Di Leonardo Dani. Splendida analisi ed esposizione sulla questione indicata nel titolo.
1 . Lo ius eligendi sepulchrum: individuazione della fattispecie
La morte – che costituisce, insieme alla nascita, l'evento che accomuna tutti gli esseri umani – «offre l'ultima occasione per distinguersi […], anche a coloro che le vicende della vita avevano relegato nell'anonimato più profondo» [1]. Così, da sempre è particolarmente avvertita l'esigenza di dettare delle prescrizioni in ordine alla propria sepoltura [2], dirette a ottenere una destinazione delle spoglie conforme con i propri valori e a evitare di rimettere la relativa decisione ai superstiti, che potrebbero optare per una soluzione difforme rispetto alle intime esigenze della persona.
Gli atti che vengono in considerazione riguardano l'esercizio del diritto di scegliere le modalità e il luogo della propria sepoltura (c.d. ius eligendi sepulchrum). Si tratta, come ritenuto da una ormai consolidata giurisprudenza [3], di un diritto della personalità, che trova fondamento nel potere di autodeterminazione della persona, con la conseguenza che i prossimi congiunti non possono esercitare la medesima facoltà di scelta [4]. Così, la decisione relativa alla destinazione della propria salma, prima ancora di essere diretta a soddisfare l'interesse a ricevere un trattamento conforme al principio di dignità dell'essere umano, risponde all'esigenza di soddisfare un bisogno esistenziale della persona, legato all'esercizio della libertà di pensiero, di coscienza e di religione, che trova un espresso e indefettibile riconoscimento sia a livello costituzionale (artt. 2 e 19) che europeo (artt. 9 della Cedu e 10 della Carta di Nizza) [5].
In questa prospettiva, è proprio la stretta connessione dello ius eligendi sepulchrum con la sfera identitaria della persona che spiega perché la volontà del de cuius debba prevalere sulla eventuale diversa determinazione dei superstiti, il cui potere di scelta si pone in una posizione meramente sussidiaria [6]. Infatti, è dato ritenere che l'attribuzione ai familiari di un simile potere trovi la sua giustificazione nella necessità di dare ai resti umani una sistemazione, la quale, oltre a dover rispondere all'esigenza di preservare la pubblica igiene, deve essere conforme alla presunta volontà del de cuius. È per tale ragione che un simile potere viene riconosciuto non già agli eredi, ma agli appartenenti al nucleo familiare del defunto, sul presupposto che i valori della famiglia siano comuni al de cuius e ai suoi superstiti [7].
Peraltro, il diritto di scegliere le modalità e il luogo della propria sepoltura si distingue concettualmente dalle altre situazioni giuridiche tradizionalmente ricondotte al c.d. «diritto di sepolcro» [8], che riguardano una serie di posizioni di prevalente origine consuetudinaria e connotate da non irrilevanti tratti distintivi [9]. Infatti, non solo esso si differenzia dal diritto sul sepolcro [10], ossia quel particolare diritto reale sul manufatto sepolcrale assimilabile al diritto di superficie [11]; ma deve essere tenuto distinto anche dallo ius sepulchri propriamente detto, il quale presuppone che taluno sia titolare di un determinato manufatto funerario e che, a seconda del suo contenuto e dei soggetti che possono esercitarlo, può rilevare come diritto al sepolcro primario («ius sepeliendi») o diritto al sepolcro secondario [12].
In tale ultima accezione il diritto di sepolcro tutela il sentimento di pietas di coloro che sono legati al defunto da un rapporto di tipo familiare o affettivo, tramite l'attribuzione della facoltà di accedere al luogo di sepoltura e di opporsi agli atti di violazione del sepolcro o alla lesione della memoria di chi vi riposa [13].
Al contrario, il diritto primario di sepolcro consiste nella facoltà che taluno ha di essere seppellito in uno specifico manufatto oppure di seppellirvi altri («ius inferendi mortuum in sepulchrum») [14] e può rilevare come diritto al sepolcro familiare o diritto al sepolcro ereditario: nella prima ipotesi sono titolari del diritto gli appartenenti alla cerchia familiare del de cuius [15], indipendentemente dalla loro qualifica di eredi, mentre nel sepolcro ereditario la titolarità spetta proprio ai successori del fondatore, al di là della loro appartenenza alla cerchia dei suoi familiari [16].
Per quanto oggetto di interesse in questa sede, è dato rilevare come lo ius eligendi sepulchrum si discosti concettualmente dal diritto alla propria tumulazione in determinato manufatto sepolcrale (diritto primario di sepolcro). Mentre lo ius sepeliendi presuppone la titolarità del diritto reale sul manufatto funerario e il suo esercizio si esaurisce nell'indicazione della volontà di essere ivi deposto, lo ius eligendi sepulchrum ha una portata più ampia, in quanto prescinde da questa titolarità e non è limitato alla facoltà di usufruire del manufatto. Esso, infatti, attiene innanzitutto alle modalità con cui le proprie spoglie devono essere trattate – ossia mediante sepoltura/tumulazione del cadavere, oppure cremazione [17] – e solo in un secondo momento coinvolge la scelta in ordine al luogo dell'ultimo riposo, il quale può coincidere, eventualmente, con la cappella funeraria ove insiste il diritto di sepolcro primario.
Tuttavia, sebbene le due situazioni giuridiche non siano pienamente sovrapponibili, essendo diverso il loro ambito applicativo, si può ritenere che l'esercizio del diritto primario di sepolcro costituisca espressione della (più) generale facoltà di scegliere il luogo e il modo della propria sepoltura, ossia del c.d. ius eligendi sepulchrum. Circostanza, questa, che, da una parte, dimostra che le situazioni giuridiche patrimoniali – come il diritto reale sul manufatto – possono essere deputate in via primaria al soddisfacimento di interessi di natura esistenziale [18] (anzi, in questo caso più che mai una simile destinazione appare evidente), dall'altra conferma, contrariamente a quanto tradizionalmente affermato [19], il carattere non già patrimoniale, ma personale dello ius sepeliendi [20].
2 . Ius eligendi sepulchrum e testamento
Esaminando i negozi attraverso i quali il soggetto può disporre delle proprie spoglie mortali, è dato rilevare come il primo e più immediato riferimento sia rappresentato dal testamento, quale veicolo naturale – o quantomeno il più frequente – per l'emissione delle ultime volontà [21].
Preliminarmente è opportuno evidenziare che l'atto con cui il disponente esprime tale volontà ha carattere non patrimoniale, dato che esso è diretto a regolare interessi di natura squisitamente esistenziale e che in alcun modo attiene alla regolamentazione post mortem degli aspetti patrimoniali legati al fenomeno successorio. Tale qualificazione non pare poter essere messa in discussione neppure quando l'esecuzione dell'atto presupponga o determini lo svolgimento di attività suscettibili di valutazione economica, dovendosi invece riconoscere una preminente rilevanza alla natura immateriale degli interessi del disponente, così da qualificare gli eventuali costi come elementi meramente accidentali e strumentali alla realizzazione delle esigenze del de cuius. Si è affermato [22], infatti, che la patrimonialità della prestazione, di per sé, non può modificare il carattere non patrimoniale dell'interesse sotteso al singolo atto, per cui, anche qualora gli eredi debbano sostenere un sacrificio economico (si pensi ai costi della sepoltura), questo deve intendersi solo come un mezzo per la realizzazione dell'interesse concreto che è alla base della singola disposizione, senza incidere sulla natura dello stesso.
Ciò posto, non si nutrono particolari dubbi circa la possibilità di inserire le disposizioni sulle sorti delle proprie spoglie in un testamento, pur mancando un'espressa previsione normativa in tal senso. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto da un orientamento ormai risalente [23], in dottrina si è ormai chiarito che le disposizioni di carattere non patrimoniale, di cui all'art. 587, comma 2, c.c., possono essere validamente espresse in forma testamentaria anche al di là dei casi in cui la legge lo preveda [24], purché nei limiti di liceità e meritevolezza secondo l'ordinamento giuridico [25].
