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Sentenza

Prova della simulazione senza limiti per il congiunto che agisce, anche in via s...
Prova della simulazione senza limiti per il congiunto che agisce, anche in via subordinata, quale legittimario.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 gennaio - 27 marzo 2013, n. 7789
Presidente Felicetti – Relatore Matera

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 25-1-1994 C.F. e C.R. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Padova la sorella C.A. , al fine di ottenere la divisione dell'appartamento sito al piano terra del fabbricato in (omissis) , di cui essi erano proprietari ciascuno per 1/4 per successione ereditaria del padre An. , mentre la convenuta era titolare della quota di 1/2, avendo acquistato la quota di 1/4 dall'altra sorella S. .
Canton Adriana si costituiva aderendo alla domanda di divisione, ma con successivo atto di citazione notificato l'8-3-1994 evocava in giudizio C.F. e R. dinanzi allo stesso Tribunale, affermando che l'atto di compravendita con cui Ca.An. in data 11-1-1971 aveva venduto ai predetti figli la proprietà dei due appartamenti posti al primo piano del medesimo fabbricato, in realtà dissimulava una donazione, nulla per difetto di forma, e che comunque si era trattato di una vendita nulla per difetto di causa. Essa deduceva, infatti, che il prezzo di vendita non era stato corrisposto dagli apparenti compratori, o era stato puramente simbolico. Assumeva, pertanto, che i due appartamenti facevano ancora parte dell'asse ereditario e chiedeva che venisse disposto lo scioglimento anche della relativa comunione. In via subordinata e per l'ipotesi in cui venisse ritenuta la validità delle donazioni, C.A. chiedeva ugualmente la divisione dei due immobili, previa riduzione delle donazioni stesse ed effettuata la collazione dei beni donati da parte dei fratelli.
C.F. e R. contestavano tali domande e producevano una scrittura privata datata 6-4-1964, con la quale essi si erano accordati con il padre A. nel senso che avrebbero contribuito con il loro lavoro e con le spese a costruire un fabbricato sul terreno sito in via ..., e il padre avrebbe ceduto loro come corrispettivo due appartamenti posti al primo piano.
Riunite le due cause, C.A. dichiarava di non conoscere la firma del padre apposta in calce alla convenzione prodotta dalle controparti, ed i fratelli ne chiedevano la verificazione.
Venivano, pertanto, disposte una consulenza tecnica d'ufficio grafologica ed altra per determinare il valore e la divisibilità dei due appartamenti siti al primo piano.
Con sentenza non definitiva del 3-10-2001 il Tribunale dichiarava l'autenticità della sottoscrizione apposta da Ca.An. sulla scrittura del 6-4-1964; affermava che con tale scrittura Ca.An. aveva concordato con i figli F. e R. di cedere loro i due appartamenti al primo piano e di trattenere per lui quello al piano terra, a fronte dell'impegno assunto dai figli di sostenere le spese per l'ultimazione del fabbricato; dichiarava che il contratto stipulato da C.F. e C.R. con il padre in data 11-1-1971 aveva dato attuazione alla convenzione del 6-4-1964; che tale contratto non era una donazione, ma una compravendita, il cui prezzo era rappresentato dall'apporto economico dato dai figli per portare a termine la costruzione avviata dal padre; dichiarava, di conseguenza, che i due appartamenti non facevano parte dell'asse ereditario di Ca.An. ; dichiarava l'indivisibilità dell'appartamento posto al piano terra e rimetteva la causa in istruttoria al fine di disporne la vendita.
Avverso la predetta decisione proponeva appello C.A. .
Con sentenza non definitiva del 22-12-2005 la Corte di Appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la simulazione relativa dell'atto di compravendita dell'11-1-1971, avente ad oggetto i due appartamenti siti al primo piano; dichiarava la nullità dell'atto di donazione dissimulato per difetto di forma, essendo stato il contratto stipulato nella forma pubblica, ma in assenza di testimoni; dichiarava, di conseguenza, che i predetti appartamenti facevano parte dell'asse ereditario relitto di C.A. e della comunione ereditaria esistente tra i fratelli C.A. , R. e C.F. (la prima per la quota di 1/2 e i secondi di 1/4 ciascuno).
