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Sentenza

Contratto di assicurazione: se i beneficiari sono gli eredi la ripartizione è pe...
Contratto di assicurazione: se i beneficiari sono gli eredi la ripartizione è per stirpi in caso di subentro per rappresentazione.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 28 aprile – 30 settembre 2015, n. 19210
Presidente Vivaldi – Relatore Frasca

Svolgimento del processo

p.1. Con sentenza del 5 aprile 2012 la Corte d'Appello di Venezia ha rigettato l'appello proposto da L.G. contro la sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa del 28 novembre 2011, che aveva rigettato la domanda da lei proposta contro la Credit Ras Vita per ottenere il riconoscimento della maggior somma a suo dire dovuta rispetto a quella che le era stata liquidata dalla convenuta, nella misura di un terzo, quale quota dell'indennizzo previsto da una polizza di assicurazione sulla vita stipulata dal marito A.R. , a seguito del decesso del medesimo.
La ricorrente, a fondamento della domanda aveva dedotto che la compagnia assicuratrice, sulla base di una clausola contrattale che prevedeva come beneficiari gli eredi testamentari o legittimi dello stipulante de cuius, aveva proceduto alla liquidazione dell'indennizzo erroneamente, cioè dividendolo in parti eguali fra i tre eredi legittimi del medesimo, id est fra la ricorrente ed i suoi due nipoti, figli della sorella del de cuius, a lui premorta, anziché liquidare ad essa deducente la metà della somma, soluzione che si sarebbe giustificata perché, in base alla polizza, gli eredi legittimi si sarebbero dovuti identificare in essa ricorrente e nella sorella del de cuius, sebbene al medesimo premorta.
p.2. Il Tribunale adito aveva rigettato la domanda, escludendo che l'attribuzione a favore degli eredi legittimi prevista della clausola della polizza dovesse intendersi "per stirpi", si che potesse aver rilievo la circostanza che i nipoti del de cuius erano subentrati alla madre per diritto di rappresentazione e, quindi, ritenendo che la ripartizione fosse stata correttamente effettuata dall'assicuratrice per quote eguali.
p.3. La Corte territoriale ha confermato dette motivazioni.
p.4. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la L. affidandolo a quattro motivi.
La società assicuratrice ha resistito con controricorso.
p.5. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione dell'art. 360 n. 4 c.p.c. i relazione all'art. 112 c.c. per omesso esame di specifica domanda dell'appellante, costituente il punto essenziale della causa".
Vi si sostiene che la Corte territoriale non avrebbe esaminato una domanda della ricorrente, che si indica come relativa all'individuazione del significato del riferimento della polizza agli eredi legittimi.
Significato che avrebbe costituito il prius rispetto al posterius delle modalità di ripartizione.
p.1.1. Il motivo, in disparte che nemmeno individua la c.d. domanda in tal senso, con manifesta violazione dell'art. 366 n. 6 c.p.c., è del tutto assertorio riducendosi a otto righe nelle quali non si spiega sulla base di quali elementi si dovrebbe evincere la pretesa omissione di pronuncia.
Ne segue la sua inammissibilità.
p.2. Con un secondo motivo si prospetta "violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. per mancanza di motivazione su punto essenziale della controversia".
Vi si censura la sentenza impugnata perché, pur concedendo che abbia esaminato quello che si è definito prius nel motivo precedente, non avrebbe spiegato perché i nipoti del de cuius, eredi legittimi della sua sorella, sarebbero stati eredi legittimi dello stesso de cuius. La Corte territoriale si sarebbe limitata ad enunciare la premessa, cioè che i nipoti, certamente eredi legittimi della sorella, erano eredi legittimi della de cuius, ma non avrebbe spiegato il perché di tale considerazione.
Con un terzo motivo si denuncia "violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 565, 582, 467 e 1920 c.c. per violazione di legge" e si sostiene, se mal non si comprendono le non del tutto chiare deduzioni, che, pur identificati i nipoti come eredi legittimi del de cuius, si sarebbe dovuto dare rilievo al fatto che essi lo erano per diritto di rappresentazione, desumendone l'implicazione che, poiché i nipoti erano subentrati a tale titolo alla sorella del de cuius, ai fini della ripartizione dell'indennizzo si sarebbe dovuto tener conto, sicché la ripartizione dell'indennizzo sarebbe dovuta avvenire in parti eguali così come sarebbe accaduto se l'ascendente dei beneficiari del diritto di rappresentazione avesse concorso con la qui ricorrente.