Così, il testatore, oltre ad esprimere una scelta in ordine alla destinazione della propria salma, può inserire nel negozio una clausola mediante la quale conferisce a una persona di fiducia l'incarico a curare il trattamento delle proprie spoglie mortali (c.d. mandato testamentario) [26]. Si tratta di disposizioni mediante le quali il de cuius attribuisce a un terzo un potere gestorio per la realizzazione dei suoi intimi e personali interessi per il tempo successivo alla morte e che, com'è stato rilevato [27], non possono essere propriamente ricondotte allo schema del mandato ex artt. 1703 ss. c.c. in quanto, sebbene l'incaricato svolga un'attività ad esso assimilabile, non sono qualificabili come contratti, dato che l'atto di conferimento del potere è unilaterale e che dunque manca un procedimento negoziale idoneo alla formazione di un accordo [28].
Al contrario, tali disposizioni sembrano più propriamente assimilabili ai negozi autorizzativi, unilaterali, recettizi e revocabili ad nutum con cui si conferisce a terzi un determinato potere gestorio e perciò possono ritenersi compatibili con i principi generali in tema di validità ed efficacia di questi [29].
Inoltre, data la stretta connessione degli interessi sottesi a tali fattispecie con la sfera intima e personale del testatore, nonché l'affinità delle attività oggetto di incarico con quelle proprie del mandato ex contractu, la disciplina applicabile ai negozi in esame non potrà trarsi unicamente dalle regole dettate in materia testamentaria, ma dovrà essere il frutto di una giusta commistione fra le regole proprie dell'atto di ultima volontà – in particolare i principi di unilateralità, personalità e revocabilità dell'atto, spontaneità del volere e vizi della volontà – e le norme di cui agli artt. 1703 ss. c.c. [30].
Del resto, si è autorevolmente chiarito che l'individuazione della disciplina del caso concreto non deve avvenire mediante un acritico ricorso al metodo della sussunzione, bensì attraverso un'attenta analisi degli interessi sottesi al negozio e, dunque, alla sua funzione [31]. Con la conseguenza di poter attingere non solo alle regole dettate per i negozi mortis causa, ma anche a quelle proprie degli atti inter vivos, sul presupposto che i due settori non sono compartimenti stagni, incapaci di comunicare tra loro, ma che, al contrario, debba essere istituito tra di essi un dialogo reciproco, che sia funzionale all'individuazione della disciplina più idonea ad assicurare la realizzazione dei desiderata del de cuius, nei limiti di compatibilità, adeguatezza e congruità [32].
3 . Il ricorso agli atti di ultima volontà diversi dal testamento
Occorre allora chiedersi se il novero degli atti con cui è possibile disporre delle proprie spoglie mortali [33] si esaurisca nel solo testamento, oppure se la relativa volontà possa essere validamente veicolata anche attraverso altri negozi.
Al riguardo, viene in rilievo la questione attinente alle forme con cui gli atti mortis causa di carattere non patrimoniale possono essere validamente espressi nel nostro ordinamento.
Infatti, basandosi su ciò cui sembrerebbe deporre, prima facie, la lettera dell'art. 587, comma 2 c.c. [34], tradizionalmente si afferma che l'unico mezzo con cui è possibile disporre per il tempo successivo alla propria morte, anche relativamente agli interessi di carattere non patrimoniale, è il testamento, con le sue forme e formalità [35]. Secondo siffatto orientamento, il negozio testamentario rappresenterebbe un mezzo insostituibile per l'espressione delle proprie ultime volontà, tanto di carattere patrimoniale quanto di natura esclusivamente esistenziale, come le decisioni in ordine alla sepoltura.
Tuttavia, a una lettura del dato normativo conforme con i principi che regolano i negozi mortis causa è possibile giungere a una soluzione diversa. Infatti, l'interpretazione sistematica delle norme di cui agli artt. 458, 587 e 588 c.c., in linea con l'attuale sistema successorio e coerente con il principio di tipicità delle fonti di delazione di cui all'art. 457, comma 1, c.c., induce a ritenere che al testamento sono riservate solo le disposizioni patrimoniali dirette a incidere sull'allocazione delle sostanze relitte [36], con la conseguenza che quelle che non attengono al fenomeno patrimoniale-attributivo possono essere espresse anche mediante altri atti [37]. In questa prospettiva, il capoverso dell'art. 587 c.c., laddove riconosce efficacia alle disposizioni di carattere non patrimoniale «se contenute in un atto che ha la forma del testamento», assume un significato permissivo [38]; esso, cioè, non intende limitare al solo testamento le disposizioni non patrimoniali – come se dovessero necessariamente esservi comprese – ma, al contrario, intende permettere che esse siano contenute in un atto di ultima volontà avente la forma del testamento [39].
Il che significa che i profili successori non aventi carattere attributivo-patrimoniale, in specie quelli esistenziali, non reclamano necessariamente un testamento, ma possono essere regolati anche attraverso atti di ultima volontà diversi da esso, la cui forma, laddove non sia espressamente prevista dalla legge, dovrà declinarsi diversamente a seconda degli interessi e della funzione sottesi all'atto stesso [40].
A conferma di questa impostazione, è dato rilevare che proprio in materia di disposizione delle spoglie mortali sono previste, già a livello normativo, talune ipotesi di atti diversi dal testamento.
È il caso, innanzitutto, della normativa in tema di cremazione e dispersione delle ceneri di cui alla l. 20 marzo 2001, n. 130, ove, all'art. 3 dapprima si stabilisce che la volontà del soggetto (che per espressa previsione normativa prevale sul diverso parere dei familiari) può essere manifestata in una disposizione testamentaria [41], ma poi si prevede che la decisione sulla cremazione non possa essere eseguita qualora «i familiari presentino una dichiarazione autografa del defunto contraria alla cremazione» e successiva alla precedente manifestazione di volontà. In sostanza, si prescrive che la revoca della disposizione testamentaria può essere validamente espressa non già rispettando gli stessi requisiti formali con cui deve porsi la scelta della cremazione (soluzione, questa, che sarebbe coerente con la qualificazione di tale dichiarazione come contrarius actus), ma con un atto per il quale è richiesto unicamente il requisito dell'autografia [42].
Al riguardo, visto che mediante un atto diverso dal testamento si può revocare una disposizione testamentaria, è dato ritenere che anche la decisione stessa in ordine alle sorti delle proprie spoglie mortali possa essere espressa, oltre che in forma testamentaria, con un atto diverso dal testamento [43].
In questa prospettiva, è possibile richiamare l'art. 3, comma 1, lett. b), n. 3 della citata legge, il quale prevede che la decisione sulla cremazione spetta ai familiari del de cuius solo «in mancanza della disposizione testamentaria, o di qualsiasi altra espressione di volontà da parte del defunto». Norma, questa, che se da una parte conferma la preminente rilevanza attribuita alla volontà espressa del defunto, dall'altra lascia intendere che la decisione sulla cremazione possa essere manifestata senza particolari rigori formali [44].
In altri termini, essa conferma l'idea che la determinazione in ordine alla cremazione del proprio cadavere e alla dispersione delle ceneri [45] può essere manifestata con un atto di ultima volontà diverso dal testamento, per la cui validità non sono prescritti particolari requisiti formali, essendo sufficiente una «qualsiasi espressione di volontà» [46].
Per di più, anche di recente il legislatore ha ampliato il novero degli atti con cui è possibile dettare disposizioni relative alla destinazione e al trattamento della salma, prescrivendo requisiti di forma diversi da quelli di cui agli artt. 601 ss., c.c. Difatti, al comma 40, lett. b) dell'art. 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76 si riconosce a ciascun convivente di fatto la facoltà di designare l'altro quale rappresentante [47], con poteri pieni o limitati, «in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie» mediante un atto per cui, ai sensi del successivo comma 41, è richiesta la forma scritta e autografa, oppure una dichiarazione rilasciata in presenza di un testimone, in caso di impossibilità a scrivere del disponente [48].