Con separata ordinanza veniva disposto un supplemento di indagini tecniche al fine dell'aggiornamento dei valori di stima degli immobili, onde poter dare attuazione al già predisposto progetto di divisione, ritenuto corretto dalla Corte distrettuale.
Per la cassazione della sentenza non definitiva hanno proposto ricorso C.F. e C.R. , sulla base di quattro motivi.
C.A. ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato a un unico motivo.
A seguito della integrazione istruttoria disposta dalla Corte di Appello ai fini dell'aggiornamento dei valori di stima degli immobili caduti nella massa ereditaria, all'udienza del 6-7-2006 C.F. e R. formulavano eccezione di usucapione dei due appartamenti siti al primo piano.
Con sentenza definitiva depositata l'11-1-2010 la Corte di Appello assegnava in proprietà esclusiva a C.A. l'appartamento sub 2 della particella catastale 230, sito in via (omissis) , al primo piano, e l'area di pertinenza; dichiarava C.R. tenuto a corrispondere a C.F. la somma di Euro 50.000,00, oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo; condannava gli appellati al pagamento delle spese di doppio grado. La Corte territoriale, in particolare, dava atto della inammissibilità dell'eccezione di usucapione sollevata da C.F. e C.R. , dopo la sentenza non definitiva che aveva accertato la simulazione dell'atto di compravendita e la nullità della dissimulata donazione e ritenuto, pertanto, che i due appartamenti posti al primo piano facevano parte della comunione ereditaria; dava atto che l'appartamento a piano terra nel prosieguo del giudizio di primo grado era stato assegnato a C.A. , dietro pagamento di un conguaglio ai fratelli e che, di conseguenza, essendo cessata la materia del contendere in ordine al predetto immobile, doveva procedersi solo alla divisione dei due appartamenti al primo piano; rilevava che, poiché l'appartamento sub 3, intestato a C.R. , era stato venduto a terzi di buona fede con priorità di trascrizione, ai quali non era opponibile la simulazione, C.R. rimaneva debitore verso la massa del corrispondente valore, pari ad Euro 100.000,00, restando da dividere tra i coeredi solo l'altro appartamento intestato a C.F. , anch'esso del valore di Euro 100.000,00; osservava che, conseguentemente, andava accolta la domanda di C.A. di assegnazione di tale ultimo appartamento, avente un valore corrispondente alla sua quota ereditaria, pari ad 1/2, mentre, essendo gli altri fratelli titolari di una quota pari ad 1/4 ciascuno, C.R. doveva corrispondere a C.F. la somma di Euro 50.000,00.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso P.M.P. , C.N. e C.R. , i primi due quali eredi di C.F. , deceduto il (omissis), sulla base di quattro motivi.
C.A. ha resistito con controricorso ed ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c. in relazione ad entrambi i ricorsi.

Motivi della decisione

1) Preliminarmente occorre procedere, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., alla riunione dei due ricorsi (principale e incidentale) proposti avverso la sentenza non definitiva. Per evidenti ragioni di connessione, inoltre, va disposta altresì la riunione di tali ricorsi con quello proposto avverso la sentenza definitiva.
2) Partendo dall'esame del ricorso principale proposto avverso la sentenza non definitiva, si osserva che con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 102 c.p.c., per la mancata partecipazione al giudizio della sorella C.S. , coerede di Ca.An. e come tale litisconsorte necessaria nella causa promossa da C.A. nei confronti dei fratelli F. e R. per ottenere la declaratoria di nullità dell'atto di compravendita dell'11-1-1971. Deducono che l'esistenza di C.S. e la sua qualità di figlia di Ca.An. risultano inequivocabilmente dagli atti del processo, avendone dato atto la stessa sentenza impugnata a pag. 4.
Il motivo è infondato.
È vero che la simulazione relativa di una compravendita conclusa tra un fratello ed il comune genitore, poi defunto, dissimulante una donazione, ove sia dedotta quale oggetto di specifica ed autonoma domanda, e non già in via meramente strumentale o incidentale ai fini dell'esercizio dell'azione di riduzione, deve essere esercitata anche nei confronti degli altri fratelli divenuti eredi, quali successori anch'essi del "de cuius", parte del dedotto accordo simulatorio e, in quanto tale, litisconsorte necessario (Cass. Cass. 2-9-2008 n. 22030; Cass. 16-1-2007 n. 868; Cass. 22-7-2003 n. 11406).