Con un quarto motivo si fa valere "violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 1920, 1365 e 1366 c.c., per violazione di legge: nemo plus iuris in alium transferere potest quam ipse habet" e vi si prospetta, in buona sostanza, che in base agli invocati criteri ermeneutici il riferimento agli eredi legittimi sarebbe da intendere sempre nel senso sostenuto nel motivo precedente. Si sottolinea che, a seguire il criterio della ripartizione proporzionale fra l'erede diretto e chi subentra come tale per diritto di rappresentazione, se al rappresentato subentra un solo soggetto l'indennizzo risulterebbe ripartito in due quote, mentre se al rappresentato subentrano più soggetti del tutto irragionevolmente esso dovrebbe ripartirsi in tante quote eguali fra l'erede diretto ed i soggetti subentrati per rappresentazione.
Così, si esemplifica, se alla sorella del de cuius fossero subentrati per rappresentazione dieci figli, al coniuge del de cuius sarebbe spettato 1/11 dell'indennizzo.
p.3. L'esame del secondo, del terzo e del quarto motivo può procedere congiuntamente, atteso che essi si risolvono nella sostanziale prospettazione di un vizio di c.d. sussunzione della fattispecie concreta, costituita dal subentro allo stipulante la polizza di un erede diretto, la moglie ricorrente, e di due eredi per diritto di rappresentazione della sorella premorta, sotto l'esatta disciplina giuridica applicabile. Anche l'omessa motivazione denunciata dal secondo motivo, sebbene dedotta ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. nel testo anteriore all'ultima sua versione ed applicabile ratione temporis, non denuncia, infatti, un vizio della sentenza impugnata riguardo alla ricostruzione della quaestio factit com'è conforme alla logica della norma, bensì un vizio relativo alla motivazione in iure.
p.3.1. L'esame congiunto dei motivi giustifica, ad avviso del Collegio, il loro accoglimento per quanto di ragione, sebbene con il superamento dell'orientamento consolidato sul quale la sentenza impugnata ha basato la decisione della controversia nel senso di considerare legittimo il comportamento della società assicuratrice nel ripartire in quote eguali l'indennizzo senza considerare la diversa ripartizione dell'eredita dello stipulante, deceduto ab intestato.
p.3.2. La resistente ha sostenuto che i motivi sarebbero inammissibili, perché supporrebbero un mero riesame del fatto, ma il rilievo, che formalmente potrebbe essere adeguato al solo secondo motivo, è privo di fondamento giusta le considerazioni svolte in chiusura del paragrafo 2.
p.3.3. La resistente ha, poi, sostenuto che il ricorso sarebbe inammissibile ai sensi dell'art. 360-bis n. 1 c.p.c. in quanto non offrirebbe elementi per superare in ordine alla quaestio iuris decisiva sulla base della quale è stato deciso il giudizio di merito elementi per indurre questa Corte a superare la giurisprudenza applicata dai giudici di merito e segnatamente dalla sentenza qui impugnata.
p.3.3.1. Senonché, va considerato che l'art. 360-bis n. 1, in presenza una decisione di merito che abbia deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione, non impedisce alla Corte, valutati i motivi, di rilevare che sono offerti elementi per mutare l'orientamento emergente da detta giurisprudenza e ciò anche a prescindere dalla direzione che ad essi abbia inteso assegnare in tale senso il ricorrente con la prospettazione del motivo.
La Corte di cassazione può, cioè, nella logica dell'art. 360-bis n. 1 c.p.c. apprezzare gli elementi prospettati dal motivo come idonei a giustificare il superamento della propria giurisprudenza anche per ragioni diverse da quelle prospettate dal ricorrente, purché il superamento sia giustificato dallo scopo del motivo proposto.