Sebbene non si possa negare che in molti casi l'autografia coinvolga anche la data e la sottoscrizione [49], così da rendere la designazione in oggetto rispettosa dei requisiti formali previsti per il testamento olografo, non sembra però che essa possa essere qualificata come disposizione testamentaria in senso tecnico per il solo fatto che è richiesto un simile requisito formale [50]. Infatti, non si può non attribuire rilevanza al fatto che il legislatore abbia previsto un requisito di forma che, quantunque simile alle caratteristiche formali del testamento (olografo), è nondimeno diverso da esse [51]. Il che risulta confermato, altresì, dalla circostanza che, in caso di impossibilità a redigere le proprie ultime volontà, sia prevista la facoltà di rendere la medesima dichiarazione in forma orale: se si trattasse di fattispecie testamentarie, sarebbe stato sufficiente richiamare le forme del testamento per atto notarile, tramite le quali anche chi è impossibilitato a scrivere può validamente manifestare la propria volontà.
Peraltro, proprio recentemente la Corte di cassazione, in una pronuncia concernente le decisioni in ordine al luogo e al modo della sepoltura, ha precisato che la relativa scelta spetta ai prossimi congiunti del de cuius solo qualora da parte di quest'ultimo non risulti espressa «in qualunque modo» alcuna volontà [52]. Il che pare confermare che un siffatto intendimento possa essere manifestato non solo tramite un atto scritto diverso dal testamento, ma anche in forma orale.
Ponendosi in linea con tale orientamento, è dato rilevare che, quando viene in gioco la sistemazione di interessi legati alla destinazione della propria salma – cioè esigenze di natura esistenziale – si rende necessario un approccio ermeneutico flessibile che, valorizzando i principi che governano i negozi con cui è possibile disporre per il tempo successivo alla morte, nonché la particolare natura degli interessi rilevanti, induca a non circoscrivere l'autonomia privata al solo testamento, dato che la volontà della persona può essere espressa, senza particolari rigori formali, tramite atti diversi.
4 . L'ammissibilità del mandato post mortem exequendum
Le citate disposizioni di legge [53] dimostrano altresì come anche a livello normativo si sia riconosciuto che la regolamentazione degli interessi legati alle sorti delle proprie spoglie mortali possa passare attraverso il conferimento di un incarico ex contractu. Infatti, è dato ritenere che la designazione di un terzo cui affidare il compito di realizzare una siffatta esigenza esistenziale post mortem possa avvenire non solo mediante un atto di ultima volontà, ma anche attraverso lo strumento contrattuale [54].
Del resto, anche la Suprema Corte, in più di un'occasione [55], ha riconosciuto la possibilità di esercitare lo ius eligendi sepulchrum attraverso il ricorso al c.d. mandato post mortem exequendum [56].
Il riferimento è al contratto con cui il de cuius conferisce a una persona ritenuta particolarmente meritevole di fiducia, nonché disinteressata alle vicende economiche derivanti dalla morte del dominus, l'incarico di curare la realizzazione di taluni profili personali della propria successione e che, nonostante la natura mortis causa del negozio [57], non si pone in contrasto con il divieto dei patti successori. Difatti, le ragioni sottese alla proibizione di cui all'art. 458 c.c., essenzialmente legate al fenomeno circolatorio della ricchezza post mortem, non sembrano venire in rilievo quando l'accordo abbia una funzione non già dispositiva dei beni relitti, ma attuativa di interessi rilevanti esclusivamente nella sfera personalistica del disponente [58].
Pertanto, è proprio la natura esistenziale degli interessi sottesi a tali negozi che ne determina la lontananza dalle fattispecie vietate, dato che essi non sono diretti a incidere sul fenomeno dispositivo-allocativo del relictum, ma a realizzare unicamente le aspirazioni ultraterrene del dominus. Né la suscettibilità di valutazione economica della prestazione cui è tenuto l'incaricato – la quale, peraltro, può essere retribuita per espressa previsione del mandante – può incidere sulla natura e sul giudizio di validità di tali accordi, poiché tali elementi – si è visto – si pongono in un rapporto di mera strumentalità rispetto alla funzione del mandato, che resta pur sempre non patrimoniale [59].
In questa prospettiva pare porsi anche la giurisprudenza di legittimità, la quale ha precisato che le spese per le onoranze funebri e per la sepoltura del de cuius sono «da comprendere tra i pesi ereditari, cioè tra quegli oneri che sorgono in conseguenza dell'apertura della successione e, pur dovendo essere distinti dai debiti ereditari – cioè dai debiti esistenti in capo al de cuius e che si trasmettono, con il patrimonio del medesimo, a coloro che gli succedono per legge o per testamento – gravano sugli eredi per effetto dell'acquisto dell'eredità» [60], così lasciando intendere che il negozio con cui la persona regola il trattamento delle proprie spoglie non si traduce in un atto dispositivo dei beni ereditari, anche se la sua esecuzione implica lo svolgimento di un'attività rilevante sotto il profilo economico.
Né la validità del contratto di mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante pare poter essere messa in discussione alla luce della regola mandatum morte finitur di cui all'art. 1722, n. 4, c.c. Al riguardo, dottrina [61] e giurisprudenza [62] hanno da tempo chiarito che detta norma ha natura derogabile, visto che essa, contrariamente alla regola che statuisce l'estinzione del mandato in caso di interdizione o inabilitazione del mandante, è posta a tutela di interessi di carattere individualistico e non superindividuale [63]. Infatti, in caso di morte del mandante, ad assumere rilievo è unicamente l'opportunità di evitare che gli eredi, nell'amministrazione del patrimonio ereditario nel loro personale interesse, siano vincolati dalle scelte operate dal de cuius [64]. Ma, poiché il mandato è solitamente diretto a realizzare in via esclusiva gli interessi del dominus e non quelli degli eredi, è dato ritenere che l'assetto contrattuale delineato dal mandante debba prevalere sulle ragioni dei suoi successori universali e che pertanto la regola mandatum morte finitur possa essere derogata [65].
Per di più, di recente il legislatore ha conferito espresso riconoscimento alla fattispecie del mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante, stabilendo che taluni diritti relativi ai dati personali delle persone decedute (cfr. artt. 15-22 Reg. UE 2016/679) possono essere esercitati da parte di chi agisce nell'interesse del defunto in qualità di suo mandatario (art. 2-terdecies, d.lgs. n. 101/2018) [66]. Pertanto, essendo espressamente prevista un'ipotesi di mandato post mortem exequendum,la questione relativa alla compatibilità di tale schema contrattuale con il principio di intrasmissibilità del rapporto agli eredi del mandante può dirsi ormai risolta.
Così, il conferimento di un incarico di matrice contrattuale può rivelarsi un valido e utile strumento per ottenere il desiderato trattamento delle proprie spoglie, dato che, peraltro, gli accordi in esame non sono soggetti alle forme richieste per il testamento e che quindi possono essere conclusi anche verbalmente [67]. Oltretutto, le esigenze di celerità di esecuzione richieste dalle disposizioni sulla sepoltura possono essere più adeguatamente soddisfatte tramite tali negozi, i quali, non essendo soggetti alla fase pubblicistica propria del testamento, consentono all'incaricato di attivarsi immediatamente, senza che i ritardi dovuti all'espletamento di tali formalità possano compromettere la realizzazione della volontà del disponente [68].
5 . Considerazioni conclusive
Dalle considerazioni svolte emerge che la regolamentazione post mortem di taluni interessi esistenziali, come quelli legati alla sepoltura, è affidata a regole e principi in parte diversi da quelli che si pongono alla base dei negozi patrimoniali. Infatti, è proprio la caratterizzazione esistenziale degli interessi sottesi alla scelta in ordine alla destinazione e al trattamento della salma che, da una parte, impone di riconoscere non solo giuridica rilevanza alla volontà del disponente, ma altresì la sua prevalenza sulla diversa determinazione dei suoi superstiti; dall'altra, consente il ricorso a strumenti negoziali – unilaterali o bilaterali – ulteriori e diversi dal testamento. Negozi, questi, che proprio perché non incidenti sul principio di tipicità delle fonti della delazione, non sono soggetti alle prescrizioni formali dettate in materia testamentaria, rivelandosi, così, strumenti particolarmente duttili e capaci di assicurare un'adeguata sistemazione alle esigenze ultraterrene della persona.
