precisare che ogni adozione di minore deve conferire all'adottante nei confronti dell'adottato "i diritti e doveri che competono ad un padre o ad una madre nei confronti del figlio legittimo", e all'adottato nei confronti dell'adottante, i diritti e i doveri che competono al figlio legittimo nei confronti del padre e della madre. È da ritenere tuttavia che si tratti di diritti e doveri di contenuto personale, tanto è vero che lo stesso articolo aggiunge che in materia successoria il figlio (ma non il genitore) sarà trattato "esattamente come se fosse il figlio legittimo dell'adottante", ma soltanto nei limiti in cui la legge "attribuisce al figlio legittimo il diritto di successione del padre o della madre". Non si prevedono dunque effetti successori dell'adottante nei confronti dell'adottato o di quest'ultimo con i parenti dell'adottante. In questi limiti, dunque, la previsione della Convenzione di Strasburgo non attribuisce tutti gli effetti legittimanti all'adottato e appare pienamente conforme agli effetti, più limitati, previsti dall'adozione in casi particolari e, anteriormente alla L. n. 184 del 1983 , dall'adozione ordinaria di minore.

Peraltro, l'impossibilità di estendere automaticamente gli effetti dell'adozione legittimante alle adozioni di minori pronunciate sulla base della precedente normativa in tema di adozione ordinaria si desume espressamente dall' art. 79 L. n. 194 del 1983, che ha previsto in via transitoria, entro tre anni dall'entrata in vigore della legge (e dunque oggi il termine è ampiamente scaduto), la possibilità di estensione degli effetti dell'adozione legittimante all'affiliazione e all'adozione ordinaria, su richiesta di parte e nel rispetto di talune condizioni. Come sottolineato dalla Corte Costituzionale (sent. 198/1986), "tale disposizione transitoria si iscrive nel quadro della già richiamata tendenza all'unificazione della disciplina dei rapporti adottivi ed è espressione di una scelta - corrispondente a quella fatta col circoscrivere la c.d. adozione ordinaria a casi particolari tassativamente indicati - mirante ad eliminare il più possibile per il futuro (salvo i suddetti casi particolari) le situazioni in cui il diritto ad essere riconosciuto figlio legittimo pleno iure nell'ambito di un'unica famiglia non trova concreta attuazione", ma la stessa Corte Costituzionale ha evidenziato che tale finalità è stata realizzata dal legislatore non attraverso un'automatica estensione degli effetti di un istituto all'altro, bensì mediante una procedura che, da un lato, rimette tale estensione degli effetti alle valutazioni del tribunale, così da garantire che essa venga disposta solo quando risponde in concreto all'interesse dell'adottato e, dall'altro lato, contempla la necessità dell'assenso dei genitori, il rifiuto dei quali è preclusivo se adeguatamente motivato, a garanzia dei diritti della famiglia di sangue, i cui vincoli non erano stati recisi dall'adozione ordinaria.

Si è posto il problema se la L. n. 184 del 1983 , avendo soppresso gli istituti dell'affiliazione e dell'adozione ordinaria di minori, in quanto non pienamente rispondenti appieno dell'interesse del minore, abbia determinato una illegittima disparità di trattamento tra minori adottati in base alla nuova disciplina dell'adozione legittimante e minori adottatati in base alla disciplina previgente dell'adozione ordinaria. Deve, tuttavia, escludersi che il sistema normativo, ridisegnato dal legislatore con la L. n. 184 del 1983 , non sia conforme a Costituzione, tenuto conto del fatto che presupposto fondamentale per dar luogo all'adozione legittimante prevista dalla L. n. 184 del 1983 lo stato di abbandono del minore, cui si riconnette la finalità esclusiva di offrire una nuova famiglia al minore in stato di abbandono, mentre l'adozione di minori ordinaria prescinde del tutto dallo stato di abbandono del minore. D'altronde, nelle ipotesi in cui fosse stata disposta l'adozione ordinaria di minori in presenza di una situazione di abbandono, le parti interessati avrebbero potuto chiedere ed ottenere, in base al citato art. 79 L. n. 184 del 1983, una estensione degli effetti dell'adozione legittimante, cosi eliminando ogni possibile disparità di trattamento. Infine, va ricordato che secondo il costante insegnamento della Corte Costituzionale, allorché venga in rilievo la variazione nel tempo delle forme della tutela processuale, la successione delle leggi, purché rispondente a criteri di ragionevolezza, non può mai porsi come fonte di illegittime discriminazioni, costituendo di per sé il fluire del tempo un fattore di disomogeneità delle situazioni poste a confronto.