Ora, lo scopo dei tre motivi in esame è di sostenere che erroneamente la Corte territoriale abbia considerato che, quanto la polizza assicurativa prevede la stipulazione da parte del contraente a favore dei suoi eredi legittimi o testamentari in caso di morte, l'indennizzo debba essere ripartito non facendo riferimento al modo della devoluzione legittima o testamentaria e, quindi, proporzionalmente alla quota per cui ogni erede concorre, bensì ripartendolo in quote eguali, come se la relativa obbligazione fosse parziaria per quote eguali.
L'elemento che nella specie offrono i motivi per indurre il superamento di tale orientamento è rappresentato e, dunque, articolato, in essi dalla prospettazione che la ripartizione proporzionale sarebbe stata mal fatta dalla società assicuratrice perché la posizione dei nipoti di eredi per diritto di rappresentazione avrebbe richiesto la loro considerazione, per essere subentrati a tale titolo, come titolari di una quota proporzionale unica, quella della loro madre ed erede rappresentata. Sicché, in questo particolare caso, il principio della ripartizione per quote eguali di cui alla giurisprudenza consolidata della Corte lo si vorrebbe applicato nel senso non già del riferimento alla situazione che individua gli eredi a seguito dell'applicazione dei principi del diritto di rappresentazione, bensì nel senso che occorrerebbe fare riferimento alla situazione di individuazione degli eredi emergente, per così dire in via virtuale, prima della detta applicazione.
Il Collegio rileva, quindi, che formalmente è stato prospettato nei motivi un elemento che, secondo la prospettazione della ricorrente, determinerebbe non tanto un superamento dell'orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, bensì un suo superamento parziale, cioè con riguardo alla peculiarità del caso di specie. Si tratterebbe di superamento parziale perché appunto con riferimento ad esso occorrerebbe fare applicazione, di contro a quanto postula l'orientamento consolidato, delle particolari regole che disciplinano la successione ab intestato nel caso di ricorrenza della figura della rappresentazione, mentre detto orientamento postula che la disciplina della successione rilevi, ai fini della individuazione del beneficiario della polizza stipulata dal de cuius, esclusivamente quanto alla individuazione di chi sia erede. Secondo la ricorrente nel caso di specie ci si dovrebbe spingere ad un livello di rilevanza ulteriore, perché non si dovrebbe considerare il diritto delle successioni solo a quel fine, il che paleserebbe che l'individuazione degli eredi imponga di fare riferimento all'erede subentrato per rappresentazione, bensì dovrebbe darsi rilievo alle regole del diritto ereditario che presiedono al diritto di rappresentazione, in modo tale da giustificare la considerazione come erede dell'erede diretto, nella specie la ricorrente, e di colei che erede sarebbe stata se non fosse premorta al de cuius.
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Sulla base di tali considerazioni nessuna ragione di inammissibilità ai sensi dell'art. 360-bis n. 1 si configura.
p.4. Venendo all'esame congiunto dei tre motivi in discorso, si rileva che essi sono fondati per quanto di ragione sulla base di considerazioni che il Collegio intende svolgere a superamento totale dell'orientamento di cui si sollecita il superamento parziale.
Va avvertito che questa Corte può operare tale superamento senza sostituire ai motivi prospettati un motivo individuato d'ufficio perché detto superamento avviene nell'esercizio del potere di individuare l'esatto diritto applicabile ai fini della soluzione della questione cui i motivi per come proposti sono funzionali. Lo scopo della ricorrente è di censurare in iure, nel modo che si è detto, la ripartizione dell'indennizzo per quote proporzionali identiche fra essa deducente ed i due eredi subentrati per diritto di rappresentazione anziché sulla base di una quota della metà imputabile ad essa e di altra quota della metà imputata congiuntamente a detti eredi, in quanto subentrati in quella che idealmente sarebbe stata la quota riferibile, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, alla loro madre, se avesse potuto ereditare in mancanza di premorienza.
Poiché l'esame dei motivi suppone necessariamente la considerazione dell'esattezza in iure in via generale dell'orientamento consolidato favorevole alla divisione per quote eguali fra tutti gli eredi, questa Corte, nell'esercizio dei sui poteri di individuazione dell'esatto diritto applicabile, può e deve interrogarsi su detta esattezza. E ciò, perché, se fosse negata, i motivi potrebbero essere per ciò solo accolti.