In questa materia, dunque, il limite non è più rappresentato dal tipo negoziale o dalla disciplina formale richiesta per il negozio di ultima volontà, bensì dalla conformità della destinazione che il de cuius ha inteso dare ai suoi resti mortali con l'ordine pubblico, il buon costume, le norme poste a tutela della pubblica igiene e, soprattutto, col rispetto della dignità propria anche delle spoglie umane.
Riferimenti bibliografici:
[1] L. Bacchielli, Introduzione a J.M.C. Toynbee, Morte e sepoltura nel mondo romano, Roma, 1993, VIII.
[2] Scrive P. Ariès, Storia della morte in occidente, trad. di S. Vigezzi, Milano, 1982, 155: «La solitudine dell'uomo davanti alla morte è lo spazio in cui questi prende coscienza della sua individualità, e le clausole pie del testamento sono i mezzi per salvare questa individualità dalla distruzione temporale e conservarla nell'al di là».
[3] Cass. 27 marzo 1958, n. 1033, in Foro it., 1958, I, c. 529 ss., spec. 531; Cass. 9 maggio 1969, n. 1584, in Foro it., 1969, c. 3193 ss.; Cass. 21 novembre 1970, n. 2475, in Giur. it., 1971, I, 1021 ss.; Cass. 4 aprile 1978, n. 1527, in Foro it., 1978, c. 2524 ss.; Cass. 13 marzo 1990, n. 2034, in dejure online; Cass., ord. 14 novembre 2019, n. 29548; Cons. St., sez. I, 15 febbraio 2021, n. 194, in giustiziaamministrativa.it; Cass., sez. I, 13 luglio 2022, n. 22180.
[4] Invero, non si dubita che il diritto di scegliere il luogo e il modo della sepoltura del defunto spetti ai suoi prossimi congiunti solo in via sussidiaria, cioè in mancanza di un'espressa manifestazione di volontà del de cuius. Secondo alcuni, poi, tale diritto avrebbe un'estensione meno ampia rispetto a quello dell'individuo alla destinazione dei propri resti mortali, in quanto il loro ventaglio di scelte circa il trattamento del cadavere sarebbe limitato al solo luogo della sepoltura, non potendo riguardare anche destinazioni diverse da essa, come è a dirsi, ad esempio, per la cremazione. Cfr., G. Bonilini, Il diritto al sepolcro, in Tratt. dir. succ. don., dir. da G. Bonilini, I, La successione ereditaria, Milano, 2009, 819.
[5] Cfr. A. Cocco, «Ius effugendi sepulchrum». Disposizioni in favore (della dispersione) dell'anima, in Rass. dir. civ., 2020, n. 2, 547. Al riguardo, è dato ritenere che sia proprio la connessione con tali valori ad imporre di riconoscere una spiccata rilevanza alla volontà del soggetto, senza che possano assumere rilevanza eventuali differenziazioni dettate da motivi religiosi. In questa prospettiva, la tutela giuridica apprestata dall'ordinamento opera indipendentemente dall'esistenza di un'intesa tra la confessione religiosa e lo Stato, nonché dalle preclusioni che talune religioni possono imporre allo svolgimento di certi riti.
[6] Cfr. A. De Cupis, I diritti della personalità, in Tratt. dir. civ. e comm., dir. da A. Cicu e F. Messineo, t. I, Milano, 1973, rist. spec., 190; F. Carresi, voce Sepolcro (Diritto vigente), in Noviss. Dig. it., XVII, Torino, s.d., ma 1970, 33 ss.; A. Ansaldo, voce Sepolcro, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., XVIII, s.d. ma 1998, 453 ss.; P. Perlingieri, Sul diritto ad essere inumato nella cappella «familiare», in Rass. dir. civ., 1980, 1056; G. Bonilini, Il diritto, sussidiario, dei famigliari in merito alla sepoltura del congiunto, nota a Trib. Velletri, sez. I, 1° marzo 2019, n. 391, in Fam. dir., 2, 2020, 145 ss.
[7] B. Cormio, Diritto di scelta della sepoltura, in Giur. it., 1958, I, 1, c. 1261.
[8] G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2015, 814 ss.
[9] Sul tema, ex multis, A. Reina, Contributo alla classificazione analitica dei diritti di sepolcro, Milano, 1947, 19 ss.; C.A. Funaioli, Osservazioni sul diritto di sepolcro, in Giust. civ., 1954, I, 1414 ss.; D. Pirozzi, voce Sepoltura, in Enc. giur., XV, II, sez. I, Milano, 1915, 661 ss.; M. Petrone, voce Sepolcro e sepoltura, (dir. priv.), in Enc. dir., XLII, 1990, 24 ss.; A.C. Jemolo, Fondamenti del diritto di sepolcro, in Giur. it., 1956, I, 1, c. 53 ss.; F. Carresi, voce Sepolcro, cit., 33 ss.; G. Musolino, Il diritto di sepolcro: un diritto al plurale, in Riv. not., 2001, 471 ss.; Id., Il diritto di sepolcro, in Riv. dir. civ., 2009, 63 ss.; P. Perlingieri, I diritti del singolo quale appartenente al gruppo familiare, in Rass. dir. civ., 1982, 434 ss.; A. Spatuzzi, Brevi note in tema di diritto di sepolcro, in Vita not., 2009, 1769 ss.
[10] Il termine «sepolcro» indica il luogo destinato ad accogliere, mediante la sepoltura, i resti della persona defunta. Esso può essere collocato sottoterra (tumulo), oppure da essa elevato, in tal caso parlandosi di loculo, sarcofago o nicchia. Così, G. Bonilini, Il diritto al sepolcro, cit., 789-790; M. Petrone, op. cit., 24; ma anche A. Ansaldo, voce Sepolcro, cit., 453. Secondo la definizione di Ulpiano, «sepulchrum est ubi corpus ossame hominis condita sunt»; «sepulcri autem appellatione omnem sepolturae locum contineri existimandum est» (D. 11, 7, 25; D. 47, 12, 3, 2).
[11] Al riguardo, cfr. G. Musolino, Il diritto di sepolcro, cit., 475 ss.; G. Pugliese, Superficie, in Comm. cod. civ. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro terzo. Della proprietà (Art. 810-956), Bologna-Roma, 1976, 1414 ss. In giurisprudenza, v. Cass. 25 maggio 1983, n. 3607, in Foro it. Rep., voce Sepolcro, n. 2; Cass. 30 maggio 1984, n. 3311, in Riv. giur. edil., 1984, IV, 647 ss.; Cass., sez. un., 7 ottobre 1994, n. 8197, in Notariato, 1996, 355 ss., con nota di G. Scarano, Il c.d. «diritto al sepolcro»; Cass. 15 settembre 1997, n. 9190, in Foro it. Mass., 1997, 904; Cass. 15 giugno 1999, n. 5823; Cass. 10 gennaio 2019, n. 467. In dottrina non mancano tuttavia opinioni diverse, che tendono a qualificare il sepolcro come diritto di servitù: P. Del Prete, Natura giuridica dei cimiteri e diritti del concessionario, in Giur. it., 1939, III, 5 ss.
[12] Tali distinzioni sono ormai accolte pacificamente. Per una trattazione approfondita si vedano, tra gli altri, G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 814 ss.; M. Petrone, op. cit., 28 ss.; A. Cocco, «Ius effugendi sepulchrum», cit., 534 ss.; M.R. Mottola, voce Sepolcro, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg., Torino, 2013, 682 ss.; M. Pucci, Osservazioni in tema di diritto di sepolcro, in Corti umbre, 2013, 810 ss.
[13] Cfr. A. Reina, Contributo, cit., 95; M. Petrone, op. cit., 31; G. Capozzi, op. cit., 816; F. Carresi, Sepolcro, cit., 35 ss., secondo il quale tale diritto difetta del potere di uso sulla cosa che consentirebbe di riconoscergli il carattere della realità. Al contrario, secondo l'A. esso sarebbe qualificabile come diritto personale di godimento spettante a determinati soggetti, indipendentemente dalla titolarità del diritto reale sul sepolcro o del diritto primario. In merito, v. anche A. Arfani, Il diritto al sepolcro, nota a TAR Pescara, sez. I, 3 dicembre 2014, n. 481, in Fam. dir., 2016, 187 ss.