Alla luce di quanto sin qui esposto occorre, allora procedere all'interpretazione del novellato art. 74 c.c. , che, come si è accennato sopra, afferma che "la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti". I convenuti L.N., G.N. e G.M.G. hanno sostenuto che tale disposizione andrebbe interpretata nel senso che ormai il vincolo di parentela sorge in tutti i casi di adozione di persone minori di età, anche se il provvedimento di adozione fosse stato pronunciato sulla base della disciplina ormai abrogata dell'adozione ordinaria. Tale tesi non appare condivisibile e va disattesa. E' ben vero che il legislatore del 2012 ha escluso la costituzione di un rapporto di parentela solo con riferimento all'adozione ordinaria di persone maggiorenni, ma è evidente che la norma novellata dalla L. n. 219 del 2012 fa riferimento agli istituti attualmente vigenti della adozione legittimante di minori prevista dalla L. n. 184 del 1983 e dell'adozione ordinaria di persone maggiorenni prevista dall'art. 291 c.c. , mentre non può attribuirsi ad essa alcuna efficacia normativa con riferimento ad un istituto profondamente diverso da quelli contemplati, quale l'adozione ordinaria di minori, abrogato quasi trent'ani prima. Deve respingersi, in particolare, la tesi che il legislatore del 2012 abbia inteso implicitamente estendere all'istituto ormai soppresso dell'adozione ordinaria di minori, gli effetti dell'adozione legittimante. Una simile estensione sarebbe, infatti, ingiustificata, tenuto conto delle diversità esistenti nelle situazioni disciplinate dai due istituti, accomunate esclusivamente dalla minore età dell'adottando, e della specifica disciplina transitoria che già era stata emessa sul punto, la cui modifica non può discendere implicitamente dalla sintetica e generica previsione contenuta nel menzionato art.74 c.c. novellato.

Nel caso in esame risulta che il de cuius, già riconosciuto quale figlio naturale dalla madre, venne adottato in base alla disciplina dell'adozione ordinaria di minori, da G.A.. Poiché l'adozione ordinaria di minori conservava tutti i diritti e i do veri dell'adottato verso la sua famiglia di origine e non induceva alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato, non potendosi estendere ad essa la disciplina dell'adozione legittimante di minori, si deve concludere che essa non ha affatto reciso i rapporti di parentela con i parenti del ramo materno, la cui rilevanza giuridica è stata affermata dal legislatore a seguito della modifica dell'art.74 c.c. introdotta con la L. n. 219 del 2012 , in vigore al momento di apertura della successione. La domanda dei convenuti L.N., G.N. e G.M.G., diretta ad una pronuncia che dichiari che gli attori, quali parenti in quarto grado del ramo materno, non sono chiamati all'eredità del de cuius va, pertanto, rigettata.

Va, nondimeno, anche rigettata la domanda degli attori diretta ad una pronuncia che dichiari che i convenuti L.N., G.N. e G.M.G., quali parenti in quarto grado del ramo paterno, non sono chiamati all'eredità del de cuius.

La suddetta domanda si fonda sul rilievo che l'adozione ordinaria da parte di G.A. non aveva costituito alcun rapporto di parentela tra l'adottato ed i parenti del primo, mentre non erano chiari gli effetti derivanti dal successivo atto con il quale G.A. aveva riconosciuto il de cuius quale proprio figlio naturale. Invero, gli stessi convenuti L.N., G.N. e G.M.G. hanno sostenuto che il successivo riconoscimento non avrebbe determinato la perdita di efficacia del provvedimento di adozione, in quanto nessuno degli interessati aveva mai iniziato il necessario procedimento per la declaratoria della invalidità sopravvenuta dell'adozione. Quest'ultima tesi, che, portata alla sue estreme conseguenze, finirebbe con l'avvalorare le conclusioni degli attori, non è, però, convincente, in quanto estende ingiustificatamente una soluzione interpretativa, adottata con riferimento alla fattispecie della invalidità dell'adozione dei figli riconosciuti, alla diversa fattispecie del riconoscimento del figlio adottivo.