Le svolte argomentazioni si giustificano sulla base del seguente principio di diritto: “In ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l'osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, nonché per omologia con quanto prevede la norma di cui al secondo comma dell'art. 384 cod. proc. civ. (là dove consente la salvezza dell'assetto di interessi, per come regolato dalla sentenza di merito, allorquando la soluzione della questione di diritto data dalla sentenza impugnata sia errata e, tuttavia, esista una diversa ragione giuridica, che, senza richiedere accertamenti di fatto, sia idonea a giustificare la soluzione della controversia sancita dal dispositivo della sentenza in relazione alla questione sollevata dal motivo di ricorso), deve ritenersi che, nell'esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d'ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l'esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l'esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre configgere con il principio del monopolio della parte nell'esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l'efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l'integrazione di una eccezione in senso stretto”. (Cass. n. 19132 del 2005; in senso conforme: Cass. n. 20328 del 2006; n. 24183 del 2006; 6935 del 2007; n.4994 del 2008; (ord.) n. 10841 del 2011; da ultimo Cass. n. 3437 del 2014).
p.5. Tanto premesso, si rileva che la polizza stipulata dal defunto A.R. era stata pattuita con la previsione per il "caso morte" della individuazione come beneficiari degli "eredi testamentari dell'assicurato" o, in mancanza testamento, dei "di lui eredi legittimi".
p.5.1. Il Collegio è consapevole che l'interpretazione di una simile clausola è nel senso ritenuto sia dal primo giudice che dalla Corte territoriale.
Quest'ultima, senza richiamarla ha ritenuto legittimo che la società assicuratrice avesse pagato l'indennizzo ripartendolo in tre quote eguali alla qui ricorrente ed ai nipoti del de cuius, sulla base della giurisprudenza consolidata di questa Corte, che è ferma su principi di diritto, che risultano espressi:
a) dall'affermazione di Cass. n. 4484 del 1994, nel senso che: “Nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato è titolare di un diritto proprio, derivante dal contratto, alla prestazione assicurativa. Qualora il contratto preveda che l'indennizzo debba essere corrisposto agli eredi legittimi o testamentari, tale designazione concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell'eredità da parte degli stessi” (Cass. n. 4484 del 1994);
b) dall'affermazione, più articolata, di Cass. n. 9388 del 1994 nel senso che “Nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore del terzo, cui si applica la disciplina dell'assicurazione sulla vita, la disposizione contenuta nell'art. 1920, comma 3, cod. civ. (secondo cui, per effetto della designazione, il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione) deve essere interpretato nel senso che il diritto del beneficiario alla prestazione dell'assicuratore trova fondamento nel contratto ed è autonomo, cioè non derivato da quello del contraente. Pertanto, quando in un contratto di assicurazione contro gli infortuni, compreso l'evento morte, sia stato previsto, fin dall'origine, che l'indennità venga liquidata ai beneficiari designati o, in difetto, agli eredi, tale clausola va intesa nel senso che il meccanismo sussidiario di designazione del beneficiario è idoneo a far acquistare agli eredi i diritti nascenti dal contratto stipulato a loro favore (art. 1920, comma secondo e terzo, cod. civ.). Mentre l'individuazione dei beneficiari-eredi va effettuata attraverso l'accertamento della qualità di erede secondo i modi tipici di delazione dell'eredità (testamentaria o legittima: artt. 475, comma primo, e 565 cod. civ.) e le quote tra gli eredi, in mancanza di uno specifico criterio di ripartizione, devono presumersi uguali, essendo contrattuale la fonte regolatrice del rapporto e non applicandosi, quindi, la disciplina codicistica in materia di successione con le relative quote. (Nella specie, trattavasi di successione legittima del coniuge con i genitori ed i fratelli del de cuius)”;
c) dall'affermazione conseguente che “Poiché nel contratto di assicurazione per il caso di morte il beneficiario designato acquista, ai sensi dell'art. 1921 cod. civ., un diritto proprio derivante dal contratto alla prestazione assicurativa (salvi gli effetti dell'eventuale revoca della designazione ex art. 1921 cod. civ.), l'eventuale designazione dei terzi beneficiari con la categoria degli eredi legittimi o testamentari non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, atteso che tale designazione concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell'eredità da parte degli stessi” (Cass. n. 6531 del 2006).