[14] La possibilità di far seppellire i propri cari nel sepolcro sussiste, com'è evidente, solo qualora il manufatto rilevi come sepolcro collettivo, cioè destinato – già nell'atto di fondazione – ad accogliere le salme di più persone. Al riguardo, si può ritenere che la disposizione testamentaria con cui il titolare del diritto attribuisca ad altri lo ius sepulchri sia qualificabile come legato. Ma, affinché ciò sia possibile è necessario che il fondatore non abbia riservato tale diritto per sé e per i propri familiari, oppure, trattandosi di sepolcro familiare, quando il testatore sia l'ultimo membro della sua famiglia (circostanza, questa, al verificarsi della quale il diritto primario di sepolcro da familiare si trasforma in ereditario). Sul tema, cfr. G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 819-820.
[15] Viste le profonde modifiche che il concetto di famiglia ha subìto negli ultimi anni, emerge la necessità di individuare i soggetti che attualmente possono rientrare nella cerchia dei familiari aventi diritto al sepolcro. Al riguardo, in seguito all'entrata in vigore della l. 20 maggio 2016, n. 76, si può ritenere, come recentemente affermato (cfr. M. Ramuschi, Su alcune variazioni in tema di sepolcro, nota a Cass. 20 agosto 2019, n. 21489, in Dir. fam. pers., 2020, n. 3, 704 ss.; B. De Filippis, Unioni civili e contratti di convivenza. Aggiornato alla legge 20 maggio 2016, n. 76 (G.U. n. 118 del 21 maggio 2016), Padova, 2016, 214 ss.), che la nozione di famiglia qui rilevante ricomprenda non solo la famiglia fondata sul matrimonio, ma anche quella originante da un'unione civile. In questo senso depongono, da una parte, il dato normativo della l. n. 76/2016 che, a più riprese, tende a parificare la posizione dell'unito civilmente a quella del coniuge (cfr., ad esempio, l'art. 1, comma 12, che espressamente discorre di "vita familiare", oppure l'art. 1, comma 21, che estende la qualifica di legittimario alle parti dell'unione civile, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di quota di riserva o di diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare, ecc.), dall'altra e più in generale, l'impianto assiologico dell'intero ordinamento, che suggerisce di adottare una concezione ampia di famiglia, così da dare adeguato rilievo all'«intensità giuridica e morale» che caratterizza il rapporto nascente dall'unione civile (P. Zatti, Introduzione al Convegno, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1664).
Muovendosi in questa logica, non appare assurdo ipotizzare altresì che anche il convivente more uxorio possa essere ricompreso tra i soggetti che hanno diritto alla tumulazione nel sepolcro familiare. Da tempo, infatti, è stata valorizzata la rilevanza, anche costituzionale, del legame affettivo che può instaurarsi in presenza di una convivenza stabile e duratura, così da riconoscere al convivente diritti che prima erano esclusivo appannaggio del coniuge e dei parenti (cfr., ad esempio, Cass., sez. III, 16 giugno 2014, n. 13654, in Foro it., 2014, c. 2055; ma anche Trib. Frosinone 21 agosto 2017, n. 1057, in Nuova Temi Ciociara, 2018, 31 ss., con nota di E. Fernandes, Ius eligendi sepulchrum e convivenza di fatto, secondo cui, in mancanza di un'espressa volontà del defunto, il convivente more uxorio è il soggetto più idoneo ad esercitare, in via sussidiaria, il diritto di scelta del luogo di sepoltura del de cuius). Pertanto, tenuto conto dell'evidente funzione solidaristica del sepolcro familiare, non sembra affatto fuori luogo ritenere che anche nelle convivenze more uxorio vengano in rilievo quei valori di stretta solidarietà che giustificano l'inclusione del convivente superstite tra coloro che hanno titolo all'accoglimento dei propri resti mortali nel sepolcro familiare del convivente deceduto (cfr. G. Bonilini, Il diritto al sepolcro, cit., 855).
Infine, occorre chiedersi se il perimetro della famiglia che nel diritto di sepolcro viene in considerazione sia circoscritto ai legami retti da un vincolo di sangue, oppure se possa riconoscersi una maggiore rilevanza all'affectio familiare, indipendentemente dalla presenza di un vincolo parentale in senso stretto. Al riguardo, è dato rilevare che la giurisprudenza, dando seguito a una mai sopita consuetudine, sembra orientata verso l'accoglimento di una nozione ristretta di famiglia, in virtù della quale il diritto alla tumulazione spetterebbe solamente a coloro che sono legati al fondatore da un vincolo di sangue (cfr., ex multis, Cass. 20 agosto 2019, n. 21489, cit.; Cass., sez. un., 28 giugno 2018, n. 17122, in Fam. dir., 2019, 392 ss. con nota di M. Boselli, La vis expansiva dell'institutio ex re certa, e il legato di usufrutto generale, in relazione allo ius sepulchri; Cass. 27 settembre 2012, n. 16430, in Riv. not., 2012, 1365 ss., con nota di G. Musolino, Il diritto di sepolcro nel sepolcro familiare o gentilizio; Cass. 29 settembre 2000, n. 12957, in Riv. not., 2001, 469 ss.), con conseguente esclusione, ad esempio, dei figli adottivi, dei figli adottivi dei discendenti, dei figli nati fuori dal matrimonio e di quelli incestuosi, oppure del coniuge e della parte unita civilmente dei discendenti. Tuttavia, una simile impostazione non pare avere una giustificazione apprezzabile alla luce né dell'attuale concezione di famiglia, né tantomeno dei valori solidaristici su cui si fonda, come si è detto, l'istituto del sepolcro familiare. Pertanto, appare preferibile ricorrere, anche in queste ipotesi, a una nozione ampia di famiglia, così da poter dare adeguata rilevanza al legame affettivo che, oggi, caratterizza i rapporti familiari ben oltre quello di sangue (cfr. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, 4° ed., III, Situazioni soggettive, Napoli, 2020, 472 ss., il quale afferma: «Ragioni di natura socio-giuridica, ormai acquisite anche dal costume civile, inducono a non limitare al sangue la tutela familiare e individuale» (474); M. Ramuschi, op. cit., 706-707).
[16] In quest'ultimo caso, lo ius sepulchri si acquista secondo le ordinarie regole della successione, a differenza del diritto di sepolcro gentilizio, nel quale, si ritiene, non opera un acquisto iure successionis, ma iure proprio per il solo fatto di trovarsi in un dato rapporto familiare con il fondatore. Il che rileva anche in merito al regime circolatorio: il sepolcro ereditario, infatti, è ritenuto liberamente trasmissibile sia inter vivos che mortis causa, mentre il sepolcro gentilizio è intrasmissibile, potendo unicamente costituire oggetto di rinuncia. L'attribuzione del carattere familiare o ereditario spetta al fondatore nell'atto istitutivo del sepolcro, dovendosi comunque tenere in considerazione qualsiasi circostanza che sia idonea ad accertare la sua volontà; al contempo, nel silenzio del fondatore, si ritiene che operi la presunzione per cui il sepolcro deve intendersi familiare (sibi familiaeque suae). Occorre ricordare, inoltre, che il sepolcro non solo può sorgere ab initio come ereditario, ma può anche diventarlo in un momento successivo, quando si estingua il ramo familiare, cioè a seguito del decesso dell'ultimo componente della cerchia familiare. In questa ipotesi, infatti, la classe degli aventi diritto, a titolo familiare, alla sepoltura viene meno e il sepolcro muta il proprio regime, divenendo appunto ereditario (in argomento, cfr. G. Bonilini, Il diritto al sepolcro, cit., 800 ss.; G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 818-819; M. Petrone, op. cit., 32 ss.).
[17] Si è infatti correttamente rilevato (A. Cocco, «Ius effugendi sepulchrum», cit., 548) che anche la volontà in ordine alla dispersione delle ceneri si configura come «un modo (sia pure di non essere) della sepoltura», costituendo dunque esercizio dello ius eligendi sepulchrum. Il che lascia intendere che anche la scelta di essere cremati costituisca esercizio di tale diritto.