Nella specie, tuttavia, dalla documentazione prodotta dalla convenuta (il cui esame è consentito per la natura procedurale del vizio denunciato) risulta che C.S. , con atto pubblico per notaio La Rosa del 16-1-1989, ha ceduto alla sorella A. la quota di un quarto ad essa spettante sull'eredità paterna, dichiarando espressamente di null'altro aver da pretendere a qualsiasi titolo in ordine a tale eredità, essendo stata soddisfatta di quanto ad essa spettante.
Pertanto, avendo C.S. ceduto la sua quota ereditaria alla sorella Adriana in epoca antecedente all'introduzione del giudizio di primo grado, la stessa non poteva essere qualificata come litisconsorte necessaria del processo, spettando tale qualità ai cessionari della quota e non agli eredi cedenti, (cfr. Cass. 6-6-2011 n. 12242, in tema di giudizio di divisione).
3) Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 1417 c.c., in relazione agli artt. 555 e 2722 c.c.. Deducono che, poiché l'attrice C.A. a ha chiesto in via principale che venisse accertato che i due appartamenti oggetto dell'atto di compravendita simulato non erano mai usciti dal patrimonio del de cuius, la predetta, non avendo agito in qualità di legittimaria, ma di erede, soggiaceva alle stesse limitazioni incombenti al de cuius in tema di simulazione; e che, pertanto, erroneamente la Corte di Appello, a pag. 10 della sentenza impugnata, ha affermato il contrario.
Il motivo è privo di fondamento.
Questa Corte ha più volte avuto modo di affermare che il legittimario che impugni per simulazione un atto compiuto dal "de cuius" ha veste di terzo, e può, quindi, avvalersi della prova testimoniale senza limiti, solo quando agisca per la reintegrazione della quota a lui riservata, mentre soggiace alle limitazioni probatorie imposte alle parti quando l'impugnazione sia proposta dallo stesso anche come erede e tenda anche al conseguimento della disponibile. Tuttavia, detto esonero dalle limitazioni probatorie a favore del legittimario che agisca per il recupero o la reintegrazione della legittima non può ritenersi contemporaneamente concesso e non concesso, nel caso in cui l'impugnazione dell'atto sia destinata a riflettersi comunque, oltre che sulla determinazione della quota di riserva, anche sulla riacquisizione del bene oggetto del negozio simulato al patrimonio ereditario, sicché il legittimario se ne avvantaggia sia in tale sua qualità, sia in quella di successore a titolo universale: in tal caso egli è esonerato in modo completo dalle limitazioni probatorie in tema di simulazione, non potendosi applicare, rispetto ad un unico atto simulato, per una parte una regola probatoria, e per un'altra parte una regola diversa (tra le più recenti v. Cass. 13-11-2009 n. 24184; Cass. 15-4-2008 n. 9888; Cass. 6-10-2005 n. 19468).
Nella specie, C.A. , oltre all'azione diretta alla dichiarazione della simulazione della compravendita ed all'inclusione dei beni apparentemente compravenduti nell'asse ereditario, ha proposto anche, in via gradata, domanda di riduzione di tale donazione. Tale ultima richiesta, ancorché proposta in via subordinata (per l'ipotesi in cui la donazione dissimulata, diversamente da quanto prospettato in via principale, venisse ritenuta valida), comporta l'attribuzione all'attrice della qualità di terzo, ponendola in una posizione antagonistica nei confronti delle parti dell'atto impugnato. Orbene, se alla C. si potrebbe teoricamente negare la possibilità di provare senza limiti (e quindi anche mediante prova testimoniale e per presunzioni) la natura simulata della compravendita in funzione della domanda principale proposta quale semplice erede legittima, analogo divieto non può certamente sussistere in relazione alla domanda subordinata di riduzione della donazione, collegata alla qualità di legittimarla, che i giudici di merito avrebbero comunque dovuto prendere in considerazione, gradatamente (per una fattispecie analoga v. Cass. 6-10-2005 n. 19468).
4) Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione di legge per errata attribuzione dell'onere della prova, nonché dell'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostengono, in primo luogo, che la Corte di Appello ha erroneamente posto a loro carico l'onere di provare di aver pagato il prezzo relativo alla compravendita dei due appartamenti dell'I 1-1-1971, in quanto era l'attrice C.A. a dover dimostrare la non veridicità della dichiarazione di avvenuto pagamento del prezzo resa dal venditore nel rogito notarile. Deducono, inoltre, che il giudice del gravame ha erroneamente basato il proprio convincimento che il prezzo non fosse stato pagato sulla deposizione di V.M. , la quale ha reso una testimonianza de relato su una dichiarazione di Ca.An. a quest'ultimo favorevole, e sull'interrogatorio formale di C.R. e F. , i quali non hanno affatto dichiarato di non aver, pagato il prezzo.
Le censure sono infondate.
Deve premettersi che l'affermazione, contenuta nel rogito di vendita, dell'avvenuto versamento del prezzo, non ha valore vincolante nei confronti di C.A. , dal momento che, come si è innanzi rilevato, quest'ultima assume nel presente giudizio una posizione di terzietà rispetto alle parti di tale contratto; posizione che, ai sensi dell'art. 1417 c.c., la sottrae ai limiti stabiliti in materia di prova testimoniale e per presunzioni dagli artt. 2721 e ss., c.c..
Ciò posto, si osserva che la Corte di Appello, all'esito di un'analitica disamina delle risultanze acquisite, ha maturato il convincimento del carattere simulato della quietanza di saldo del prezzo di vendita contenuta nel rogito dell'11-1-1971. Essa, invero, sulla base della deposizione della teste V.M. e dell'interrogatorio formale di C.R. , ha ritenuto certo che il prezzo di vendita non era quello indicato nell'atto notarile (lire 1.500.000 per ciascun appartamento) e non è stato versato al venditore dai figli in occasione della stipulazione del contratto dell'11-1-1971; ed ha altresì escluso la fondatezza dell'assunto degli appellati, secondo cui il prezzo di vendita sarebbe rappresentato dalle spese da essi sostenute e dalla mano d'opera dagli stessi prestata per portare a termine la costruzione del fabbricato, come da convenzione del 6-4-1964, la quale avrebbe costituito una specie di preliminare intercorso tra le parti in vista della futura cessione dei due appartamenti successivamente alla loro edificazione.
La Corte territoriale ha rilevato, al riguardo, che, pur essendo stata accertata l'autenticità della sottoscrizione apposta dal de cuius alla scrittura privata del 6-4-1964, tale scrittura è priva di data certa e non è, quindi, opponibile a C.A. , in quanto terza, come atto avente data antecedente alla stipulazione della compravendita (11-1-1971). Essa, pertanto, ha ritenuto che non è possibile stabilire un collegamento tra l'accordo racchiuso nella menzionata scrittura privata ed il successivo trasferimento di proprietà dei due appartamenti, nel senso, cioè, che il contratto del 1971 abbia dato attuazione a tale accordo. Ha aggiunto che l'unico elemento emerso a supporto della tesi degli appellati è rappresentato dalle dichiarazioni della teste D.M. ; ma che tali dichiarazioni, per la loro genericità, non si rivelano idonee a dimostrare né il prezzo di vendita dei due appartamenti a primo piano né che tali immobili siano stati alienati da Ca.An. ai figli Francesco e Renato per estinguere i debiti gravanti verso questi ultimi sul venditore per le spese di costruzione del fabbricato. Di qui la conclusione del carattere simulato dell'atto di compravendita, dissimulante, in assenza di corrispettivo, una donazione, peraltro nulla, essendo stati l'atto pubblico rogato senza la presenza di testimoni.
Il percorso argomentativo seguito dal giudice del gravame risulta sorretto da argomentazioni immuni da vizi logici e corrette sul piano giuridico.