Il Collegio è consapevole che la dottrina del diritto delle assicurazioni concorda con i riportati principi e con quello che ne costituirebbe il fondamento, siccome lumeggiato particolarmente dalla seconda decisione.
p.5.2. Il Collegio reputa, tuttavia, che tale fondamento non resista affatto ad una considerazione delle polizze che prevedono clausola come quella di cui alla polizza di cui è processo sulla base della corretta applicazione dei criteri ermeneutici della materia contrattuale.
L'assunto che clausole simili si debbano interpretare nel senso che impongano, ai fini della individuazione del beneficiario, soltanto l'individuazione secondo le regole della successione verificatasi e contemplata dalla clausola, di chi sia erede dello stipulante per il caso di morte, ma non, in mancanza di espresso riferimento anche alla posizione di erede quanto alla ripartizione dell'eredità (e, dunque, alla ripartizione secondo le regole della successione legittima o secondo le regole della successione testamentaria), è innanzitutto privo di giustificazione sul piano dell'esegesi letterale, atteso che, secondo il senso letterale dell'espressione "erede", tanto se l'eredità sia stata devoluta ab intestato quanto se sia stata devoluta per testamento, l'evocazione con detta espressione della figura dell'erede non può che implicare un riferimento non solo al modo in cui chi tale qualità è stata acquisita e, quindi, alla fonte della successione, ma anche alla dimensione di tale acquisizione e, dunque, al valore della posizione ereditaria secondo quella fonte.
Si vuoi dire, cioè che il dire che qualcuno è erede di un soggetto significa, secondo l'espressione letterale, evocare tanto chi lo è quanto anche in che misura lo è: il carattere polisenso dell'espressione letterale esclude che la presenza in una polizza assicurativa di un riferimento agli eredi sic et simpliciter come beneficiari per il caso di morte dello stipulante possa intendersi di per sé significativa solo dell'individuazione della qualità e non anche della misura della posizione ereditaria.
Ma la pretesa di intendere secondo i criteri dell'esegesi letterale nel modo voluto dall'orientamento da cui si dissente clausole come quelle di cui è processo, le quali contengono un espresso riferimento alla natura della devoluzione, cioè alla devoluzione legittima o testamentaria, appare ancora meno fondata alla stregua sempre dei criteri che debbono presiedere all'esegesi letterale: invero, l'uso in clausole siffatte dell'espresso riferimento al modo della devoluzione, per il fatto stesso che essa avviene secondo il titolo di successione ma, proprio per ciò, necessariamente secondo i criteri di riparto dell'eredità indicati dalla legge e dal testamento, non si comprende come possa essere limitativo della volontà di riferirsi non solo al titolo ma anche alla misura della successione.
p.5.3. Ove, poi, si passi all'uso doveroso, secondo il paradigma dell'art. 1362 c.c., del criterio dell'interpretazione secondo la comune intenzione delle parti, è sufficiente interrogarsi su che cosa comunemente si intenda per erede ab intestato e per erede testamentario e, dunque, riflettere sul fatto che quanto lo stipulante e la società assicuratrice prevedono per il caso di morte dello stipulante come beneficiari gli eredi legittimi in mancanza di eredi testamentari, la comune intenzione delle parti non può che essere se non quella di voler alludere alla misura in cui la successione secondo l'uno a l'altro titolo si verificherà.
Infatti: aa) dal punto di vista dello stipulante, premesso che egli può aver già fatto testamento e, dunque, ripartito fra gli eredi designati la sua eredità, oppure, non avendolo fatto ed avendo in animo di farlo, è palese che l'intenzione di attribuire il beneficio a chi sarà erede per il caso di sua morte, tanto nel primo caso quanto nel secondo non può che riferirsi alla misura della chiamata disposta o da disporsi oppure, nel primo caso, a quella emergente da un futuro nuovo testamento o dall'eventuale revoca di quello esistente o con sostituzione con altro o senza farne un altro e quindi dalla misura della chiamata secondo la successione legittima: solo la presenza di elementi testuali contrari e diretti a contraddire che l'attribuzione del beneficio sia egualitaria per tutti coloro che saranno eredi può escludere che l'intenzione dello stipulante sia nei detti sensi; bb) sempre dal punto di vista dello stipulante, qualora egli non avesse fatto testamento, la previsione della attribuzione agli eredi testamentari o legittimi senza la previsione dell'egualitarismo si presta solo ad esprimere l'intenzione di un'attribuzione proporzionata alla misura in cui ciascuno dei sui futuri eredi sarà tale: appare forzatura ridimensionatrice priva di giustificazione l'altra ricostruzione; cc) anche l'intenzione dal punto di vista della società assicuratrice non può non prestarsi ad essere ricostruita nei sensi indicati.