[18] P. Perlingieri, La funzione sociale della proprietà nel sistema italo-europeo, in Le Corti Salernitane, 2016, 175 ss.; Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 295.
[19] In giurisprudenza è comune l'affermazione per cui tale diritto, sia pure con connotati peculiari dovuti alla natura delle res custodite nel sepolcro (i resti umani), avrebbe natura reale e pertanto patrimoniale, con la conseguenza di considerarlo trasmissibile sia inter vivos, a titolo gratuito od oneroso, sia per atto mortis causa. In questo senso, ex multis, TAR Abruzzo, Pescara, 3 dicembre 2014, n. 481, cit.; Cass., sez. un., 7 ottobre 1994, n. 8197, cit.; Cass., sez. un., 25 luglio 1964, n. 2063, in Giust. civ., 1965, 78; Cass., sez. un., 28 dicembre 1961, n. 2835, in Giur. it., 1963, 245, con nota di A.C. Jemolo, Atti di concessione ed interessi nascenti; Cass. 20 agosto 2019, n. 21489, cit.; Cass., sez. un., 28 giugno 2018, n. 17122, cit.
[20] L'orientamento tradizionale, secondo cui il diritto primario di sepolcro avrebbe natura reale, suscita alcune perplessità: da una parte una simile qualificazione sembra porsi in contrasto con il principio di tipicità dei diritti reali, dall'altra non considera che l'interesse che con lo ius sepeliendi viene tutelato (quello alla tumulazione in uno specifico sepolcro) trova piena realizzazione – e quindi può considerarsi estinto – una volta che il defunto venga in quel locus tumulato (cfr. F. Carresi, voce Sepolcro, cit., 35; A. Reina, Contributo, cit., 60 e, di recente, M. Ramuschi, Su alcune variazioni in tema di sepolcro, cit., 700). Pertanto, appare preferibile riconoscere a tale situazione giuridica natura personale, tenendo distinto il diritto reale avente ad oggetto la res, ossia il manufatto funerario, dal diritto ad essere in quel sepolcro tumulato (ius sepeliendi). Quest'ultimo dipende infatti dalla particolare destinazione data alla cosa (ossia la custodia dei resti umani), ma non trae da essa anche la natura, che pare da considerarsi, invece, di «diritto d'uso di natura personale» (F. Carresi, op. cit., 35; M. Ramuschi, op. cit., 730). Rileva P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 481-482 che il diritto all'inumazione «non va confuso con l'aspetto patrimoniale gestorio, che, nella fisionomia dell'istituto, assume un rilievo complementare e del tutto relativo». In giurisprudenza, sul carattere personale del diritto di essere seppelliti in un dato sepolcro, v. Cass. 15 settembre 1997, n. 9190, cit.; Cass. 10 gennaio 2019, n. 467, cit.
[21] Da una breve analisi degli archivi notarili è possibile rilevare che le clausole relative alla sepoltura non solo sono molto frequenti, ma spesso sono le prime disposizioni del negozio, seguite, poi, dalle prescrizioni di carattere patrimoniale. Un simile dato, maggiormente evidente nei testamenti in forma olografa, rappresenta un utile indicatore di come, sul piano sociale, l'esigenza di disciplinare le sorti delle proprie spoglie sia spesso avvertita addirittura con maggiore urgenza rispetto alla necessità di dettare le regole relative alla destinazione del patrimonio ereditario. Per la lettura di alcuni significativi esempi, vedi S. De Matteis, In piena facoltà… Tradimenti, denari e vendette: tutto quello che la gente scrive nei testamenti, Milano, 2006, passim.
[22] V. Putortì, Disposizioni mortis causa a contenuto non patrimoniale e potere di revoca da parte degli eredi, in Rass. dir. civ., 2014, 791-792; G. Perlingieri, La revocazione delle disposizioni testamentarie e la modernità del pensiero di Mario Allara. Natura della revoca, disciplina applicabile e criterio di incompatibilità oggettiva, in Rass. dir. civ., 2013, 764, nt. 105.
[23] Cfr. F.S. Azzariti-G. Martinez-G. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazione, Padova, 1979, 358.
[24]Cfr., ex multis,G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell'atto di ultima volontà, Milano, 1954, 11 ss.; G. Bonilini, Le disposizioni non patrimoniali. Introduzione, in Tratt. dir. succ. don. Bonilini, cit., II, La successione testamentaria, Milano, 2009,967 ss.; V. Cuffaro, Il testamento in generale: caratteri e contenuto, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, I, Padova, 1994, 756.
[25] G. Perlingieri, La disposizione testamentaria di arbitrato. Riflessioni in tema id tipicità e atipicità del testamento, in Rass. dir. civ., 2016, II, 500 ss.; V. Barba, Contenuto del testamento e atti di ultima volontà, Napoli, 2018, 106 ss.;A.A. Carrabba, Pianificazione successoria, disposizioni testamentarie e destinazioni: articolazioni del patrimonio e contrattualizzazioni nell'atto di ultima volontà, in Dir. succ. fam., 2018, 81, il quale precisa che il giudizio di meritevolezza (così come quello di liceità) deve riguardare le disposizioni testamentarie singolarmente considerate e la loro concreta funzione alla luce degli interessi coinvolti.
[26] Cfr., per tutti, V. Putortì, Gli incarichi post mortem a contenuto non patrimoniale tra testamento e mandato, in Persona e Mercato, 3, 2012, 137 ss.; G. Giampiccolo, op. cit., 122 ss.
[27] V. Putortì, op. ult. cit., 138-139; Id., Disposizioni mortis causa, cit., 796.
[28] In tali ipotesi, infatti, manca l'incontro tra le volontà delle parti, dato che l'atto avente la funzione di accettazione interviene solo dopo la morte del destinatario della proposta. Il che induce, da una parte, a considerare inapplicabili gli artt. 1329 e 1330 c.c., che stabiliscono la «ultrattività» della proposta quando questa sia irrevocabile o funzionale all'esercizio dell'attività d'impresa; dall'altra, a ritenere che l'eventuale irrevocabilità di una clausola testamentaria contenente una proposta del genere sarebbe non solo contraria al principio della libertà di disporre per il tempo successivo alla propria morte, ma anche discordante con la natura degli atti di ultima volontà, i quali per definizione devono avere struttura unilaterale e unipersonale. In questo senso, cfr. V. Putortì, Gli incarichi post mortem, cit., 139.
[29] G. Giampiccolo, op. cit., 127 ss., spec. 130-131, il quale sottolinea che tali disposizioni costituiscono «atti di ultima volontà», di tal che la loro validità non può essere valutata in relazione al mandato inter vivos, rispetto al quale può esservi analogia ma non certamente identità di struttura. In merito, v. anche V. Putortì, Gli incarichi, cit., 139, il quale sottolinea come la struttura unilaterale di tali negozi non ne comporti una deficienza funzionale, dato che non solo il legislatore prevede espressamente fattispecie simili (come la procura), ma anche perché «la struttura di un negozio costituisc[e] non già un prius, ma una conseguenza degli effetti che l'atto in concreto realizza, di guisa che essa non si identifica necessariamente ed esclusivamente con il tipo negoziale, ma varia in funzione degli scopi che i soggetti intendono perseguire».
[30] V. Putortì, op. ult. cit., 140.
[31] V. Barba, Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto delle successioni, in Dir. succ. fam., 2018, 769 ss.; P. Femia, Interessi e conflitti culturali nell'autonomia privata e nella responsabilità civile, Napoli, 1996, 307, nt. 325.
[32] V. Putortì, Disposizioni mortis causa, cit., 796 ss.; G. Perlingieri, La revocazione delle disposizioni testamentarie, cit., 763; Id., Invalidità delle disposizioni «mortis causa» e unitarietà della disciplina degli atti di autonomia, in Dir. succ. fam., 2016, 119 ss.; V. Barba, Contenuto del testamento, cit., 101 ss.; S. Landini, Le invalidità del negozio testamentario, Napoli, 2012, IX ss.; R. Tuccillo, La successione ereditaria avente ad oggetto le carte, i documenti, i ritratti e i ricordi di famiglia, in Dir. succ. fam., 2016, 173.