L'art. 293 c.c,, nel testo vigente a seguito della riforma introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151 , sulla riforma del diritto di famiglia, e prima delle modifiche apportate dalla L. 4 maggio 1983, n. 184 , stabiliva che "i figli non possono essere adottati dai loro genitori. Non può tuttavia essere dichiarata la nullità della adozione se, al momento in cui questa avvenne, la qualità di figlio naturale dell'adottato non risultava da riconoscimento o da dichiarazione giudiziale". Tale disposizione si spiegava con l'esigenza di istituire una corrispondenza fra verità di fatto dei rapporti familiari e conseguenti status giuridici, ma al fine di tutelare il figlio naturale quando le circostanze concrete avessero reso preferibile l'adozione al riconoscimento, era previsto che solo l'esistenza di uno status dichiarato o giudizialmente accertato di figlio naturale consentisse la dichiarazione di nullità dell'adozione eventualmente concessa nonostante tale motivo ostativo, mentre l'esistenza del mero rapporto di procreazione, anche se noto al momento della pronuncia di adozione, rimaneva del tutto irrilevante. La circostanza, poi, che fosse prevista una declaratoria di nullità dell'adozione stava a significare che l'adozione, per perdere efficacia, doveva essere dichiarata invalida con un provvedimento giurisdizionale emesso all'esito di un giudizio in sede contenziosa, soluzione coerente con il carattere di decisorietà e di definitività dei provvedimenti emessi in materia di adozione, in quanto incidenti sullo status e le capacità personali.

L'art. 310 c.c. , sempre nel testo vigente prima della L. 4 maggio 1983, n. 184 stabiliva, invece, che "gli effetti dell'adozione cessano: ... per riconoscimento del figlio adottivo da parte dell'adottante". Tale disposizione venne introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151 , che ha consentito il riconoscimento dei figli adottivi da parte dell'adottante, mentre in precedenza il riconoscimento non aveva effetto se non ai fini della legittimazione, ed anch'essa si ispirava all'esigenza di istituire una corrispondenza fra verità di fatto dei rapporti familiari e conseguenti status giuridici, ma la soluzione adottata dal legislatore non è stata quella della invalidità dell'adozione, bensì della sua inefficacia sopravvenuta, che opera automaticamente, senza necessità di un provvedimento giurisdizionale che accerti l'esistenza dei presupposti indicati dalla legge. D'altronde, mentre nel primo caso la pronuncia di adozione non avrebbe potuto essere emessa ed occorreva porre rimedio ad un errore, nel secondo caso la pronuncia di adozione era stata legittimamente emessa ed occorreva solamente individuare uno strumento diretto a regolare i rapporti tra adozione e successivo riconoscimento.

La soluzione interpretativa secondo la quale anche nel caso di successivo riconoscimento di figlio naturale da parte dell'adottante fosse necessario un provvedimento giurisdizionale per privare di efficacia la pronuncia di adozione risulta, allora, ingiustificata e, soprattutto, priva di qualsiasi riscontro normativo, avendo il legislatore previsto, in tale ipotesi, che la perdita di efficacia dell'adozione sia una conseguenza automatica del riconoscimento.

Nel caso in esame si deve allora, concludere che, avendo G.A., con atto successivo alla riforma introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151 , ma anteriore alla riforma introdotta con L. 4 maggio 1983, n. 184 , riconosciuto il de cuius quale proprio figlio naturale, tale riconoscimento abbia determinato, in base alla normativa all'epoca vigente, l'automatica cessazione di efficacia della precedente adozione ordinaria e l'attribuzione al de cuius del solo status di figlio naturale di G.A. e di S.C.. Conseguentemente, a seguito della riforma dell'art. 74 c.c. introdotta con la L. n. 219 del 2012 , si deve ritenere che, al momento dell'apertura della successione, sussisteva un rapporto di parentela tra il de cuius ed i parenti del ramo paterno, oltre che tra il de cuius ed i parenti del ramo materno.