Che l'intenzione comune alle parti debba essere considerata quella di far riferimento sia al modo che alla misura della successione che si verificherà e che risulti contemplata risulta conclusione giustificata per il fatto stesso che bene lo stipulante potrebbe, nell'individuare come beneficiari gli eredi testamentari o legittimi, specificare che essi non lo saranno in modo corrispondente alla quota di eredità devoluta, ma in misura egualitaria o diversa. Ne segue che nel silenzio dello stipulante la comune intenzione delle parti va ricostruita nel senso indicato.
Anche il criterio della c.d. interpretazione Ideologica giustifica, dunque, la ricostruzione del significato delle clausole in discorso nel senso che lo scopo perseguito dalle parti e segnatamente dallo stipulante è, conforme alla natura dell'assicurazione sulla morte, quello di attribuire il beneficio nello stesso modo in cui risulterà regolata la sua successione.
Se si interroga il buon senso dell'uomo comune e si propone di intendere le dette clausole come le intende l'orientamento da cui si dissente, la risposta non potrà che essere nel senso dell'assoluta incomprensibilità, di fronte alla stipulazione della spettanza agli eredi legittimi o testamentari, di un significato che non sia quello del rifermento alla devoluzione ereditaria sia quanto all'individuazione degli eredi sia quanto alla misura della loro successione.
E tanto evidenzia che anche dal punto di vista dell'intenzione della società assicuratrice circa il contenuto della clausola non possono sussistere dubbi sulla duplicità di tale individuazione.
p.5.4. L'assunto della giurisprudenza da cui si dissente che il diritto nascente dal contratto deriva da esso come pattuizione a favore di terzo e non può essere identificato con un rinvio alle regole della devoluzione testamentaria o legittima, in disparte la sua incomprensibilità là dove volesse evocare una diretta efficacia di detta devoluzione circa l'individuazione dei beneficiari, non trova alcuna giustificazione al contrario proprio sul piano della ricostruzione della volontà contrattuale espressa nella stipulazione.
Come s'è veduto è sul piano della stessa volontà contrattuale che il pur generico riferimento agli eredi testamentari o legittimi nell'intenzione di chi stipula vuole individuare non solo il beneficiario nella sua qualità di erede in senso generico, bensì anche nel valore che la posizione assume, o per testamento o per legge, all'interno della successione. Pensare che la genericità del riferimento agli eredi sottenda che l'indennizzo dovrà essere attribuito a favore loro per parti eguali è una forzatura, che fa violenza al criterio di esegesi letterale, a quello teleologico ed in definitiva al buon senso dell'uomo comune.
D'altro canto, la stessa sottolineatura che la criticata giurisprudenza fa al fatto che il diritto nasce dal contratto e non dalla successione non si comprende come e perché debba giuocare solo ai fini dell'individuazione degli eredi e non della misura della loro attribuzione.
Che il secondo comma dell'art. 1920 c.c. attribuisca al terzo erede un diritto proprio è principio che riguarda il rapporto contrattuale fra l'assicuratore e il terzo, ma che non si comprende come possa giustificare la totale pretermissione della stessa volontà contrattuale ricostruita letteralmente e telelogicamente come qui prospettato. È proprio secondo il tenore del s contratto e, quindi, in forza di contratto che il destinatario è individuato sia con riferimento alla devoluzione ereditaria che alla sua misura.