[33] Al riguardo, occorre precisare che gli atti di disposizione mortis causa non si identificano necessariamente col concetto di Verfügungstat di matrice tedesca, che peraltro mal tollererebbe l'avere ad oggetto le spoglie mortali. Al contrario, la nozione di disposizione mortis causa non è legata al solo profilo attributivo-traslativo, ma ha una valenza ben più ampia, in quanto comprende ogni manifestazione di volontà idonea a «regolare», «pianificare», «programmare» uno o più determinati interessi per il tempo in cui si avrà cessato di vivere. Sul tema, cfr., per tutti, G. Perlingieri, La disposizione testamentaria di arbitrato, cit., 459 ss.
[34] Tale orientamento si fonda sull'inciso contenuto nel secondo comma della norma, ove si afferma che le disposizioni di carattere non patrimoniale hanno efficacia anche in assenza di disposizioni patrimoniali «se contenute in un atto avente la forma del testamento».
[35] Cfr., ex multis, L. Barassi, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1945, 97; F. Santoro Passarelli, Istituzioni di diritto civile, 3° ed., Napoli, 1946, 158; L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Milano, 1949, 315; R. De Ruggiero-R. Maroi, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1950, I, 99; G. Stolfi, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1947, 45. In questo senso si è recentemente orientata anche una pronuncia di legittimità, cfr. Cass., sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1993, Riv. not., 2016, 967 ss., con nota di G. Musolino, Il riconoscimento del figlio naturale nel testamento, secondo cui il testamento rappresenta l'unico tipo negoziale mediante il quale è possibile disporre dei propri interessi per il tempo della morte.
[36] Il riferimento non è solo all'istituzione di erede e al legato, ma anche alla diseredazione (nei limiti in cui ne viene ammessa la validità) e alle disposizioni complementari o accessorie ad esse, come, ad esempio, le norme dettate dal testatore per la divisione, la condizione, il termine e il modus. Cfr. G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento, cit., 3.
[37] G. Giampiccolo, op. cit., 316 ss. e 326 ss.; V. Barba, Atti di disposizione, e pianificazione ereditaria, in Rass. dir. civ., 2017, 412; Id., Contenuto del testamento, cit.,145.
[38] In tal senso V. Putortì, Disposizioni mortis causa, cit., 800; G. Perlingieri, Il ruolo del giurista nella modernizzazione del diritto successorio tra autonomia ed eteronomia, in Dir. succ. fam., 2018, 4.
[39] In questa logica, tale norma induce a ritenere che le disposizioni a contenuto non patrimoniale integrino atti di ultima volontà autonomi e diversi dal testamento, che in esso possono essere contenuti ma che possono essere validamente posti in essere anche in forme diverse da quelle previste agli artt. 601 ss. c.c., dato che tali atti, non avendo funzione attributiva, non coinvolgono le esigenze sostanziali di applicabilità dei requisiti formali previsti per il testamento. Infatti, da una parte non sussiste la necessità di assicurare la piena consapevolezza del testatore circa le attribuzioni effettuate, stante il carattere liberale del negozio testamentario; dall'altra, non vengono in rilievo ragioni di tutela dei legittimari, i cui diritti non possono essere lesi da tali manifestazioni di volontà. Cfr. I. Sasso, Il formalismo testamentario nell'era digitale tra Stati Uniti e Italia, in Rass. dir. civ., 2018, 190, nt. 15; G. Giampiccolo, op. cit., 145 ss.
[40] V. Barba, Contenuto del testamento, cit., 145.
[41] Art. 3, comma 1, lett. b), nn. 1 e 2, l. n. 130/2001. La norma prescrive, altresì, che la volontà del de cuius possa risultare anche dall'iscrizione certificata dal rappresentante legale, ad associazioni riconosciute che abbiano tra i propri fini statutari la cremazione del cadavere dei propri associati, in tal caso ricavandosi presuntivamente la volontà implicita del defunto di essere cremato.
[42] Sulla nozione di documento autografo, cfr. M. D'Orazi Flavoni, Autografia, in Enc. dir., V, Milano, 1959, 335.
[43] V. Barba, Contenuto, cit., 153, il quale afferma che se la funzione della l. n. 130/2001 «è di dare rilevanza alla volontà del defunto, rispetto a un tale interesse esistenziale post mortem, non v'ha alcuna ragione di credere che la revoca della disposizione testamentaria, con la quale questa decisione sia stata assunta, possa essere manifestata con la dichiarazione autografa, mentre l'assunzione di una tale decisione debba essere assunta con il solo testamento». In senso contrario, tuttavia, v. G. Bonilini, Il diritto al sepolcro, cit., 831-833.
[44] V. Barba, op. loc. ult. cit.
[45] Con riferimento specifico alla dichiarazione di volontà relativa dispersione delle ceneri, la lett. c) dell'art. 3, l. cit., non prevede alcun requisito formale, limitandosi a stabilire che tale attività è consentita «nel rispetto della volontà del defunto». Ciò premesso, e considerato, altresì, che la determinazione in ordine alla dispersione delle ceneri presuppone che il soggetto intenda essere cremato, si può agevolmente ritenere che per le prescrizioni concernenti la conservazione e la dispersione delle proprie ceneri valgano le considerazioni svolte sulle disposizioni relative alla cremazione.
[46] Secondo la ricostruzione proposta, l'autografia richiesta dai nn. 1 e 2 della lett. b) dell'art. 3, rileva non già come elemento formale necessario per la validità dell'atto, ma ai soli fini di certezza della riferibilità dell'atto di ultima volontà al suo autore (cfr. V. Barba, Contenuto del testamento, cit., 153). Al riguardo si può richiamare quanto stabilito dalla Circolare del Ministero dell'Interno n. 37 del 1° settembre 2004, relativa alla manifestazione della volontà sulla cremazione della salma, ove si precisa che, qualora manchi una dichiarazione scritta del de cuius, i familiari, nel riferire la volontà in ordine alla cremazione del proprio caro, non esprimono la loro volontà, ma si fanno latori di un desiderio espresso in vita dal defunto, così che si rende necessaria, da parte loro, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (ex art. 38, comma 3, d.P.R. n. 445/2000). Del resto, la giurisprudenza, nell'intento di salvaguardare un simile desiderio post mortem, si dimostra flessibile, avendo più volte riconosciuto valore vincolante anche alla volontà verbalmente espressa dal de cuius ai propri familiari e attestata da questi ultimi tramite un'apposita dichiarazione conforme (cfr. TAR Umbria, Sez. I, 21 maggio 2018, n. 359, in giustizia-amministrativa.it, su cui v. D. Berloco, La dispersione delle ceneri. Manifestazione di volontà non necessariamente in forma scritta. La recente pronuncia del T.A.R. Umbria del 21 Maggio 2018, n. 359, in Lo stato civile italiano, 10, 2018, 5 ss.; TAR Lazio, Roma, 5 luglio 2017, n. 7860, in quotidianogiuridico.it; TAR Veneto 21 giugno 2013, n. 655, in giustizia-amministrativa.it; TAR Sardegna 5 febbraio 2014, n. 100, in Riv. giur. Sarda, 1, 2016, 199 ss.).
[47] Al riguardo, il richiamo al concetto di rappresentanza appare improprio, dato che la volontà del soggetto è destinata a prodursi quando questi non vi sarà più, così come anche l'attività del designato dovrà essere compiuta non prima della morte del disponente. Al contrario, tale atto sembra assimilabile al c.d. mandato testamentario che, come si è detto, solo impropriamente può ricondursi al concetto di mandato di matrice contrattuale, mentre è preferibile ritenere che l'atto abbia una natura autorizzativa, limitandosi a conferire a una persona di fiducia il potere di agire per la cura dell'esatta attuazione della volontà del disponente. Così, il conferimento di un determinato potere gestorio per la realizzazione di interessi esistenziali pare poter avvenire non solo per testamento, come da tempo chiarito dalla dottrina, ma anche tramite un atto che è soggetto a requisiti formali diversi da quelli del negozio definito dall'art. 587 c.c.