Insussistente è, in primo luogo, la pretesa violazione dei principi che regolano la prova della simulazione e la ripartizione dei relativi oneri probatori. Il giudice di appello, invero, non si è discostato dal principio secondo cui colui che invoca la simulazione del contratto deve, ai sensi dell'art. 2697 c.c., offrire la prova dei fatti costitutivi del diritto azionato, cioè il carattere apparente e non voluto del negozio. Esso, infatti, ha positivamente accertato che il prezzo delle due vendite non è quello indicato nel contratto, e che tale importo non è stato corrisposto al momento della stipula dell'atto pubblico; e, nell'analizzare e valutare nel loro complesso tutte le circostanze desumibili dagli atti di causa, ha attribuito alla mancanza di prova dell'assunto degli appellati, secondo cui il corrispettivo sarebbe consistito nelle spese precedentemente sostenute dai medesimi per la costruzione del fabbricato, ulteriori argomenti a sostegno del carattere simulato del contratto di compravendita; il tutto in linea con il principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui può trarsi un elemento di valutazione circa il carattere fittizio di un contratto di compravendita anche dalla circostanza che il compratore, su cui grava l'onere di provare il pagamento del prezzo, non abbia fornito la relativa dimostrazione, senza che ciò comporti una inversione dell'onere della prova (cfr. Cass. 18-8-2007 n. 17628; Cass. 30-5-2005 n. 11372; Cass. 11-10-1999 n. 11361).
Infondato appare altresì l'assunto dei ricorrenti, secondo cui il giudice del gravame non avrebbe potuto tener conto delle dichiarazioni della teste V.M. , avendo quest'ultima riferito de relato su dichiarazioni rese da Ca.An. in ordine a fatti al medesimo favorevoli.
Premesso che C.A. non è parte nel presente giudizio, si osserva che non assume alcuna rilevanza il carattere favorevole o meno delle dichiarazioni dal medesimo rese alla teste V. e da quest'ultima riferite nel corso della sua deposizione.
Va, piuttosto, rammentato che, in tema di rilevanza probatoria delle deposizioni di persone che hanno solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso, occorre distinguere i testimoni de relato actoris e quelli de relato in genere: i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio, cosicché la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa; gli altri testi, quelli de relato in genere, depongono invece su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata perché indiretta, ma, ciononostante, può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffraghino la (cfr. Cass. 10-1-2011 n. 313; Cass. 3-4-2007 n. 8358).
Nella specie, pertanto, nessun errore ha compiuto il giudice del merito nel desumere elementi utili al proprio convincimento circa la simulazione dell'atto di compravendita dalla deposizione della teste V. (la quale ha riferito che Ca.An. le aveva detto più volte di non aver ricevuto dai figli alcuna somma di denaro), non avendo considerato isolatamente tale testimonianza, ma avendola valutata, nel suo incensurabile apprezzamento di merito, come elemento concorrente con le altre risultanze istruttorie.
Non si comprende, infine, il senso delle censure mosse dai ricorrenti in ordine alla valutazione delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da C.R. ed An. , essendosi la Corte di Appello limitata ad affermare che il solo C.R. , nel corso del suo interrogatorio, ha riconosciuto "il mancato versamento del prezzo al momento di concludere il contratto di vendita", ed avendo la stessa Corte dato atto che il medesimo C.R. ha dichiarato di "aver sostenuto i relativi costi all'epoca della costruzione degli appartamenti in questione"; il che non viene contestato dai ricorrenti.
In definitiva, il giudice di appello ha dato adeguato conto delle ragioni del proprio convincimento circa il carattere simulato dell'atto di compravendita del 1971, esplicitando l'iter motivazionale attraverso il quale è pervenuto alla scelta ed alla valutazione delle risultanze probatorie poste a fondamento della propria decisione. L'apprezzamento espresso al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, costituendo espressione di valutazioni istituzionalmente rimesse al giudice di merito ed essendo sorretto da argomentazioni coerenti sul piano logico ed improntate a corretti principi giuridici.
5) Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 2704 c.c., in relazione alla ritenuta inopponibilità a C.A. della menzionata scrittura privata del 16-4-1964.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
La Corte di Appello, pur dando atto dell'autenticità della sottoscrizione apposta sa Ca.An. alla scrittura privata in questione, giudizialmente dichiarata con la sentenza di primo grado, non impugnata sul punto dalle parti, ha ritenuto che la data della sua sottoscrizione non può essere opposta a C.A. , in quanto "terza", con la conseguenza che, non essendovi prova della redazione di tale scrittura prima della stipulazione dell'atto di compravendita del 1971, ma solo della sua anteriorità rispetto al decesso di Ca.An. (avvenuto nel XXXX), il documento in parola non può essere utilizzato come prova che il contratto di vendita abbia dato attuazione all'accordo in esso racchiuso, e cioè che il prezzo degli immobili trasferiti agli appellati sia consistito nelle spese da costoro anticipate per la costruzione dell'edificio.
Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione di legge, avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione del principio sancito dall'art. 2704 c.c., secondo cui la data della scrittura privata non autenticata può essere considerata certa e opponibile ai terzi non dal momento in cui il documento è stato effettivamente formato, ma solo dal momento in cui si verificano determinati fatti previsti dalla norma medesima, quali la morte di colui o di uno di coloro che l'hanno sottoscritta.
6) Con l'unico motivo la ricorrente incidentale lamenta la violazione dell'art. 336 comma 2 c.p.c. e la violazione e falsa applicazione del principio di universalità della divisione ereditaria di cui agli artt. 713 e segg. c.c., in relazione all'affermazione della Corte di Appello, secondo cui, per l'effetto espansivo collegato dall'art. 336 comma 2 c.p.c., alla riforma della sentenza non definitiva, deve procedersi allo scioglimento della comunione ereditaria tra le parti sui due appartamenti a primo piano, oltre che su quello posto a piano terra. Deduce che la Corte di Appello non ha tenuto conto del fatto che, dopo la sentenza non definitiva del Tribunale, con cui è stata dichiarata l'indivisibilità dell'appartamento a piano terra, tale appartamento è stato assegnato a C.A. con decreto del 22-5-2002, dietro pagamento di un conguaglio agli altri condividenti. Il giudice del gravame, pertanto, avrebbe dovuto disporre lo scioglimento della comunione ereditaria solo per gli appartamenti siti al primo piano e non anche per quello a piano terra.
Il motivo è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, avendo la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza definitiva dell'11-1-2010, espressamente statuito che è cessata la materia del contendere in relazione all'appartamento al piano terra, assegnato a C.A. nel prosieguo del giudizio di primo grado.
7) Passando all'esame del ricorso proposto da C.R. e dagli eredi di C.F. avverso la sentenza definitiva, si rileva che con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione alla ritenuta inammissibilità dell'eccezione di usucapione sollevata in appello. Deducono che la norma citata, nel testo vigente al momento della introduzione del giudizio, anteriore alla novella del 1990, consentiva la proposizione di nuove eccezioni in appello.
Il motivo è inammissibile, non confrontandosi con le reali ragioni della decisione. La Corte di Appello non ha ritenuto la tardività ed inammissibilità dell'eccezione di usucapione in quanto proposta in appello, ma perché sollevata dopo la sentenza non definitiva del 2005 che aveva accertato la simulazione della vendita e la nullità della dissimulata donazione dei due appartamenti al primo piano. Il giudice del gravame ha rilevato, al riguardo, che il giudizio di appello, dopo la sentenza non definitiva, era proseguito ai soli fini dell'aggiornamento del valore dei beni ereditari e della divisione degli stessi; laddove la consistenza dell'asse ereditario oggetto dell'azione di scioglimento della comunione era già stata accertata con la predetta sentenza, che avrebbe potuto essere oggetto "non certo di un inammissibile riesame in questa sede, ma solo di ricorso per cassazione".
Le censure mosse con il motivo in esame, pertanto, non appaiono conferenti, non investendo la specifica ratio decidendi della pronuncia impugnata.
7) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano, sotto diverso profilo, la violazione dell'art. 345 c.p.c., sostenendo che nelle cause di scioglimento della comunione non costituisce domanda nuova la richiesta di accertamento della consistenza dell'attivo ereditario, con l'affermazione che uno dei beni ritenuti facenti parte dell'asse è stato usucapito prima dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado.
Il motivo difetta del requisito di specificità, limitandosi all'enunciazione di principi di diritto e di massime della giurisprudenza, senza indicare, in concreto, la statuizione adottata dalla Corte di Appello che si intende censurare e le ragioni della sua erroneità.
Si rammenta, al riguardo, che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta la necessità dell'esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e dell'esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione; ne consegue che tali requisiti difettano quando il ricorrente si limiti, come nel caso in esame, alla mera riproduzione di pronunce della Corte di cassazione che affermi essere pertinenti alla decisione impugnata (Cass. 25-9-2009 n. 20652; Cass. 6-6-2006 n. 13259).
7) Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 535, 723, 726, 727 e 728 c.c. Deducono che l'appartamento al primo piano censito al mappale 330 sub 3 non fa parte dell'asse ereditario, essendo stato venduto in buona fede da C.R. a tale S.M.B. il 3-3-1994, ed essendo cessata a tale data, per prescrizione decennale, qualsiasi eventuale azione di danno eventualmente proponibile dai coeredi nei confronti del predetto C.R. . Rilevano che la Corte di Appello ha erroneamente imputato il predetto immobile alla quota di quest'ultimo, atteso che sono tenuti alla collazione solo i coeredi che abbiano ricevuto liberalità dal de cuius, mentre nella specie C.R. , una volta dichiarata la nullità della compravendita dell'11-1-1971, nulla ha ricevuto dal padre. La Corte territoriale, pertanto, avrebbe dovuto escludere dalla divisione il bene in questione, e procedere allo scioglimento della comunione dell'unico appartamento restante.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello, avendo dichiarato la simulazione dell'atto di compravendita del 1971 e la nullità dell'atto di donazione dissimulato per mancanza di forma, ha legittimamente ritenuto compresi nell'asse ereditario i due appartamenti apparentemente alienati, trattandosi di immobili mai usciti dal patrimonio del de cuius, deceduto nel 1985. Ne consegue che C.R. , nell'alienare a terzi l'appartamento al primo piano apparentemente vendutogli dal padre nel 1971, ha disposto di un bene non suo, ma appartenente alla massa ereditaria.
Orbene, poiché l'atto di compravendita stipulato nel 1994 dal convenuto è stato trascritto anteriormente alla domanda di simulazione, e a norma dell'art. 2652 c.c. la simulazione non è opponibile ai terzi acquirenti di buona fede in base a un atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che C.R. è rimasto debitore verso la massa ereditaria del valore dell'immobile da lui venduto, non recuperabile in natura in quanto ormai divenuto di proprietà dei terzi acquirenti.
Tale affermazione non discende dall'applicazione delle norme sulla collazione, estranee alla presente fattispecie, in cui i ricorrenti non hanno beneficiato di alcuna donazione da parte del de cuius, stante l'acclarata nullità della donazione dissimulata con l'atto di compravendita. In caso di donazione nulla, infatti, l'accertamento della invalidità comporta il rientro dei beni nella massa da dividersi a vantaggio di tutti i coeredi, e non solo degli aventi diritto a collazione; con la conseguenza che, allorché tali beni non esistano più in natura, nell'asse ereditario deve ritenersi compreso, in sostituzione degli stessi, il loro controvalore economico. Appaiono inconferenti, pertanto, anche le deduzioni svolte dai ricorrenti per sostenere che nei confronti di C.R. sarebbe configurabile, in ipotesi, solo un'obbligazione risarcitoria, in quanto l'obbligo del coerede di restituire alla massa ereditaria il bene indebitamente alienato a terzi o il suo equivalente economico prescinde da qualsiasi profilo di colpevolezza, richiesto dall'art. 2043 c.c..
9) Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 714 c.c. Sostengono che, poiché C.F. , a seguito della vendita del 1971, ha posseduto in via esclusiva con la sua famiglia l'immobile vendutogli dal padre per oltre venti anni, acquisendone la proprietà per usucapione, il predetto bene non fa parte dell'asse ereditario.
Il motivo è inammissibile, risolvendosi in mere censure di merito dirette a sostenere la tesi della intervenuta usucapione in favore di C.F. , senza muovere specifiche critiche avverso il giudizio espresso dalla Corte di Appello circa l'inammissibilità della relativa eccezione.
10) Per le ragioni esposte, i due ricorsi principali proposti avverso la sentenza non definitiva e quella definitiva devono essere rigettati, mentre il ricorso incidentale proposto da C.A. avverso la sentenza non definitiva va dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
In considerazione della peculiarità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per dichiarare per intero compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta i ricorsi principali n. 5574/2007 e 5762/2011, dichiara inammissibile il ricorso incidentale n. 9291/2007 proposto in relazione al ricorso principale n. 5574/2007. Compensa interamente le spese del presente grado di legittimità.
Avv. Antonino Sugamele

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