Si può opinare che la tesi criticata abbia fondamento tanto nella dottrina delle assicurazioni che l'ha prospettata quanto nella giurisprudenza che l'ha abbracciata in un intento di semplificazione della posizione dell'assicuratore, nel senso di assegnare ad esso una posizione di comodo qual è quella che, all'esito della sola dimostrazione della qualità di erede da parte di ciascuno dei successori si risolve nel pagare l'indennizzo ripartendolo in quote eguali, una volta appunto palesatisi gli eredi, anziché tener conto della quota di ognuno, il che potrebbe portare ad una maggiore lungaggine della fase di liberazione dell'assicuratore dall'obbligo assicurativo.
Ma, se tale esigenza costituisce la surrettizia giustificazione della tesi criticata, in disparte l'assoluta carenza di fondamento sopra evidenziata secondo le regole dell'ermeneutica contrattuale, si tratterebbe di giustificazione che sarebbe priva di alcun fondamento pratico, atteso che la stessa dimostrazione da parte degli eredi della loro qualità, specie se vi siano contrasti fra loro, può comportare che la situazione non trovi immediatezza di definizione da parte dell'assicuratore.
Si deve aggiungere che l'interpretazione criticata, là dove intende le clausole come quelle di cui è processo nel senso che si debbano interpretare come dirette ad attribuire agli eredi una quota dell'indennizzo proporzionale alla quota ereditaria, costituisce piana applicazione del criterio indicato dalla legge nell'art. 1314 c.c., posto che esso impone proprio di dividere l'obbligazione di indennizzo per la parte che corrisponde alla posizione di ciascun erede, e ciò perché questa è quella che la norma definisce come la "sua parte".
p.6. Il secondo, terzo e quarto motivo sono dunque accolti nei sensi di cui in motivazione sulla base del principio di diritto secondo cui: “Nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore del terzo, cui si applica la disciplina dell'assicurazione sulla vita, la disposizione contenuta nell'art. 1920, terzo comma, cod. civ. (secondo cui, per effetto della designazione, il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione) deve essere interpretato nel senso che il diritto del beneficiario alla prestazione dell'assicuratore trova fondamento nel contratto ed è autonomo, cioè non derivato da quello del contraente. Quando in un contratto di assicurazione sulla vita sia stato previsto per il caso di morte dello stipulante che l'indennizzo debba corrispondersi agli eredi tanto con formula generica, quanto e a maggior ragione con formulazione evocativa degli eredi testamentari o in mancanza degli eredi legittimi, tale clausola, sul piano della corretta applicazione delle norme di esegesi del contratto e, quindi, conforme a detta disposizione, dev'essere intesa sia nel senso che le parti abbiano voluto tramite dette espressioni individuare per relationem con riferimento al modo della successione effettivamente verificatosi negli eredi chi acquista i diritti nascenti dal contratto stipulato a loro favore (art. 1920, comma secondo e terzo, cod. civ.), sia nel senso di correlare l'attribuzione dell'indennizzo ai più soggetti così individuati come eredi in misura proporzionale alla quota in cui ciascuno è succeduto secondo la modalità di successione effettivamente verificatasi, dovendosi invece escludere che, per la mancata precisazione nella clausola contrattuale di uno specifico criterio di ripartizione che a quelle modalità di individuazione delle quote faccia riferimento, che le quote debbano essere dall'assicuratore liquidate in misura eguale”.
Nella specie alla ricorrente, in quanto moglie dello stipulante deceduto ab intestato, si sarebbero dovuti riconoscere, nel concorso dei due nipoti ex sorore per diritto di rappresentazione, addirittura i due terzi dell'indennizzo, concorrendo essa appunto con i nipoti (art. 582 c.c.).
Il giudice di invio, che si designa in altra sezione della Corte lagunare, comunque in diversa composizione, peraltro, nell'applicare il detto principio di diritto terrà conto che la ricorrente non ha rivendicato la differenza fra il terzo liquidatogli conforme all'indirizzo qui disatteso ed i due terzi che le sarebbero spettati, bensì la differenza fino alla concorrenza della metà del'indennizzo e, pertanto della limitazione del petitum in tal senso dovrà necessariamente tenere conto.
Al giudice di rinvio è rimesso il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso. Accoglie per quanto di ragione gli altri e cassa la sentenza impugnata. Rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia, comunque in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.
Avv. Antonino Sugamele

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