[48] Per un commento alle citate disposizioni, cfr. F. Mezzanotte, Commi 40-41, in Aa.Vv., Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. n. 6/2017; d.lgs. n. 7/2017, a cura di C.M. Bianca, Torino, 2017, 523 ss.
[49] Rileva F. Mezzanotte, op. cit., 538-539, che, al fine di dimostrare l'autenticità del documento e la sua provenienza da dichiarante, l'autografia non deve essere limitata alla sottoscrizione, ma deve estendersi all'intero documento.
[50] Cfr., sebbene in tema di disposizioni in materia di cremazione, V. Barba, Contenuto del testamento, cit., 152.
[51] Del resto, il capoverso dell'art. 587 c.c., nel riconoscere efficacia alle disposizioni di carattere non patrimoniale che siano rivestite delle forme di cui agli artt. 601 ss. c.c., si riferisce a fattispecie diverse rispetto al negozio definito dal primo comma della norma, sebbene compatibili con la struttura di questo. Infatti, se tali fattispecie avessero natura tecnicamente testamentaria, il legislatore non si sarebbe preoccupato di stabilirne l'efficacia anche quando l'atto che le contiene ha la forma del testamento, dato che la disciplina formale di quest'ultimo dovrebbe in tal caso necessariamente applicarsi. Al contrario, deve ritenersi che tali atti non abbiano natura testamentaria, che siano governati da regole formali diverse rispetto a quelle dettate per il testamento e che, qualora rispettino i requisiti per esso previsti, siano comunque validi ed efficaci (in merito, cfr. G. Giampiccolo, Il contenuto atipico, cit., 219; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1952, 31 ss.; V. Cuffaro, Il testamento in generale: caratteri e contenuto, in Aa.Vv., Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, Padova, 1994, 730).
[52] Cass. 13 luglio 2022, n. 22180, cit.
[53] Cfr. art. 1, commi 40 e 41, l. n. 76/2016.
[54] F. Mezzanotte, Commi 40-41, cit., 537.
[55] Cass. 9 maggio 1969, n. 1584, cit.; Cass. 13 marzo 1990, n. 2034, cit.; Cass. 23 maggio 2006, n. 12143, in Fam. pers. succ., 2007, 524, con nota di G. Bonilini, Iscrizione a «società» di cremazione e mandato post mortem; Cass. 29 aprile 2006, n. 10035, in Giur. it., 2007, 334; nonché, da ultimo, Cass. 13 luglio 2022, n. 22180, cit., che ha espressamente riconosciuto che la decisione in ordine al luogo e alle modalità della sepoltura possa avvenire anche tramite il ricorso allo schema del mandato post mortem exequendum.
[56] In dottrina, crf., almeno, V. Putortì, Morte del disponente e autonomia negoziale, Milano, 2001, 202 ss.; Id., Il mandato post mortem, in Tratt. contr. dir. da P. Rescigno ed E. Gabrielli, XIX, I contratti di destinazione patrimoniale, Torino, 2014, 343 ss.; Id., Gli incarichi post mortem a contenuto non patrimoniale tra testamento e mandato, cit., 137 ss.; G. Giampiccolo, Il contenuto atipico, cit., 122 ss.; G. Bonilini, Una valida ipotesi di mandato post mortem, nota a Trib. Palermo, 16 marzo 2000, in Contratti, 2000, 1101 ss.; A. Dolmetta, Patti successori istitutivi, mandato post mortem, contratto di mantenimento, in Vita not., 2011, 453 ss.; F.A. Moncalvo, Sul mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante, in Fam. pers. succ., 2010, 56 ss.; G. Musolino, Le disposizioni sulla sepoltura fra testamento e mandato post mortem, in Fam. pers. succ., 2007, 524 ss.; L. Ghidoni, Conferme e novità in tema di mandato post mortem, nota a Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2018, ord. n. 11763, in Dir. succ. fam., 3, 2019, 942 ss.
[57] F. Gradassi, Mandato post mortem, in Contr. impr., 1990, 844-845; G. Bonilini, Le disposizioni concernenti il funerale, in Fam. pers. succ., 2011, 405.
[58] Il rilievo è di V. Putortì, Disposizioni mortis causa, cit., 804-805.
[59] V. Putortì, Disposizioni mortis causa, 791-792.
[60] Cass. 11 giugno 2021, n. 16611; Cass. 17 agosto 2020, n. 17938; Cass. 2 febbraio 2016, n. 1994, in Rep. Foro it., 2016, Divisione, n. 27; Cass. 3 gennaio 2002, n. 28, in Giur. it., 2002, 10 ss., con nota di N. Monticelli, Onoranze funebri e ripartizioni degli oneri: l'insostenibile pesantezza, anche morale, dell'eredità. In senso conforme anche la giurisprudenza di merito, cfr. App. Catania, sez. II, 18 luglio 2020, n. 1286; Trib. Modena, sez. I, 12 giugno 2019, n. 915.
[61] Cfr., ex multis, A. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, Milano, 1984, 126 e 450; U. Carnevali, Negozio fiduciario e mandato post mortem, in Giur. comm., 1975, II, 702; G. Minervini, Il mandato. La commissione. La spedizione, in Tratt. Vassalli, VIII, 1, Torino, 1952, 24; V. Putortì, Il mandato post mortem, cit., 351 ss., F.A. Moncalvo, Sul mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante, cit., 57 ss.; N. Di Staso, Il mandato post mortem exequendum, in Fam. pers. succ., 2011, 689 ss.; M.A. Ciocia, Il mandato post mortem ad exequandum tra tradizione e innovazione, in S. Giova, G. Perlingieri, L. Tullio (a cura di), Autonomia negoziale e successioni mortis causa. Incontro di studi dell'Associazione dei Dottorati di Diritto Privato 17 e 18 aprile 2018 – Università degli Studi del Molise, Napoli, 2020, 341-344.
[62] Cass. 4 ottobre 1962, n. 2804, in Foro it., c. 49 ss.; Cass. 10 agosto 1963, n. 2278, in Foro it., 1964, I, c. 329; Cass. 24 aprile 1965, n. 719, in Foro it., 1965, I, c. 1101; Cass. 25 marzo 1993, n. 3062,in Foro it., 1995, I, c. 1613. Cass. 29 aprile 2006, n. 10035, cit.
[63] V. Barba, Negozi post mortem ed effetti di destinazione. Interferenze con la disciplina dei legittimarî: la riduzione delle liberalità indirette, in Riv. dir. priv., 2016, n. 1, 66-67; L. Ghidoni, Conferme e novità in tema di mandato post mortem, cit., 946; N. Di Staso, Il mandato, cit., 689, il quale rileva altresì come, già da un punto di vista formale, nella norma in questione manchino espressioni che lascino intendere che la disposizione abbia carattere cogente, come ad esempio le formule «a pena di nullità» o «altrimenti il contratto è nullo».
[64] F. Padovini, Rapporto contrattuale e successione a causa di morte, Milano, 1990, 130; V. Putortì, Il mandato, cit., 353.
[65] V. Putortì, Il mandato post mortem, cit., 353.
[66] L. Ghidoni, Conferme, cit., 946; V. Putortì, Patrimonio digitale e successione mortis causa, in Giust. civ., 2021, 179 ss.
[67] N. Di Staso, op. cit., 691; V. Putortì, Disposizioni mortis causa, cit., 820; Id., Gli incarichi post mortem a contenuto non patrimoniale, cit., 141, i quali rilevano come, sebbene non richiesto ai fini della validità, lo scritto possa garantire una più adeguata conservazione della volontà del de cuius e maggiori garanzie in ordine alla sua attuazione. Tuttavia, come rilevato da questi Autori, ai fini della validità dell'atto è sufficiente che l'intento negoziale sia il frutto di una valutazione ponderata, seria e consapevole del dominus, senza che eventuali stati emozionali o passionali ne inficino l'attendibilità.
[68] F.A. Moncalvo, Sul mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante, cit., 62; V. Putortì, op. ult. cit., 142.