Si può, quindi, affermare che, in mancanza di parenti di grado anteriore, chiamati alla successione siano tutti i parenti in quarto grado del de cuius, sia quelli del ramo paterno che quelli del ramo materno, con esclusione dei parenti di grado ulteriore, e che l'eredità si è devoluta in favore di tutti i chiamati in parti eguali, mentre deve escludersi che l'eredità si sia devoluta per metà ai parenti della linea paterna e per metà ai parenti della linea materna, come opinato da convenuti L.N., G.N. e G.M.G., atteso che, come si è detto, il legislatore ha espressamente stabilito l'irrilevanza della distinzione di linea ( art. 572 comma 1 c.c.). Conseguentemente, tutti gli attori, nonché i convenuti S.A., L.N., G.N. e G.M.G., quali parenti in quarto grado del de cuius, avendo accettato l'eredità di quest'ultimo, devono ritenersi suoi eredi in parti eguali.

Va, infine, rigettata la domanda risarcitoria avanzata dagli attori. Non si comprende, infatti, per quale motivo il comportamento dei convenuti abbia impedito agli attori di effettuare tempestivamente la dichiarazione di successione, posto che quest'ultima ben avrebbe potuto essere effettuata a prescindere dalle pretese che i convenuti avanzavano sulla eredità. Inoltre non si comprende per quale motivo gli attori siano stati inibiti a svolgere le necessarie iniziative giudiziarie nei confronti di alcuni locatari di beni immobili caduti in successione, posto che anche tali iniziative ben avrebbero potuto essere prese senza pregiudizio per la soluzione delle questioni controverse tra le parti dell'odierno giudizio. In ogni caso, gli attori non hanno in alcun modo dimostrato l'asserto pregiudizio che avrebbero subito a causa del comportamento dei convenuti, sicché deve escludersi la possibilità di pronunciare condanna al risarcimento di un danno non dimostrato nella sua esistenza e nel suo ammontare.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno poste, pertanto a carico dei convenuti L.N., G.N. e G.M.G., le cui tesi difensive sono state integralmente rigettate. Non vale, d'altronde, sottolineare che è stata disattesa anche la tesi degli attori secondo cui al de cuius sarebbero succeduti solo i pareti del ramo materno, trattandosi di soluzione prospettata dagli attori non sulla base di una propria argomentazione, ma quale conseguenza dell'accoglimento della prospettazione degli stessi convenuti secondo cui il successivo riconoscimento del de cuius effettuato da G.A. non avrebbe privato di efficacia la precedente adozione. Vanno, viceversa, compensate le spese processuali nei rapporti tra gli attori e gli altri convenuti, che hanno immediatamente aderito a tutte le domande degli attori. Le spese a carico dei convenuti L.N., G.N. e G.M.G., tenuto conto della entità e natura della causa, della complessità delle questioni trattate e applicati i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 , possono liquidarsi in complessivi Euro 15.644,12, di cui Euro 644,12 per spese non imponibili, Euro 4.000,00 fase studio, Euro 3.000,00 per fase introduttiva, Euro 8.000,00 per fase decisoria, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi, I.V.A. e c.p.a.. Il pagamento di tali spese va disposto in favore degli avv.ti Giuseppe Saitta, Antonino Gazzara, Gaetano Pellegrino e Giovanni Fiannacca, procuratori antistatari.
P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa promossa con atto di citazione notificato in data 12, 16, 23, 24 novembre 2015 ed in data 3 dicembre 2015, da S.R., nata M. il (...), quale tutrice di I.M. ed altri. sentiti i procuratori delle parti, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, dichiara che tutti gli attori, nonché i convenuti S.A., L.N., G.N. e G.M.G., sono eredi in parti eguali di G.N., nato in data (...) e deceduto in data 25.04.2013; dichiara che i convenuti S.A., nato a M. il (...), S.F., nata a M. il (...), e S.L., nata a M. il (...), non hanno alcun diritto alla successione del de cuius; rigetta la domanda risarcitoria avanzata dagli attori; dichiara compensate le spese processuali nei rapporti tra gli attori ed i convenuti S.A., S.A., S.F. e S.L.; condanna L.N., G.N. e G.M.G. al pagamento in favore degli attori delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 15.644,12, di cui Euro 644,12 per spese non imponibili, Euro 4.000,00 fase studio, Euro 3.000,00 per fase introduttiva, Euro 8.000,00 per fase decisoria, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi, I.V.A. e c.p.a.; distrae il pagamento di tali spese in favore degli avv.ti Giuseppe Saitta, Antonino Gazzara, Gaetano Pellegrino e Giovanni Fiannacca, procuratori antistatari.

Così deciso in Messina, il 28 settembre 2016.

Depositata in Cancelleria il 6 settembre 2016.
Avv. Antonino Sugamele

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